Le politiche di austerità?
Stiglitz: Sono fallimentari

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A cura di Antonio Arricale La notizia della giornata finanziaria di ieri è il rally della Borsa di Atene che ha chiuso con un balzo dell’11% in scia alle speranze di un A cura di Antonio Arricale La notizia della giornata finanziaria di ieri è il rally della Borsa di Atene che ha chiuso con un balzo dell’11% in scia alle speranze di un accordo sul debito greco. Dunque, alla fine dei grandi proclami del premier Alexis Tsipras e del suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, il piano per uscire dall’impasse non consisterebbe nella cancellazione del debito ma un doppio swap, ovvero uno scambio dei vecchi titoli con bond legati alla crescita. Intanto prosegue il tour della delegazione ellenica delle capitali europee alla ricerca di consensi. Dopo la visita di ieri a Roma, oggi Varoufakis sarà a Francoforte (Bce) e domani a Berlino. La vicenda greca, tuttavia, sta alimentando un interessante dibattito tra economisti di diversa scuola di pensiero. Una su tutti, quella keynesiana, che sin dalla vigilia non ha lesinato critiche alle politiche di austerità imposte dalla troika alla Grecia e, più in generale, ai paesi mediterranei che più di tutti soffrono la crisi. Nel dibattito, da ultimo, ha fatto sentire la sua autorevole voce l’economista statunitense Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, il quale in un articolo (“La globalizzazione e i suoi oppositori”) pubblicato da Project Syndicate, organizzazione no-profit che raggruppa oltre 500 testate giornalistiche di 154 Paesi e che può vantare oltre 300 milioni di lettori, scrive: “L’austerità ha sempre fallito, dalle prime applicazioni sotto il presidente statunitense Herbert Hoover, che trasformò il crollo dei mercati azionari in Grande Depressione, ai programmi che il Fondo monetario negli ultimi decenni ha imposto ai Paesi asiatici e all’America Latina”. Purtroppo, continua il professore della Columbia University, “c’è chi – nella Commissione europea, nella Banca centrale europea e in qualche università – ha parlato di ‘expansionary contractions’ (contrazioni della spesa che generano espansione economica, ndr)”. Eppure, finanche il Fondo monetario (Stiglitz è stato Senior Vice President e Chief Economist della Banca Mondiale) “ha rilevato che questo tipo di contrazioni, come i tagli alla spesa pubblica, generano solo questo, contrazioni”. Emblematico, dunque, il caso della Grecia di cui l’economista riporta le attuali statistiche da cui si evince in tutta evidenza che la drastica riduzione della spesa pubblica ha avuto effetti devastanti: tasso di disoccupazione al 25%, calo del Pil del 22% dal 2009, aumento del 35% del rapporto debito/Pil. Giusto, dunque, se alla fine “ora, con la vittoria di Syriza, gli elettori greci hanno fatto sapere di averne abbastanza”, chiosa l’economista. E aggiunge: al momento più che le riforme strutturali in Grecia e Spagna occorre, “una riforma strutturale dell’architettura europea e un ripensamento di politiche che hanno prodotto eclatanti performance negative”. “Atene è lì a ricordarci ancora una volta quanta necessità ci sia di un contesto di ristrutturazione del debito”. L’eccessiva mole di debito è alla base non solo della crisi del 2008, ma anche di quella asiatica degli anni ’90 e latino-americana degli anni ’80 e “continua a far soffrire gli Stati Uniti, dove milioni di persone hanno perso casa, e minaccia milioni di persone in Polonia e in altri Paesi che hanno contratto debiti in franchi svizzeri”. E continua. “Settant’anni fa, alla fine della seconda Guerra mondiale, gli alleati hanno dato un’opportunità alla Germania per ripartire” poiché compresero che l’ascesa di Hitler “più che all’inflazione era legata alla disoccupazione generata dal debito imposto alla Germania alla fine della prima guerra mondiale”. C’è qualcuno sano di mente, si domanda Stiglitz, che pensa che un Paese avrebbe passato quello che è toccato alla Grecia solo per ottenere uno sconto sul debito? Se l’Europa ha permesso lo spostamento di questi debiti dal settore privato a quello pubblico, “è l’Europa, non la Grecia, che dovrebbe farsi carico delle conseguenze”. Non è la ristrutturazione del debito che è immorale, “è la mancata ristrutturazione ad esserlo”, conclude l’economista. Borse asiatiche Mercati asiatici in rialzo questa mattina ad eccezione di Shanghai. A Tokyo il Nikkei ha chiusole contrattazioni in crescita di circa 2 punti percentuali a quota 17678 mentre l’Hang Seng di Hong Kong guadagna lo 0,4% e Seoul ha fatto registrare un incremento di poco superiore al mezzo punto percentuale. In contro tendenza come detto Shanghai che lascia sul terreno circa un punto percentuale, appesantita dall’andamento dei titoli finanziari e di quelli del comparto farmaceutico. A sostenere le altre borse asiatiche sono stati sostanzialmente due fattori, da una parte il recupero dei corsi delle commodities, guidate nello specifico dal petrolio, tornato a New York al di sopra dei 53 dollari al barile e dall’altra il positivo andamento di ieri a Wall Street dove l’S&P 500 ha chiuso con un progresso dell’1,4% mentre