Mattarella e la pazienza di occuparsi del proprio destino (anche economico)

49
in foto Sergio Mattarella (Foto: Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

La retorica dello Stellone ci ha abituati male. La certezza che alla fine la buona sorte ci sorriderà e che qualunque problema dovesse affliggerci troverà da solo la sua soluzione per la benevolenza degli astri o di chi vi abita o di chissà quale altra magica apparizione. E invece no, non sempre la fortuna si toglie la benda per venirci in soccorso.
Ce lo ha ricordato in questi giorni anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che improvvisando alla Luiss un discorsetto rivolto ai presenti ma a beneficio degli assenti ha svolto l’elogio dello studio e della preparazione e ammonito sul rischio di finire come Narciso a contemplare se stessi in splendido e pericoloso isolamento.
Insomma, dobbiamo imparare a essere artefici del nostro destino: preparandoci al meglio per comprendere e gestire con coscienza la complessità della vita e aprendoci al confronto e alla collaborazione con chi può utilmente percorrere con noi un importante pezzo di strada nel lungo cammino della crescita e della prosperità.
Il presupposto è che nulla ci è dovuto e nulla è per sempre. Ogni giorno dobbiamo trovare dentro e fuori di noi la forza e la capacità di difendere le posizioni raggiunte per poterle legittimamente difendere e migliorare. Una condizione che vale tanto a livello individuale quanto collettivo. Fino a coinvolgere un Paese, un Continente.
Tutto è connesso a questo mondo. Ancora di più da quando la globalizzazione ha rimpicciolito le distanze fino ad annullarle. Viviamo tutti contemporaneamente la stessa storia. Tutti siamo immersi nello stesso brodo e facciamo parte della stessa minestra. I distinguo lasciano il tempo che trovano.
Questa consapevolezza è alla base della ricerca da parte delle imprese europee riunite in BusinessEurope – la confederazione delle Confindustrie dai vari Paesi che compongono l’Unione – di costruire un’alleanza vera tra popoli e nazioni che non sia solo economica ma anche e soprattutto politica come già dovrebbe essere e non è.
Un impegno costante scandito da incontri e scontri, richieste e concessioni, aperture e chiusure, rotture e aggiustamenti. Insomma, da tutto quell’armamentario che serve a provare ad andare d’accordo nonostante le diversità e gli interessi a breve appaiano divergenti mentre quelli a medio e lungo termine fatalmente convergono.
Il perché è presto detto. Nessun Paese d’Europa farà più parte delle sette potenze globali nel 2035 mentre la loro Unione potrà giocare ancora un ruolo di primo piano tra un’America sempre più preoccupata di se stessa, una Cina dalle ambizioni sconfinate e una Russia pervicacemente attaccata all’idea di recuperare i fasti perduti.
La costruzione europea che conosciamo non è solida come dovrebbe e presenta molti punti arrugginiti. Va messa a posto a partire dalle fondamenta. Anche per questo la prossima settimana si vedranno a Parigi i massimi esponenti dell’industria italiana e francese nonostante la freddezza nei rapporti dei relativi governi.
Di più, accanto a Vincenzo Boccia e Geoffrey Rouz de Bézieux – rispettivamente presidenti di Confindustria e Medef – proveranno a riallacciare il dialogo spezzato i ministri dell’Economia Giovanni Tria e Bruno Le Maire. Occuparsi del proprio destino è un esercizio che richiede tempo e tanta pazienza.