Fabio Ricciardiello, un napoletano a Milano

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(Life Vest Under Your Seat ©Fabio Ricciardiello, ph.courtesy, l’artista)

L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato

Vedi Napoli e poi… e poi ritrovarsi a Milano. Abbiamo imparato a conoscere Fabio Ricciardiello grazie a quell’eclettismo che contraddistingue la sua ricerca che oscilla tra la fotografia, la scultura, il design senza mai fermarsi se non, di tanto in tanto, per dialogare con l’altro da sé, fuori dal suo atelier proponendo percorsi espositivi sempre originali e raffinati. Pochi giorni fa ho avuto modo di visitare privatamente la mostra LIFE VEST UNDER YOUR SEAT [capitolo secondo] nella poetica Cappella di Santa Teresa D’Avila, di Villa Clerici, a Milano. Una mostra di cui ho visto nascere il [capitolo primo] lo scorso anno a Faenza e che oggi reca con sé nuove visioni, indagini sempre più approfondite anche nella volontà di missare media diversi: scultura, in primis, fotografia e video insieme con opere sonore. L’esposizione, curata da Irene Biolchini, accoglie il pubblico in modo silente, momento di preghiera laica che si svolge dinanzi all’arte, in un luogo sacro; qui, i simboli che Ricciardiello offre, cuori sacri, corone di spine fiorite, suoni della natura e un timelapse di panica memoria, destano nell’animo del pubblico una sorta di aura protettrice, ove all’angoscia di talune ataviche simbologie si sostituisce una gioia di immensa energia, catalizzata dall’opera principale, la seduta con il cuscino in ceramica che porta il titolo omonimo dell’esposizione. Durante la nostra sosta in mostra ho posto a Fabio Ricciardiello alcune domande, foriere di quella che è la poetica capace di aver gemmato LIFE VEST UNDER YOUR SEAT [capitolo secondo].

Milano, la tua città adottiva e Villa Clerici ospitano la tua personale Life Vest Under Your Seat (capitolo secondo), ad un anno dal capitolo uno proposto a Faenza. Come è nata questa sua evoluzione e cosa ti ha portato nella cappella gentilizia della villa meneghina, ove lo spettatore è accolto dall’inedita opera omonima del titolo della mostra?

In realtà più che di una evoluzione parlerei di un naturale svolgimento del progetto LIFE VEST UNDER YOUR SEAT. Quando quasi due anni fa ho iniziato a pensare a questo progetto sapevo già che avrebbe avuto bisogno di più “fasi” per trovare il suo completo svolgimento. Ci sono due elementi cardine che portano questo progetto a dilatarsi, uno è il tempo materiale per produrre le opere. La ceramica necessita di tempi che non possono essere in alcun modo accelerati e l’altro elemento è trovare la giusta chiave narrativa, il mezzo con cui intendo “raccontare” perché, come sai, mi muovo utilizzando diversi mezzi creativi (scultura, fotografia, illustrazione) e in questo capitolo secondo mi sono trovato a sperimentare anche il video e l’installazione sonora. Il messaggio, perché è da lì che parte tutto, è uno ma si dipana in più volumi. Il mio arrivo a Villa Clerici è avvenuto grazie a Giovanni Gardini, curatore del capitolo precedente e vice direttore del Museo Diocesano di Faenza, che mi ha messo in contatto con Luigi Codemo, direttore della GASC (Galleria d’arte sacra dei contemporanei) già una fucina creativa per molti anni e che è all’interno della villa. Luigi ha da subito abbracciato il progetto, permettendomi di esporre all’interno della Cappella di Santa Teresa D’Avila.

(Life Vest Under Your Seat ©Fabio Ricciardiello, ph.courtesy, l’artista)

La cappella, luogo sacro e intimo, ospita le tue opere in ceramica, ma anche una installazione video e due opere sonore, accogliendo il pubblico in punta di piedi, lasciando alla percezione dei sensi la libertà di scoprire poco a poco quanto narrato. Il fil rouge è il concetto filosofico di ‘fragilità umana’ che torna in diversi elementi dei lavori esposti. Cosa deve aspettarsi un visitatore che varca la soglia della piccola chiesa di Villa Clerici?

Quello che è fragile ti porta ad approcciarti verso di esso con cura e gentilezza. Quello che è fragile ti costringe a modulare la tua forza per poterlo toccare. Quando si innesca questo gioco, le parti si invertono perché l’elemento fragile acquisisce la forza di sottomettere la tua di forza e di diventare resistente alle tue intenzioni. Questo per dire che ciò che devono aspettarsi gli spettatori, accedendo alla mostra, è accettare di piegarsi alla forza della fragilità perché solo allora si comprende quanto la nostra fragilità può essere un punto di forza. Mi terrorizza quando le persone cercano di toccare le mie opere ma, allo stesso tempo, resto affascinato dalle movenze gentili con la quale si protendono verso esse.

Tre Cuori sacri che dialogano con tre Corone; ad un anno dalla prima mostra, si sono aggiunte opere inedite che, in qualche modo, segnano il passo di una ricerca ancora più profonda; raccontacene attraverso le opere.

