Dolore cronico, Vizzino scrive al Ministro: Ancora troppe criticità

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“A sei anni dalla sua emanazione ancora troppe criticità nell’attuazione della legge 38/2010”: è la denuncia dell’avvocato Riccardo Vizzino che col suo studio legale ha inviato una lettera al Ministro per la salute Beatrice Lorenzin e per conoscenza al presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e al presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, per far chiarezza sulla norme sul dolore cronico e sulla situazione in alcune strutture campane.

Ecco di seguito il testo della missiva.

“La presente in riferimento alla legge 15 marzo 2010, n. 38, per segnalare, essendo trascorsi ben sei anni dalla sua emanazione, rilevanti criticità riscontrate nell’attuazione della stessa.

In Italia, il problema del dolore cronico grave da cancro e del dolore da patologia degenerativa è a tutt’oggi trattato in modo difforme e, nella maggior parte dei casi, non adeguato alle indicazioni suggerite dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Se si consulta, infatti, il “Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010” datato 2015, da Lei stranamente considerato in maniera favorevole, si potrà facilmente notare, che in 5 anni di vigenza della legge, soltanto il 26% delle strutture sanitarie nazionali si è uniformata al dettato normativo, residuando ben circa il 74% di criticità ancora irrisolte.

In definitiva, nonostante il nostro Paese abbia intrapreso, a parole, un percorso virtuoso su tali argomenti, nella pratica, è ancora molto lunga la strada da percorrere per il pieno raggiungimento dell’obbiettivo stabilito dal legislatore.

Non dimentichiamo, infatti, che anche in questo settore, grazie all’estremo ritardo nei provvedimenti applicativi della L. 38/2010 e alla noncuranza delle Istituzioni, l’Italia occupa il posto di fanalino di coda in Europa.

Il nostro invito, quindi, avente come obiettivo che lo stato di difficoltà in cui versano i pazienti affetti da dolore cronico diventi per Lei una priorità, trae origine, tra l’altro, dall’imminente chiusura dell’U.O.C. di Terapia del dolore e cure palliative dell’Ospedale “A. Cardarelli” di Napoli, che costituisce un modello terapeutico di eccellenza fra i più completi ed efficaci d’Europa.

A questo punto, Sig. Ministro, viene spontaneo chiedersi dove abbia intenzione il Suo ministero di collocare i malati affetti da patologie tumorali, dolore cronico, nonché i pazienti in fase terminale.

Molto probabilmente, come già accade, verranno trasferiti in reparti di emergenza come la rianimazione, la terapia intensiva, la medicina di urgenza, determinando ricoveri impropri e soprattutto una morte priva di dignità, il tutto nel totale silenzio degli Organi governativi.

A riguardo, ci auspichiamo che Lei non abbia già dimenticato il recente triste episodio dell’Ospedale “S. Camillo” di Roma, che ha condotto alla morte di un uomo malato di cancro, giunto presso il presidio in fase terminale, dopo ben 56 ore di agonia su di una barella nel corridoio del Pronto Soccorso.

Questa è la dignità che secondo Lei meritano il dolore, la sofferenza e la morte di un essere umano? Cosa hanno scoperto gli ispettori sanitari che Lei ha “prontamente” inviato sul luogo che non fosse già evincibile anni orsono?

Evidentemente nulla, se si considera che è risaputo che in Italia, dal 2010 ad oggi, anziché aumentare i poli di riferimento sono stati addirittura ridotti i posti letto di ben 24.155 unità.

Ovviamente, nessuna Regione è rimasta immune dal taglio. Nello specifico, in Campania, il Commissario Straordinario nominato dallo stesso Governo, ha eliminato la maggior parte dei servizi di cura presenti nelle strutture ospedaliere preposte, demandando il tutto a complessi territoriali, detti Hospice, i quali sono numericamente insufficienti e muniti di personale non idoneo alla complessità dell’assistenza per cui sono destinati.

Tali poli, inoltre, che dovrebbero essere delle eccellenze in materia, ma che al contrario servono a ben poco, presentano notevoli punti di criticità, sia da un punto di vista sanitario che socio-economico.

Il personale medico che opera in tali sedi, infatti, presta servizio soltanto alcune ore al giorno, per lo più la mattina (e non H24, come invece accade negli ospedali), quindi, al presentarsi di una situazione di emergenza al di fuori della fascia garantita, il personale OSA o OSS preposto (non infermieri, si badi bene), inidoneo a prestare soccorso, è costretto a chiamare il 118, dal quale, ovviamente, scaturisce il ricovero coatto in P.S. di strutture ospedaliere, con conseguente aggravio dei costi pubblici e ulteriore congestionamento di reparti già saturi.

In parole povere, siamo di fronte ad un cane che si morde la coda. Ma a chi giova tutto questo spreco di risorse? Chi trae vantaggio da questo silenzio istituzionale? Sicuramente non i pazienti.

