Banche ancora nel mirino, giovani sempre più precari

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Le banche continuano a essere un nervo scoperto per l’Italia e, in particolare, per la politica. Soprattutto, per il Pd. A Piazza Affari, con l’ottava di borsa che si è conclusa con il crollo dei titoli degli istituti di credito, i quali hanno evidentemente risentito del tenore aggiornato (leggasi: ulteriore giro di vite) della nuova direttiva della Banca centrale europea sull’accantonamento dei crediti deteriorati, è arrivato forte e chiaro il coro dei no sollevato da Confindustria, Abi e, appunto, Pd. Gli industriali, in particolare, temono il contraccolpo che ne potrebbe derivare, vale a dire, una nuova stretta creditizia. Credit crunch che rischierebbe di soffocare la timida ripresa in atto. (In proposito, giusto per precisare: l’Istat ha confermato la crescita del Pil all’1,2%, ma, contemporaneamente, ha rivisto al rialzo il primo trimestre dallo 0,4% allo 0,5% e al ribasso il secondo trimestre dallo 0,4% allo 0,3%). Ma la preoccupazione è anche del segretario del Pd. “Alcuni dirigenti europei del settore bancario ignorano che il loro compito è evitare crisi del credito, non crearle”, ha prontamente twittato Mattero Renzi. Dubito, però, che anche stavolta l’opinione pubblica coglierà in tutta la sua ideale portata la responsabile esternazione dell’ex presidente del Consiglio. Del quale, peraltro – è appena il caso di notare – a torto o a ragione ancora non è stata digerita del tutto, evidentemente, gestione, implicazioni e piano di salvataggio di alcune banche. Fiorentine, in particolare. Figuriamoci ora che – ironia della sorte – la preoccupazione per la direttiva Bce si associa casualmente alla polemica scoppiata in seno alla specifica Commissione parlamentare d’inchiesta costituita – si ricorderà – appunto per far luce sui recenti fallimenti del sistema creditizio italiano. Insomma, il fatto è questo: affidata alla presidenza dell’immarcescibile Pier Ferdinando Casini, la Commissione si è data una regola di lavoro a dir poco discutibile. Sarà, infatti, il “navigato” presidente della Commissione a decidere se e quali domande si potranno fare ai testimoni che saranno ascoltati.
Per quanto peloso, però, il tema della settimana non è questo. In primo piano ci sono i numeri della prossima legge di Bilancio, che – come ha riferito il ministro dell’Economia – avrà un valore di quasi 20 miliardi (circa l’1,1% del Pil) e sarà coperta per 10,9 miliardi in deficit e per 8,62 miliardi da nuove entrate, tra cui potrebbero figurare anche la web tax e i soliti (ma improbabili) tagli di spesa.
Pier Carlo Padoan ha spiegato, inoltre, che ci potranno essere al massimo delle “variazioni al margine” rispetto alla tabella consegnata al Parlamento e che le “risorse limitate” che restano, una volta sterilizzati gli aumenti di Iva e accise (15,7 miliardi nel 2018 e 11,4 nel 2019) andranno a incentivare la crescita. In particolare, tra i tanti interventi, è stato precisato che nel 2018 sono stati previsti 338 milioni di euro per favorire l’assunzione di giovani e 2,7 miliardi (da spalmare in 3 anni) per combattere la povertà. Ma si tratta, al solito, di buone intenzioni che tali restano fino al momento del solito immancabile all’assalto alla diligenza da parte dei parlamentari. E poi, non dimentichiamolo, ci sono le elezioni in vista.
L’occasione di dibattito, ovviamente, ha riportato sotto i riflettori anche il sempre gettonato problema del lavoro, che finalmente aumenta. Ma si tratta sempre e soltanto di lavoro precario. La spinta all’occupazione, infatti, arriva solo dai contratti a termine. Ma i progressi ci sono, inutile negare. Trentaseimila occupati in più e 42 mila disoccupati in meno registrati nel mese di agosto. Il tasso di disoccupazione è sceso all’11,2% (era 11,6% l’anno prima) e quello giovanile al 35,1% (era 37,3%). In dodici mesi l’aumento degli occupati ha raggiunto 375 mila persone.
Certo, a voler tagliare il pelo in quattro, si potrebbe chiosare, come ha fatto Gianni Balduzzi su Linkiesta: “Pochi inattivi, tanti disoccupati: in Italia tutti cercano lavoro, ma nessuno lo trova. Dal 2011 il tasso di attività italiano è più alto di Francia, Germania e Spagna. Ma siamo il Paese in Europa con la più alta percentuale di inattivi che restano disoccupati: il 6,2%. L’occupazione migliora solo grazie agli ultra 50enni che non vanno in pensione e ai giovani sottopagati”. Ma si tratta di sottigliezza, appunto.
Non è così, invece, per le competenze. In merito, non lascia dubbi l’allarme lanciato dall’Ocse: in Italia – scrive l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo – in pochi arrivano alla laurea e, in ogni caso, con competenze mediamente inferiori alla media dei paesi sviluppati. L’impiego, poi, è quasi sempre in lavori di routine. Ma anche su questo fronte il governo non vuole starsene con le mani in mano. Intanto, sta pensando di equiparare gli stipendi dei presidi a quello dei dirigenti dello Stato. Ovviamente, dei docenti non si parla. Che dire? Per tacitare la truppa aumenta la paga dei generali, dice l’adagio.