Questo capitolo secondo è composto da un 50 e 50. Ritornano i grandi Cuori Sacri e Le corone di spine che si affiancano ad opere nuove realizzate proprio per questa mostra. Quando ho iniziato questo progetto non intendevo fare ‘un lavoro sul sacro’ ma quella simbologia “mi serviva” per essere chiaro e diretto, quindi, in qualche modo, mi sono trovato costretto a lavorare sul sacro. Quello che invece traspare dai nuovi pezzi è il mio senso mistico che da sempre marchia tutto quello che produco. L’opera LIFE VEST UNDER YOUR SEAT è una rimembranza delle sedie di casa dei miei nonni, quelle stesse sedie che si trovavano nelle piccole chiese. L’opera è uno scherzo, è un invito ad accomodarsi per poi accorgersi che quella seduta è troppo delicata per sostenerci. Ho descritto talmente tanto nel primo capitolo di LIFE VEST UNDER YOUR SEAT che mi sono concesso il lusso di sussurrare e di lasciare un’enorme porta aperta.

(Life Vest Under Your Seat ©Fabio Ricciardiello, ph.courtesy, l’artista)

‘Era de maggio’ è il titolo dell’opera video presente in mostra, un lavoro carico di significazioni, a partire dal nome, dai riferimenti che esso reca con sé. Il video è una sembiante metafora visiva che racchiude una genesi del tutto peculiare, in cui intravvedere prodromi di una alterità narrativa oltre che linguistica. Come si è sviluppata la sua creazione?

“Era de maggio” è in assoluto la mia canzone preferita. Lo è nella melodia e nella poesia del testo. Il titolo del video è un palese omaggio a quella canzone, la mia dichiarazione d’amore ad una canzone d’amore. A Napoli si dice che se fai una promessa a maggio devi mantenerla. A maggio si granano i rosari perché è il mese della Madonna, a maggio la primavera ti prende a schiaffi e ti scombussola gli ormoni. Quest’opera è nata a maggio di quest’anno, un maggio così rigoglioso di fiori e nidiate d’uccelli non l’avevo mai visto a Milano. Nonostante quest’esplosione, eravamo confinati ed io ho osservato le rose del mio giardino e quella corona di spine in ceramica cruda che voleva solo essere cotta per non essere più così precaria. E così ho creato un teatro e le ho osservate per quasi un mese immortalandole, in 70 scatti e i fiori hanno fatto i fiori e la corona ha atteso che il suo tempo. “Era”, come è stato, “era” come tempo glaciale. Immobile.

One Plus One (Suoni del bosco) e One Plus One (Passi tra le sterpaglie) sono, invece, le opere audio che coinvolgono la visione della mostra e i cui suoni, per fascinazione illusoria, giungono nello spazio comune dal buio degli antichi confessionali della chiesa. Esempi audaci che, però, raccontano altro e racchiudono un senso nuovo del già noto, vero?

Quando ho visto per la prima volta la cappella mi hanno detto che poteva essere spostato tutto tranne i due confessionali a causa della loro mole. È nata subito una sfida perché il confessionale e, in maniera più specifica, la confessione, rimandano a un concetto che non ho mai amato perché non credo nel peccato. Volevo che la natura ci fosse in questa mostra, lo volevo perché è stata la mia più grande fonte d’ispirazione e quindi ho pensato che il modo migliore per trasformare quegli oggetti, era renderli dei luoghi da cui usciva il suono della natura che procede incessante e ad esso ho associato il suono di una passeggiata infinita che segue proprio quel processo vitale infinito. Ad occhi chiusi, in quella cappella, si può essere altrove e quei confessionali non sono lì per ascoltare ma per raccontare.

Capitolo Primo, Capitolo Secondo… Life Vest Under Your Seat prevede un Capitolo Terzo? C’è ancora qualcosa che credi aver bisogno di condividere con altri e se sì quale sarebbe il modo di creare un terzo dialogo?

C’è un terzo capitolo che chiuderà il progetto. C’è una grossa parte che ho bisogno di condividere e vorrei farlo nella città che mi ha dato i natali: Napoli. Sin dall’esordio di questo progetto ho sempre parlato di Napoli perché LIFE VEST UNDER YOUR SEAT si è concretizzato seguendo una mappa: Faenza, Milano, Napoli. La madre di tutto quello che ho creato è Napoli e i figli devono tornare sempre a casa, anche solo per litigare. È un legame indissolubile. Probabilmente è prematuro parlarne ma la porcellana di Capodimonte, la Real Fabbrica e il Museo di Capodimonte sono stati i miei luoghi d’infanzia. Il mio tessuto di ceramica nasce da una visione dilatata dei pizzi di porcellana di Capodimonte. Ho iniziato la mia carriera a Napoli, le mie prime mostre importanti sono state fatte a Napoli e ho l’esigenza di fare l’artista napoletano a Napoli perché sono certo che ci capiremmo perché parliamo la stessa lingua.

Allora forse … ‘Sarà de maggio’ chissà? In attesa del capitolo terzo di questo progetto, ormai itinerante che deve tornare alla madre terra, così come accade alle emozioni umane, ricordiamo che la mostra Life Vest Under Your Seat [capitolo secondo] sarà aperta al pubblico sino al 25 ottobre, nella Cappella di Santa Teresa d’Avila, nel parco di Villa Clerici, in via Terruggia 14 a Milano.

(Life Vest Under Your Seat ©Fabio Ricciardiello, ph.courtesy, l’artista)