FUORI! Il colpo di fulmine lo sorprende nel 2011 sotto le spoglie di un libro. Quello che l’allora presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi scrive e promuove per dire a chi ha orecchie per sentire che “adesso tocca a noi di dare slancio all’Italia”. Per Ciro Buonajuto, da sette mesi celebrato sindaco di Ercolano, eroe dell’ultima edizione della Leopolda dove gli è stato consentito di aprire i lavori e di accogliere sul palco l’autore di quelle parole, nel frattempo diventato segretario del Pd e premier, un’inaspettata botta di energia. Ho capito che dovevo mettermi in gioco, dice adesso. Che il coraggio, unito a un forte senso di responsabilità, può spostare le montagne; e dunque anche liberare il terreno da una nomenklatura mummificata e inadeguata a interpretare i nuovi bisogni, il mondo che verrà. L’incontro fatale, che gli avrebbe cambiato la vita, avviene l’anno successivo alla lettura che lo aveva illuminato. Basta rassegnazione, afferma ora convinto.
Occorre rompere gli schemi. Non essere prigionieri del passato, del così-si-è-sempre-fatto che toglie la voglia di osare. E per passare dalla teoria alla pratica, quando si è trattato di candidarsi alla guida del Comune dove già serviva come consigliere non ha avuto paura di sfidare i mammasantissima del partito che avevano deciso di sbarrargli la strada. Proprio come il suo modello toscano. I candidati, lui compreso, sono cinque. Una folla. Il temerario – questa è storia conosciuta – non vince ma stravince al primo turno con il 56 per cento delle preferenze. Un plebiscito. Concorrenza sbaragliata con il sostegno di un pugno di giovanissimi che oggi lo affiancano. La camorra è rimasta a guardare? Decapitata, afferma convinto. Non pervenuta, incapace d’influenzare l’esito delle urne dopo le bastoste inflitte da Magistratura e Carabinieri. Perfino i commercianti si sono ribellati e hanno vuotato il sacco delle minacce ricevute. Sì, ma adesso viene il difficile, ammette. Il vuoto lasciato dal malaffare, dalla criminalità più o meno organizzata che aveva reso tristi e difficili d’amministrare i luoghi una volta ameni, va colmato dallo Stato bene e presto. Io ci metto la faccia e tutto me stesso, azzarda.
Chi ringraziare per la conquista del palazzo? Noi e la nostra determinazione, risponde. E una persona speciale come il commissario del Pd locale Teresa Armato che ha avuto fiducia nella nostra età e nel programma rivolto a chi non ce la faceva più a sopportare facce vecchie, vuote promesse. Classe 1977, Ciro Buonajuto è di bell’aspetto, slanciato, affabile, con una vivace parlantina che gli deriva dal suo mestiere di avvocato. Civilista, per la precisione, perché il papà Renato, noto penalista, non lo aveva voluto come praticante nel suo studio. S’impara meglio dagli estranei. La scelta del maestro cadde quindi su Francesco Palescandolo, al tempo della frequentazione professionale quarantenne e celibe, che riesce a trasferirgli nozioni e passione. Se amo il mio lavoro, racconta, è per l’esperienza maturata in quegli anni duri e meravigliosi. Mi sento fortunato. Nella sua formazione di cittadino e ora uomo delle istituzioni contano il ricordo dello zio Antonio ucciso dalla camorra negli anni Novanta quando era sindaco della stessa Ercolano e l’esempio dell’altro zio Antonio fino al 31 dicembre presidente della Corte d’Appello di Napoli. Che dire adesso? E’ cominciata una nuova vita, sorride. Che mi piace moltissimo. L’impegno è tanto. A volte sembra impossibile farcela, trovare una soluzione ai tanti problemi che si presentano. L’importante è non mentire. Non perdere la faccia inseguendo il consenso a tutti i costi. E come si racimolano i voti in questo modo? Come si mantengono? Per un buon 80 per cento le richieste della gente sono impossibili da esaudire, ammette. Piuttosto che mentire preferisco spiegare come stanno le cose. M’illudo così di poter migliorare cittadini e città.
Non teme di deludere chi l’ha votato? Non è facile dire sempre la verità, ammette. Occorre farlo con garbo e mostrando una via d’uscita che non può che essere il miglioramento complessivo delle opportunità e quindi delle condizioni di vita. Bisogna mostrare che si vuol crescere per davvero. Il punto, insiste, non è mistificare la realtà nel tentativo di vincere nuovamente le elezioni al prossimo turno (e con quale vantaggio, a questo punto?) ma essere un vero e proprio fattore di cambiamento. E qui se non si punta sulla cultura non si va da nessuna parte, puntualizza. La cultura, appunto. Ercolano doveva essere prescelta come destinataria del titolo nel 2016. Ma alla fine le è stata preferita Mantova con grande dispiacere di cittadini e autorità che cominciavano a credere nel riconoscimento facendo un tifo da stadio. Una medaglia appuntata altrove. Ma noi non ci arrendiamo mica, promette Buonajuto: Riproporremo la candidatura per il 2017 e ci organizzeremo meglio per vincere la partita. Al governo non chiedo nulla se non aiutarmi nel recuperare i fondi andati perduti per dotare il territorio delle infrastrutture che mancano. In effetti non è piacevole vedere un milione duecentomila turisti sciamare ogni anno per le strade della città senza lasciare nulla ai residenti, afflitti da una disoccupazione giovanile al 50 per cento, per mancanza di quel minimo di capacità accoglienza che servirebbe come il pane. Abbiamo messo in campo tanti progetti e tutti utili alla causa, incalza.
C’è fermento, un inizio di mobilitazione che non bisogna fermare. Io non mi sottraggo mai al confronto perché il dialogo è il lievito della fiducia. Anche la burocrazia qui comincia a collaborare. Sulla candidatura di un mostro sacro come Antonio Bassolino a sindaco di Napoli non teme di essere provocatorio. Questo è il momento che i giovani mostrino il loro valore battendo l’avversario sul campo, s’infervora. E mostra la natura di combattente che tiene nascosta sotto modi gentili. Anche il trascorso di giovane rotariano (Il Rotaract, palestra di vita, mi ha dato capacità organizzativa, rispetto delle forme ed esperienze indimenticabili come la borsa di studio spesa in Australia), forgia il carattere del leader nascente già approdato alle cronache nazionali. In quell’ambiente conosce il futuro suocero, Gregorio Laino, medico affermato, la cui figlia Carmela, ora sua moglie, gli ha dato due gioielli di figli come Renato (tre anni) e Angela (due) che gli stanno ammorbidendo il carattere. Sono più sensibile ai drammi dei deboli, concede.