Inoltre, in tema di dispendio economico, sia pubblico che privato, non si può sottacere sulla dubbia natura di alcune tecniche analgesiche, come ad esempio la vertebroplastica, che pur apportando un beneficio in termini di sollievo a pazienti affetti da dolore cronico, non sono scientificamente validate e pertanto non vengono somministrate in forma convenzionata ai soggetti ai quali vengono comunque prescritte.

Di converso, non si spiega il largo utilizzo della tecnica di iniezioni epidurali di corticosteroidei in soggetti con mal di schiena e sciatica, il cui rapporto rischio-beneficio non è assolutamente favorevole, essendo dimostrato che possa condurre a gravi effetti avversi neurologici. Pertanto, se tale trattamento dovesse essere comunque scelto, i pazienti dovrebbero, quantomeno, essere informati sulla mancanza di efficacia dimostrata e dei rischi a cui saranno esposti, invece così non è.

Perché, quindi, il Ministero favorisce alcune tecniche dubbie in luogo di altre più sicure? Perché regna questa incertezza sull’efficacia di alcune terapie analgesiche che, nonostante tutto, vengono somministrate agli ignari malati affetti da dolore cronico? Ed infine, perché se il S.S.N. ritiene validati scientificamente alcuni farmaci non ne dispone la rimborsabilità?

Tutto ciò, purtroppo, serve solo a conferma la tesi che la L. 38/2010, pur essendo eccellente sulla carta, è rimasta una mera utopia di politica sanitaria, mancando del tutto un occhio vigile sulla sua concreta applicazione.

Anche in tema di Scheda del dolore, che a norma della suddetta Legge deve essere tassativamente contenuta nella cartella clinica di ogni paziente, nulla è rinvenibile. Sono addirittura ben pochi gli operatori che ne conoscano addirittura l’esistenza, al punto che, nella migliore delle ipotesi, tale modulo viene stampato ed allegato ma non compilato, nella più totale indifferenza del personale medico-sanitario e degli Organi di controllo.

Come possono, dunque, le ASL, le Regioni e il Ministero non rendersi conto che i propri operatori sanitari sono totalmente disinformati circa la terapia del dolore? Come può passare inosservata la disapplicazione pari all’80% delle Schede del dolore nei nostri presidi ospedalieri?

Quel che è peggio, però, è che la situazione appena esposta, va inserita in un quadro sociale in cui i dati epidemiologici indicano che in Italia vi è un sempre più crescente numero di pazienti affetti da grave dolore cronico, tra cui bambini ed anziani, spesso invalidante, la cui possibilità di cura varia da regione a regione, creando una forte discriminazione tra soggetti risiedenti all’interno dello stesso Paese.

Ill.mo Sig. Ministro, non si può negare che questa condizione sia il frutto di una politica sanitaria nazionale inidonea ad ascoltare le concrete esigenze dei sofferenti, oltre che disattenta a quanto i clinici del dolore da tempo segnalano.

Purtroppo siamo di fronte ad uno Stato assente, che ha dimenticato i soggetti più deboli e che ha aggiunto ulteriori miserie al loro male fisico.

Eppure, l’intento della L. 38/2010 è che ogni istituto di cura diventi un “ospedale senza dolore”. Ma cosa ha fatto, fin ora, il Ministero della Salute per realizzare la previsione normativa? Con quali finanziamenti ha sostenuto la legge sul dolore cronico? Ma soprattutto, che risposte ha dato ai pazienti affetti da sofferenze gravi ma allo stesso tempo evitabili?

Quel che è certo è che così la sanità italiana non migliora ed i cittadini affetti da dolore cronico continueranno a soffrire per il resto della loro vita.

Quel che è certo è che le leggi sono fatte per essere applicate e non per costituire lettera morta, o, se non peggio, l’appiglio per eccellenza dell’immorale arricchimento di pochi sulla sofferenza di molti.

Pertanto, Sig. Ministro, ci auguriamo che questo tema Le stia a cuore quanto a noi e quindi ci auspichiamo che nel ragionevole termine di 7 giorni dal ricevimento della presente, ci risponda concretamente agli interrogativi suesposti, nonché, nello specifico, alle domande che di seguito Le verranno poste:

1. perché il Governo non ha attuato in concreto la L. 38/2010, consentendo che nel quinquennio di vigenza venisse applicata soltanto nel 26% delle strutture ospedaliere?

2. quali sono gli effettivi vantaggi, sia in termini economici che sanitari, ottenuti dalle Hospice in luogo delle strutture pubbliche?

3. perché il Governo non ha vigilato in maniera puntuale sulla compilazione delle schede del dolore che nell’80% dei casi, ad oggi, è stata omessa?

4. qual è l’aggravio dei costi effettivamente sostenuti dai pazienti per l’applicazione di fatto di tecniche analgesiche non scientificamente validate?

5. quali sono i danni che potrebbero scaturire dall’applicazione di queste tecniche?

Contando sulla Sua sensibilità al problema del dolore cronico e ricordandoLe che a questo aspetto è legato, in parte, il grado di civiltà su cui il nostro Paese viene misurato, sia in ambito europeo che internazionale, porgiamo distinti saluti”.