Aspettando… Mirò

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Il rullare dei tamburi dei media ogni giorno è più forte, più vicino. Il conto alla rovescia è cominciato. Da Porto a Napoli, signori e signore ecco la mostra: “Joan Mirò. Il Linguaggio dei Segni”, dal 25 settembre al 23 febbraio sarà al Pan. Conosceremo quest’artista che realizzava le proprie opere dall’aspetto onirico e un po’ allucinatorio partendo dalla realtà che per lui non esisteva più e che aveva lasciato il posto a simboli coloratissimi. Colori forti come il giallo, il nero, il rosso o il blu per dipingere favole e sogni ispirati a quanto di più bello si può trovare in natura. Arriveranno dal Portogallo opere dalle forme semplici e primitive, con i colori stesi a campitura piatta. Non solo quadri ma anche sculture, collage, arazzi e disegni. Per tutti i gusti, per tutte le preferenze. Vengano signori, vengano.
Tutti in attesa dunque, per comprendere il passaggio da un arte più descrittiva a opere dalle quali emergono anche le influenze giapponesi e quelle del dadaismo. Tutti in attesa di ammirare opere di un attività artistica che si è svolta lungo un arco temporale a noi vicinissimo . Non è possibile pensare ad un artista dall’interiorità così particolare senza pensare ad un allestimento che proietti il visitatore nel suo sentire fino a fargli sentire emotivamente il legame di Mirò con le altre arti.
Importante per il successo di questa come di ogni esposizione, è evitare che la visita si trasformi in una passeggiata tra le opere con qualche picco d’interesse ravvisabile nella sporadica lettura di didascalie più o meno convincenti.
Il dato da cui partire è costituito dagli spazi a disposizione per la mostra: le ampie e bianche sale del Pan che si prestano ad essere ricostruite secondo qualsiasi desiderio. Sono quindi, specialmente per un autore come questo, un territorio perfetto sul quale edificare il castello delle curiosità.
Il secondo elemento è la vita stessa dell’artista che, durante il periodo della propria adolescenza, prese lezioni private di disegno, poi una volta frequentata la scuola di Francesc Gali’, aprì finalmente uno studio insieme a Ricart.
Uno dei dati che emerge dallo studio della vita di Mirò è che per ragioni di salute prima e di studio poi, l’artista elaborò gran parte della propria arte al chiuso della sua casa, delle aule di una scuola, del suo studio poi. Trasformare le sale d’esposizione in un atelier di pittura, il suo atelier, con i libri che leggeva, i colori che amava, le tele e tutto il materiale che egli usava per realizzare le sue opere calerebbe il visitatore nell’habitat dell’artista. Il turista passeggiando tra i colori, ammirando le opere sui cavalletti, come se fossero state terminate in quel momento, potrebbe ascoltare piccoli audio con radiogiornale riferito agli eventi dell’epoca ( qualcuno ricorda il fondo ossessivo della radio nel film “una giornata particolare”?). Mostrare Mirò nel suo studio così come se fosse Mirò stesso a mostrare le proprie opere. Non si tratta di una realizzazione costosa, ma garantirebbe un coinvolgimento del pubblico di significativa portata. Nessun falso, nessuna storiella con attori, massimo rispetto per l’artista e per il suo percorso umano e artistico. Tanto coinvolgimento del pubblico che potrebbe percepire l’emozione rappresentata dall’artista addirittura aumentandola con le cronache radio delle epoche in cui Mirò aveva realizzato le proprie opere. Il risultato potrebbe davvero essere eclatante.