di Ugo Righi
Hai risposto bene?
Non mi hanno interrogato.
Dovevi chiederlo tu, farti notare. Questo è il segreto del successo: nella vita bisogna sempre avere iniziativa.
Dal film I 400 colpi
I ruoli possono essere considerati, in termini classici: prescritti e discrezionali. Quello che li distingue è sostanzialmente il margine di autonomia decisionale e operativa. I ruoli prescritti seguono indicazioni precise e si preoccupano di fare quello che devono fare, perché qualcuno, o un sistema prestabilito con rigore, dice cosa deve fare per ottenere quello che va ottenuto. Anzi di quello che si deve ottenere spesso, non si parla perché potrebbe essere distraente per l’operatore che non deve capire, ma deve fare. I burocrati sono così, quante volte ho chiesto a che cosa serviva un certo documento ottenendo non risposte ma espressioni disorientate con un misto di malvagità e smarrimento. Quindi nei ruoli prescritti il risultato (secondo l’ipotesi) dipende da una sequenza di azioni che va rispettata. In pratica il risultato è variabile dipendente dalle cose da fare. Mentre i ruoli discrezionali considerano maggiormente il risultato da ottenere, che non dipende dalla sequenza prestabilita delle cose, ma include la necessaria interpretazione e quindi la decisione più coerente, considerato l’insieme delle variabili.
Bene, ma credo che anche per i ruoli più prescritti non si possa sfuggire alla necessità dell’intelligenza e all’iniziativa individuale che compensa un inevitabile vuoto che c’è in pratica sempre tra l’ipotesi di realtà e la realtà vissuta. Questo anche nei ruoli più umili o semplici non si può uccidere il pensiero. Se a un operatore gli si dice, rigorosamente, cosa deve fare e lui rigorosamente esegue e non ha in mente il risultato da ottenere i casini potenziali sono tanti. Porto, ad esempio, un episodio recente quello che sto affermando: da molti mesi si doveva sostituire un tubo dell’acqua che perdeva all’esterno della facciata di una casa, determinando condizioni pessime di umidità ed estetiche, con una serie di effetti collaterali molto negativi. Dopo mesi e telefonate e mail e varie di tutti i tipi, gli operari sono venuti. Hanno fatto il lavoro che gli era stato detto.
Ma non hanno fatto un’altra piccola operazione tecnica che avrebbe consentito al lavoro fatto di ottenere il risultato, in altre parole di togliere la perdita. In pratica avevano fatto il lavoro ma non risolto il problema. Non potevano non aver capito che occorreva fare qualcosa d’altro e avere iniziativa. Avevano capito ma loro non dovevano ripristinare una situazione sana dovevano fare delle cose e quindi non dovevano e non potevano fare infrazioni rispetto al mandato ricevuto. Mica potevano avere poi problemi con il proprio capo. Se prendevano iniziativa, questo voleva dire più tempo, più materiale. Ma scherziamo?
Credetemi, ma lo sapete, è impressionante quante volte mi trovo e ci troviamo, di fronte alla violenza della stupidità.
Nessuna diagnosi preliminare può essere perfetta al 100 per cento e la comprensione di chi opera diventa indispensabile.
A fronte dell’evidenza del problema, la risposta dell’operaio e stata che “lui ha fatto quello che gli avevano detto di fare.”
Quest’atteggiamento è diffusissimo: Si fanno cose, non si ottengono risultati. Ieri ero in piazza Dante a Napoli e un operatore ecologico stava scopando per terra. Lo faceva bene. Un muretto con delle piante vicino a cui passava era pieno di lattine e di sporcizia varia. Lui lo guardò ma probabilmente non gli avevano detto di pulire anche quello. Passò un ragazzo e buttò un’altra lattina nell’aiuola, si videro, si sorrisero in una sorta di complicità oscura.
La mappa non è il “territorio”, il territorio (non solo quello fisico) è sempre più grande della mappa, e se uno fa coincidere, per forza, la mappa con il territorio, non considera la realtà, o meglio la realtà è quella della sua mappa mica quella che percorre.
L’iniziativa fa la differenza. Ma ha iniziativa chi ha voglia, chi ò vivo chi ha senso di responsabilità.
L’iniziativa è qualcosa che qualcuno ha e che fa, non perché deve, ma perché vuole e vuole perché punta al valore.
L’iniziativa non è prescrivibile, ovviamente, anche se molto spesso la prescrittività sembra che la escluda per com’è formulata. Prescrittività che soddisfa bisogni di potere patologico in chi la esprime e bisogni di sicurezza malata in chi la esegue.
Laddove i rapporti di potere sono negativi sia i capi sia i collaboratori possono trovare dentro la prescrittività ottusa molti spazi per farsi male reciprocamente.
L’iniziativa è leggera, è una variazione intelligente del percorso. È un’infrazione virtuosa, un gesto a volte minimo come un sorriso che fai perché ti va di farlo, ed è molto più potente di molti discorsi.
È un tono, una sfumatura che colora, è un inizio che non termina mai i percorsi che valgono.
Certamente favorire l’iniziativa dipende dal potere che la premia e che considera valore non quello che si fa ma la propensione e il risultato ottenuto.
In questo senso anche i ruoli molto prescritti possono avere fessure nelle armature che lasciano passare il vento.