La nuova sfida delle Confindustrie d’Europa

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La partecipazione martedì 29 agosto all’assemblea generale della Confindustria francese – guidata da un imprenditore di lungo corso e figlio d’arte come Pierre Gattaz – dei presidenti delle organizzazioni omologhe d’Italia (Vincenzo Boccia), Germania (Dieter Kempf) e Spagna (Juan Rosell) è stata molto più che una manifestazione di cortesia.
Sia pure in un’atmosfera costruita per esaltare il ruolo centrale in Europa di una Nazione rinata nelle ambizioni e nella volontà, frutto del nuovo racconto avviato dall’ambizioso premier Emmanuel Macron, l’incontro e il confronto avuti in un clima rovente per il gran caldo hanno messo in chiaro alcuni punti che vale la pena di esaminare.
In primo luogo è apparso evidente che i leader degli industriali hanno un’idea abbastanza condivisa di che cosa sia utile ai rispettivi Paesi per crescere essendo questo l’obiettivo primario al quale occorre mirare senza indugio attraverso riforme coraggiose, anche impopolari, per accrescere la competitività delle imprese e del sistema Paese.
Le Confindustrie di Francia, Italia, Germania e Spagna – che con l’uscita della Gran Bretagna assumono un ruolo di maggior peso nell’Unione – sanno che la sfida non potrà essere tra i Paesi d’Europa ma tra costoro e il resto del mondo. Solo se l’Unione europea si presenterà coesa potrà fronteggiare giganti come gli Stati Uniti, la Cina, l’India.
Dunque, occorre trasferire ai rispettivi Paesi questo messaggio: non facciamo come i polli di Renzo (Renzo!) che si beccano a vicenda mentre la loro sorte è già segnata ma facciamo corpo con politiche che accrescano la forza economica e contrattuale dell’intero Continente, il più ricco del mondo e per questo oggetto del desiderio di chi vorrebbe conquistarne il mercato.
Per fare questo occorre mettere da parte orgogli personali e ideologie per assumere atteggiamenti responsabilmente pragmatici. Ben sapendo che le eventuali conquiste non potranno essere di vantaggio alla sola classe dei privilegiati perché il benessere dovrà essere distribuito per sanare le piaghe sociali portate dall’eccesso di differenza e dalla povertà.
Gli industriali europei concordano dunque sulla necessità di venir fuori dalla rappresentanza dei soli interessi di categoria per interpretare i bisogni di una società che per effetto della globalizzazione si sente minacciata e vive in ansia. I giovani, soprattutto in Italia, rischiano di non entrare mai in gioco mentre l’innovazione ha bisogno di loro.
Episodi come quello che vede per protagonisti Stx e Fincantieri – con la Francia che si rimangia la disponibilità a cedere la maggioranza all’azienda italiana accettando il rischio di far saltare l’accordo – sono l’esempio di come non ci si deve comportare se il fine è costruire campioni industriali europei in grado di vincere la concorrenza dei colossi mondiali.
È chiaro ed evidente a tutti che finché la palla resterà in mano ai governi nazionali la tentazione di giocare a vantaggio del proprio Paese sarà più forte del desiderio di provare a fare corpo. L’Europa politica, allora, si dovrà dotare di strumenti adatti a svolgere quei compiti di rappresentanza comune che finora sono rimasti solo sulla carta.