Contenzioso bancario, ecco tutte le questioni (ancora) aperte

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di Valentino Vecchi
dottore commercialista 
 
Prima delle ferie estive, vale la pena fare il punto della situazione sulle principali questioni che oggi sono al centro del dibattito giurisprudenziale e dottrinario in tema di “contenzioso bancario”.

Preliminarmente appare, tuttavia, necessario – per esigenze di sintesi – circoscrivere l’ambito di questa presente panoramica a quelli che, attualmente, rappresentano i due principali filoni del “contenzioso bancario”: da un lato quello concernente i giudizi che vertono su rapporti di conto corrente – giudizi che vedono “litigare” i correntisti e gli istituti di credito per la presunta illegittima applicazione, al conto corrente, di condizioni economiche (tassi di interesse, commissioni, spese varie, valute, capitalizzazione trimestrale) mai convenute tra le parti e finanche usuraie – dall’altro quello, particolarmente ricorrente nell’ultimo periodo, avente ad oggetto le cause riguardanti i rapporti di mutuo.

Per quanto concerne i giudizi incentrati su rapporti di conto corrente, tra le numerose questioni dibattute, quelle attualmente più rilevanti sono due. La prima attiene alla validità o meno delle schede negoziali esibite in giudizio dalla banca onde fornire la prova dell’intervenuta pattuizione del disciplinare economico del rapporto, schede sprovviste di sottoscrizione dell’istituto di credito: trattasi dei cosiddetti “contratti monofirma”, i contratti, cioè, che recano la sottoscrizione del solo correntista ma risultano essere sprovvisti di quella della banca (che però produce il documento in giudizio). La seconda questione, oramai dibattuta da un ventennio, attiene alla rilevanza da attribuire alle cosiddette “commissioni di massimo scoperto” ai fini della determinazione del Tasso Effettivo Globale praticato dalla banca, saggio che non può essere superiore ai limiti usurai (cosiddetti “tassi soglia”) ratione temporis vigenti ex legge n.108/1996.

Entrambe le questioni, a riprova della loro rilevanza e attualità, sono al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

In merito ai “contratti monofirma”, deve evidenziarsi che mediante quattro sentenze emesse nel 2016, la prima sezione civile della Corte di Cassazione (sentenze n.5919 del 24.03.2016, n.7068 dell’11.04.2016, n.8395 del 27.04.2016 e n.10516 del 22.06.2016), mutando il proprio precedente orientamento, ha sposato la tesi – ovviamente di parte correntista – della nullità del contratto, nullità che, alla luce della sentenza n.8395 del 27.04.2016, potrebbe addirittura essere “selettiva”. In pratica, trattandosi di una “nullità di protezione” a tutela del correntista in quanto contraente debole, potrebbe essere richiesta la nullità parziale del contratto monofirma onde ottenere che la dedotta invalidità non involga le clausole favorevoli al correntista (ad esempio quelle disciplinanti il tasso di interesse creditore). 

In aperto contrasto con il nuovo arresto della giurisprudenza di legittimità si è posta la Corte d’Appello di Napoli, che – attribuendo giuridica rilevanza alla condotta concretamente assunta dalle parti nel corso del rapporto e segnatamente della banca che ha dato esecuzione al contratto – ha ritenuto di non aderire alla tesi della nullità dei contratti monofirma (sentenza n.4571 del 28.12.2016).

La seconda questione, concernente la rilevanza da attribuire alle commissioni di massimo scoperto applicate dalla banca in corso di rapporto ai fini del calcolo del TEG medio tempore praticato, appare ancora più complessa, oltre che annosa. Anche tale dibattito, che trae origine dall’adamico vizio di una normativa regolamentare in tema di usura – demandata alle istruzioni della Banca d’Italia ed alla rilevazione periodica, dalla stessa coordinata, dei TEGM praticati dagli operatori finanziari – non perfettamente aderente al disposto della normativa principale contenuta nella legge n.108 del 7 marzo 1996, ha visto l’intervento, nel corso del 2016, della sezione prima della Corte di Cassazione. Mediante le sentenze n.12965 del 22.06.2016 e n.22270 del 03.11.2016, i giudici ermellini (peraltro in contrasto con quanto statuito poco prima nella sentenza n.10516 del 20.05.2016 nonché con la differente tesi seguita dai colleghi delle sezioni penali – vedasi Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenze n.262 e n.28743 del 2010) hanno sposato la tesi dell’irrilevanza – ai fini del calcolo del TEG del rapporto e quindi ai fini della verifica della eventuale applicazione di tassi usurai da parte della banca – delle commissioni di massimo scoperto addebitate sino all’anno 2009 (come noto, difatti, la questione è stata superata dal 2010 a seguito dell’entrata in vigore della legge n.2/2009 e dell’adeguamento delle istruzioni emanate dalla Banca d’Italia ex legge n.108/1996).

Anche tale tesi, oggi seguita dalla prevalente giurisprudenza di merito, potrebbe, però, essere oggetto di rivisitazione da parte delle Sezioni Unite.
Per quanto concerne i contratti di mutuo, le questioni “aperte” riguardano da un lato la corretta modalità di calcolo del TEG del rapporto e gli effetti dell’eventuale usurarietà “originaria” del rapporto stesso, dall’altro le conseguenze giuridiche dell’eventuale indicazione, in contratto, di un valore dell’Indicatore Sintetico di Costo (ISC) inferiore alla sua reale misura.

Sulla modalità di calcolo del TEG, sebbene la giurisprudenza maggioritaria sia addivenuta alla conclusione che ai fini del calcolo del mentovato indicatore non possano essere sommati il tasso di ammortamento (di natura corrispettiva) ed il tasso di mora (di natura risarcitoria), non mancano le sentenze in cui tale sommatoria viene giudicata corretta laddove il contratto preveda che gli interessi di mora si applichino anche agli interessi corrispettivi scaduti e impagati (questione ancor più complessa, e per questo tralasciata in questa breve panoramica, concerne l’eventuale rilevanza da attribuire, ai fini del calcolo del TEG del rapporto di mutuo, alla penale di estinzione anticipata convenuta dalle parti).
Anche sugli effetti dell’eventuale usurarietà del TEG determinato tenendo conto degli interessi di mora la giurisprudenza appare divisa. Mentre la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’eventuale usurarietà del tasso di mora determini la non debenza – ex art.1815 c.c. – dei soli interessi di mora, altra parte di essa (soprattutto quella impegnata nei giudizi di opposizione all’esecuzione immobiliare) afferma che in ipotesi di tasso moratorio usuraio non siano dovuti alla banca mutuante neppure gli interessi di natura corrispettiva (alcun dubbio sussiste, ovviamente, sulla trasformazione del rapporto da oneroso in gratuito – ex art.1815 c.c. – in ipotesi di usurarietà del tasso di natura corrispettiva).
In ultimo, ancora in uno stadio iniziale appare il dibattito sugli effetti dell’indicazione, in contratto, di un ISC inferiore alla sua reale misura. Atteso che l’ISC – introdotto con delibera del CICR del 4 marzo del 2003 per ragioni di trasparenza – assolve alla funzione di rendere edotto il mutuatario sulla complessiva onerosità del finanziamento, secondo la tesi oggi prevalente la sua sottostima rappresenta – ex art.117, sesto comma, TUB – un vizio di nullità della clausola interessi (nonché di quelle disciplinanti gli ulteriori oneri) che richiede la rielaborazione del rapporto ai tassi sostitutivi ex art.117, settimo comma, lettera a), TUB.
Restiamo in attesa dei futuri sviluppi.