il Nasdaq ha guadagnato l’1,09% ed il Dow Jones l’1,76%. Sul fronte macroeconomico a gennaio in Cina il Purchasing managers index (Pmi) nel settore dei servizi stilato da Hsbc/Markit pur restando ampiamente sopra la soglia di 50 punti che separa espansione da contrazione è sceso ai minimi dell’ultimo semestre. Nel mese, infatti, il dato segna una lettura a 51,8 punti contro 53,4 punti di dicembre (53,0 in novembre) e a fronte di attese degli economisti per una lettura a 52,8 punti. In Giappone invece il Pmi dei servizi stilato da Markit è rimasto sopra la soglia di 50 punti che separa crescita da contrazione anche in gennaio. Il dato relativo allo scorso mese, tuttavia, ha segnato un declino a 51,3 punti da 51,7 punti di dicembre. Resta sopra quota 50 anche il Pmi composite, che scende a 51,7 punti in gennaio da 51,9 di dicembre. Secondo quanto comunicato dal ministero nipponico di Salute, Lavoro e Welfare, in dicembre i salari medi mensili sono cresciuti nel Sol Levante dell’1,6% su base annua dopo il progresso dello 0,1% di novembre e in linea con le attese degli economisti. Borsa Usa Wall Street ha terminato in deciso rialzo, sostenuta dal rimbalzo del prezzo del petrolio e dall’allentamento delle tensioni tra Grecia e istituzioni europee. A fine giornata l’indice Dow Jones ha incassato un +1,76% a 17.666,40 punti, mentre l’S&P500 è avanzato dell’1,44% a 2.050,03 e il Nasdaq è salito dell’1,09% a 4.727,74. Oggi è atteso, tra le altre indicazioni macro in uscita, il sondaggio ADP sull’occupazione, cartina tornasole dei più importanti dati sul mercato del lavoro che verranno diffusi venerdì. Europa Listini europei positivi in scia dell’indiscrezione riportata dal Financial Times relativa il doppio swap greco. Il primo scambio, in cui i protagonisti dovrebbero essere titoli indicizzati alla crescita economica, andrebbe a sostituire i prestiti della Zona Euro, mentre il secondo riguarderebbe obbligazioni “perpetue” che verrebbero scambiate con i bond in portafoglio della Bce. In questo contesto, balzo per il listino ellenico (l’indice Bse Ase ha archiviato gli scambi con un +11,27% a 840,57 punti) e segni più generalizzati sulle altre piazze finanziarie europee. Il Dax ha terminato in rialzo dello 0,58% a 10.890,95 punti, il Cac40 è salito dell’1,09% a 4.677,9 e il Ftse100 grazie a un +1,32% si è spinto fino a 6.871,8. La performance migliore è risultata quella dell’Ibex, in crescita del 2,62% a 10.598,2. Sul listino spagnolo spicca il +4,6% messo a segno dal Banco Santander in scia del +70% messo a segno dall’utile del quarto trimestre e, sempre per quanto riguarda i bancari, +1,45% per Danske Bank che ha presentato conti sopra le stime e lanciato un nuovo piano di buy-back. Italia Il Ftse Mib segna -0,26%, il Ftse Italia All-Share -0,15%, il Ftse Italia Mid Cap +0,42%, il Ftse Italia Star +0,51%. Ieri Piazza Affari ha chiuso in deciso rialzo con l’indice Ftse Mib che ha superato quota 21.000 punti, soglia che non veniva oltrepassata dallo scorso settembre. L’Istat ha certificato il ritorno della deflazione. A gennaio i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,4% rispetto a dicembre e dello 0,6% nei confronti di un anno fa, come non accadeva dal settembre del 1959. In questo quadro a Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha guadagnato il 2,56% a 21.011 punti. Ben comprati i titoli del comparto bancario: Banco Popolare ha guadagnato il 5,51% a 12,05 euro, Montepaschi il 2,04% a 0,419 euro, Popolare di Milano il 6,85% a 0,748 euro, Intesa Sanpaolo il 2,96% a 2,64 euro, Ubi Banca il 6,12% a 6,495 euro, Unicredit il 5,08% a 5,575 euro. La ripresa delle quotazioni del petrolio, con il Wti che a New York è tornato sopra la soglia psicologica dei 50 dollari al barile mettendo a segno un progresso di circa 12 punti percentuali nelle ultime tre sedute, ha messo il turbo ai titoli di Piazza Affari legati alle sorti del greggio. E così sul listino milanese Eni ha mostrato un progresso del 3,71% a 15,65 euro, Saipem è avanzata del 3,49% a 8,74 euro e Tenaris è salita del 5,46% a 13,52 euro. Brillante FCA (+2,64% a 12,05 euro) dopo i dati sulle vendite in Italia e Stati Uniti. Sotto i riflettori Telecom Italia (+1,38% a 1,023 euro) dopo lo scivolone del giorno prima. L’Ad del colosso tlc italiano, Marco Patuano, in un’intervista al mensile economico brasiliano Valor ha illustrato i prossimi passi che la società intende compiere. Passi che si focalizzeranno su un’accelerazione degli investimenti per la rete di Tim Brasil e parallelamente su una frenata in merito ad una possibile aggregazione con Oi.


I dati macro attesi oggi Mercoledì 4 febbraio 2015 02:45 CINA Indice PMI servizi HSBC (finale) gen; 09:15 SPA Indice PMI servizi gen; 09:45 ITA Indice PMI servizi gen; 09:50 FRA Indice PMI servizi (finale) gen; 09:55 GER Indice PMI servizi (finale) gen; 10:00 EUR Indice PMI composito (finale) gen; 10:00 EUR Indice PMI servizi (finale) gen; 10:30 GB Indice PMI servizi gen; 11:00 EUR Vendite al dettaglio dic; 14:15 USA Nuovi occupati (ADP) gen; 15:45 USA Indice Markit PMI servizi (finale) gen; 16:00 USA Indice ISM non manifatturiero gen: 16:30 USA Scorte settimanali petrolio e derivati.