Il nuovo contro il vecchio. Matteo ci stuzzica l’orgoglio

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Nuovo contro vecchio, giovani contro anziani, periferia contro centro: volendo, gli ingredienti per un complotto, una cospirazione, un intrigo, magari più semplicemente, un intreccio di forze negative, o meglio ancora, di elementi non favorevoli, ci sono tutti.

Comunque la si voglia tradurre, poi, la parola inglese “cospiracy” utilizzata dal presidente della Banca centrale europea per dire che l’inflazione nella zona euro, nonostante gli sforzi della stessa Bce (leggi Quantitative easing), purtroppo continua ad essere bassa, la settimana sarà ricordata appunto per le parole forti e; più ancora, per le forti contrapposizioni registrate dai media.

Ma andiamo per gradi: il nuovo contro il vecchio, si diceva. Come dire, nella classifica delle società Google batte Apple e si insedia sul trono della regina, mentre Facebook supera Exxon Mobil e si afferma coma la quarta società al mondo per capitalizzazione di mercato, dietro appunto a Google, Apple e Microsoft. Insomma, fatta eccezione per Yahoo!, unico neo nel panorama internettiano, con il crollo del greggio questa settimana abbiamo appunto assistito alla vittoria della New Economy sulla Old Economy. E, dunque, alla definitiva consacrazione di Silicon Valley e di tutto ciò che vi ruota intorno. Conferma avvalorata anche da Standard & Poor’s che ha messo sotto osservazione, con possibilità di downgrade, anche il rating di Shell e altri cinque colossi europei, Eni inclusa.   

Giovani contro anziani. E qui si parla, evidentemente, del nostro presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, in contrapposizione al presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker e al cancelliere tedesco Angela Merkel. E l’appellativo giovane è riferito soprattutto allo stile, all’intemperanza giovanile, appunto, al fare guascone, all’atteggiamento per niente prono, come consigliato invece dalla diplomazia. Insomma, alla voce grossa che il Nostro sta utilizzando nella trattativa con Bruxelles e che tanto disturba – guarda caso – ai politici di vecchia scuola. E magari sono gli stessi che, per età, educazione e attitudine, pure applicando l’etichetta alla lettera da Bruxelles se ne sono sempre tornati con le pive nel sacco.

Periferia contro centro. E parliamo sempre di Renzi, che questa settimana, a più riprese, ha detto basta alle “lezioncine” di Bruxelles, perché così come “colà si puote ciò che si vuole” – per dirla con le parole di un altro e ben più illustre fiorentino – la tanto attesa crescita economica finora proprio non se n’è vista. Non solo. Parlando ad Accra, davanti al Parlamento del Ghana, nella prima visita di un premier italiano nel Paese africano, Renzi ha detto forte e chiaro che “sull’immigrazione serve una strategia di lungo periodo, non polemicucce da quattro soldi”. E, con riferimento al tributo di vite che si accompagna al traffico di immigrati nel Mar Mediterraneo e alla egoistica resistenza dei paesi nordici in tema di accoglienza, ha aggiunto: “Non accetto provocazioni, il nostro mestiere è salvare le vite”.

Parole pesanti come pietre e che solo in parte, evidentemente, si giustificano con la richiesta finora osteggiata dagli euro-tecnici di una maggiore flessibilità rispetto ai conti presentati dal nostro Paese. Conti che, a dire il vero, nonostante gli sforzi fin qui fatti (“Le riforme sono partite e sono ambiziose”, ha ribadito il premier) si presentano ad ogni piè sospinto in chiaroscuro.

Così, se è vero che nel mese di gennaio 2016 si è realizzato un avanzo del settore statale pari (stima provvisoria) a circa 4.600 milioni, che si confronta con un avanzo di 3.246 milioni del corrispondente mese del 2015; è pur vero che il debito complessivo del Paese poco accenna a diminuire. Certo, qui la fiducia comincia a respirarsi in quasi tutti i settori, a partire – aspetto non secondario – dalle famiglie. E, però, se è vero che il numero di aziende registrato da Unioncamere è tornato ai livelli pre-crisi (45 mila in più rispetto al 2014) è pur vero che l’attività manifatturiera a gennaio è tornata sotto le attese (l’indice Pmi manifatturiero, rilevato da Markit Adaci, segna infatti un calo a 53,2 punti dai massimi dal 2011 toccati a dicembre a quota 55,6).

La verità, tuttavia, è che sentire dal premier: E’ finito il tempo in cui l’Europa ci dice cosa dobbiamo fare: noi diamo a Bruxelles venti miliardi e ne riceviamo undici”, ci stuzzica l’orgoglio. Costi quel che costi.