Rinascita del Mezzogiorno: da dove cominciare?

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Dopo tante discussioni ed esitazioni vi è concordia sul fatto che l’attuale crisi patisce di una carenza di domanda aggregata. L’interpretazione ha avuto Dopo tante discussioni ed esitazioni vi è concordia sul fatto che l’attuale crisi patisce di una carenza di domanda aggregata. L’interpretazione ha avuto la benedizione di Mario Draghi nel suo discorso a Jackson Hole e non a caso la reazione tedesca è stata immediata e forte, perché la versione ufficiale, fatta propria dalla Commissione europea e continuamente ripetuta, è che il problema è nelle carenze dell’offerta, da cui discende l’insistenza di ancorare ogni decisione di rilancio monetario e fiscale all’attuazione delle “riforme”. Se questa creano nel breve (medio?) periodo recessione e disoccupazione la ragione va cercata negli errori del passato, che devono essere scontati da chi li ha commessi, uno strano concetto del “contratto sociale europeo”. Che le riforme siano necessarie è un altro punto su cui gli economisti sono d’accordo. L’esigenza nasce per buona parte dall’aver deciso di procedere alla globalizzazione delle economie senza regole per le competizione unfair che sarebbe venuta da paesi arretrati economicamente e sostanzialmente privi di welfare. Ciò perché da un lato, cessato il “pericolo” comunista, il capitalismo ha ripreso a praticare i vecchi vizi, rafforzati dagli eccessi di sua finanziarizzazione; e dall’altro, perché la funzione di utilità dei leader mondiali, come ci ha spiegato Kissinger nel suo ultimo libro (World Order), non è quella dell’era postbellica di stampo keynesiano (almeno nell’area occidentale) di abbattere la disoccupazione e aumentare il benessere – compito che si è trasferito all’iniziativa privata mossa dai propri interessi e domiciliata nelle aree arretrate – ma di garantire un nuovo ordine mondiale plurinazionale. La posizione dell’Italia – e, a maggior ragione del Mezzogiorno – deve essere quella di considerare il quadro geopolitico come un dato. Come pure è ragionevole prendere come un dato i vincoli europei, anche se un dato non sono o non dovrebbero essere. Affidarsi, come è stato fatto finora, alle speranze di una ripresa “spontanea” dietro l’angolo ogni sei mesi, sarebbe un errore: res ipsa loquitur. La BCE ha sbagliato previsioni e ha tardato e tarda a prendere provvedimenti, cadendo nella “trappola della liquidità”, la situazione peggiore in cui si possa trovare una banca centrale; infatti ha perso il legame indispensabile con l’economia reale per non divenire una pericolosa sovrastruttura. Draghi, che finalmente ha capito, sta provando a uscire da questa situazione, ma è vincolato dai difetti istituzionali dell’architettura europea. La politica fiscale europea sopra ricordata non ha commesso errori, in quanto ha voluto la recessione e deflazione, anche se riteneva che essa sarebbe stata confinata ai paesi che non hanno saputo controllare la finanza pubblica. L’errore commesso consiste nell’aver ritenuto che i paesi “benestanti” potessero rimanere indenni, forse anche avvantaggiarsi, dagli sbocchi di questa politica. Per un discorso sulla rinascita del Mezzogiorno (non parlo quindi di sola ripresa economica) il quadro geopolitico e quello specifico europeo vanno considerati un dato sul quale però non ci si deve adagiare. Poiché anche il quadro politico interno non offre soluzioni ai problemi del Mezzogiorno, che vengono inquadrati nel “pensiero unico” italoeuropeo e vengono ignorati i problemi del dualismo (dopo essere stati negati, anche in documenti della BCE, sostenendo che le aree dell’euro stavano “convergendo”), l’unico possibile appiglio è ciò che può fare la Banca Europea degli Investimenti. L’incontro, come io l’ho considerato, deve avere questo unico scopo. Che la Bce debba svolgere un ruolo centrale rebus sic stantibus è previsto dal Trattato di Maastricht, il quale intendeva replicare lo schema Bretton Woods che aveva molto agevolato lo sviluppo europeo, centrato sul Fondo Monetario Internazionale anche se “depotenziato” (da cui la Bce “depotenziata”) e nella Banca Mondiale (da cui la Bei) per quanto possibile “potenziata”. Questa è l’unica cosa concreta non deflazionistica che offre oggi l’Ue, per bocca del nuovo Commissario europeo Junker. L’utilizzo dei fondi europei messi a disposizione dell’Italia non aggiunge niente alla domanda aggregata, ma solo compensa, secondo il metodo Thatcher, ciò che l’Italia versa a Bruxelles. L’intervento Bei imprimerebbe, al netto del contributo italiano al capitale, invece effetti esogeni alla domanda interna ed è perciò che Mezzogiorno ha bisogno di conoscere che cosa e quanto può fare questa istituzione finanziaria per quest’area e a quali condizioni. Perciò, molto opportunamente e dinamicamente, Alfonso Ruffo si è mosso, invitando il vice presidente Bei, Dario Scannapieco, a un incontro per appurare se la valutazione positiva da noi data all’annuncio di Junker abbia un solido fondamento pratico.