L’esposizione museale ha regole simili a quelle di una buona recitazione

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A Maddaloni c’è un Museo Archeologico. Alzi la mano chi ne ha sentito parlare. Si alzi in piedi chi c’è stato. Uh che folla. Eppure quando nel 2014 il Museo Archeologico dell’antica Calatia, in seguito all’entrata in vigore del D.M. n.171 del 29/08/2014, è stato assegnato al Polo Museale della Campania, il primo dei suoi obiettivi era il coinvolgimento delle scuole. Nelle intenzioni un ottimo sistema per interessare un pubblico non solo vasto ma in formazione. Significava creare i frequentatori dei musei del domani. I ragazzi conquistati dalle vestigia dell’antichità, e proprio di quelle del loro territorio, avrebbero studiato con maggiore interesse la storia dell’arte e orientato l’evoluzione dei loro studi verso un settore interessante che ancora non è sfruttato appieno e quindi foriero di lavoro autonomo o dipendente. Ottime intenzioni. Si sa però che il sentiero dell’inferno è lastricato di buone intenzioni. L’idea era di collegare la visita ai reperti archeologici, organizzati secondo quattro temi, a quella del quattrocentesco Palazzo Carafa che li ospita. L’edificio, un casino di caccia del feudo di Maddaloni tra il quattrocento e il cinquecento, fu inserito nel centro della città vecchia da successive vicende storiche e urbanistiche. Le possibilità di successo del Museo erano altissime. Quasi scontate, a patto di sapere cosa fare e come farlo. Non ci sono scuse: il museo è stato dotato di supporti multimediali, video e pannelli didattici. Finanziamenti ne ha avuti. I pannelli didattici sono però solo dei semplici, freddi estratti di qualche buona ricerca storico artistica. Il visitatore comincia a leggere, ma il testo è lungo, senza schemi o illustrazioni, scritto proprio come una ricerca scolastica molto ben costruita. La regia dei video è piatta e i filmati sono poco avvincenti. Qualcuno, durante la visita, ha esclamato: ” non vengo fino a Maddaloni per vedere dei filmini”. Attenzione, si parla dei mezzi non della sostanza che invece è davvero notevole. Ancora una volta un materiale interessante e di pregio, che potrebbe davvero suscitare grande interesse di qualsiasi tipo di pubblico, è avvilito in un esposizione poco avvincente, ai confini con la noia. Circa dodici i visitatori a metà domenica mattina con visita gratuita. Un eccezione, che da sola vale la visita, è l’allineamento di tre tipologie di antica tomba: quella a fossa ricoperta di ciottoli, quella a cassa ricoperta da tegole e quella a cassa di tufo. Il visitatore è portato ad approfondire a guardare con attenzione a lasciar volare l’immaginazione nella sua personale ricostruzione di scene ormai tanto lontane nel tempo. Quando però si tratta di illustrare l’inumazione dei bambini che erano deposti in anfore, o la combustione di un letto funebre, la cui sola gamba trovata è davvero generatrice di notevoli emozioni, la capacità narraiva di chi ha curato l’esposizione crolla e si ritorna alla “passeggiata tra reperti “ così dannosa al successo di un esposizione. Al Museo Petrie di Londra la vita nella Valle del Nilo, dalla preistoria attraverso il tempo dei faraoni fino ai periodi tolemaico, romano, copto e poi islamico è raccontata attraverso musica, luci ed evocazioni multimediali tali da emozionare ogni visitatore di qualsiasi età. Non bastano tanti cartelloni, un po’ di filmini ed un totem a fare un moderno museo. A suscitare attenzione e ad aumentare il numero di visitatori e il tempo di permanenza di essi nella struttura concorrono tante altre azioni e accorgimenti. Il museo archeologico è una straordinaria macchina del tempo che trasporta idealmente il visitatore in epoche lontane, assorbendo tutta la sua attenzione e facendo esplodere le sue emozioni. L’allestimento di un museo non s’improvvisa. Si può essere coltissimi, sapere tutto dell’arte e della storia, ma l’esposizione e la gestione sono un altro mestiere. Si è pensato che la soluzione fossero i personaggi in costume d’epoca. Servono a poco e non sempre giovano. Bisogna curare invece le luci: quelle delle aree di passaggio e quelle che illuminano gli oggetti. La luce che illumina una ciotola non può essere la stessa che esalta un oggetto che evoca drammi o gioielli. Bisogna evocare stati d’animo con l’aiuto dei suoni. E se la stoffa colorata, simulante un’antica veste femminile sulla quale adagiare decori e gioielli, è una ottima trovata interpretativa, la trinetta dorata cucita all’orlo, dichiaratamente a noi contemporanea, evoca madonne e santi d’altra epoca e altri luoghi. Esporre nella medesima vetrina gli oggetti antichi e quelli che su quel modello sono stati realizzati dagli alunni della scuola locale, può essere un motivo d’orgoglio per le famiglie dei giovani autori, ma probabilmente nuocciono all’interesse del visitatore generando confusione e difficoltà nella lettura. Probabilmente bacheche specifiche dedicate alle opere degli scolari, esaltate da un opportuna e diversa illuminazione avrebbero potuto suscitare giudizi più indulgenti da parte dei visitatori e rendere giustizia alle antichità in mostra. Usare i beni culturali significa offrirli nella migliore delle maniere a un pubblico che è vario per età, cultura e capacità d’attenzione. E’ il gestore che deve saper catturare e mantenere l’attenzione. UN attore, sul palcoscenico, conosce l’uso delle pause, della recitazione concitata e di quella dal ritmo allentato. Non potrebbe usare solo una di queste tecniche. Anche la gestione di un museo e l’organizzazione di un allestimento devono avvalersi di una studiata tecnica. Una pagina di Shakespeare letta senza pause, e senza cambiamenti d’espressione vocale perderebbe tanta parte della propria passionalità. Succede la stessa cosa quando la trascuratezza della gestione si abbatte su un bene culturale.