Natura, uso del suolo e oceani. Cop 28, incontro e temi curati dall’Alleanza Italiana dello sviluppo sostenibile

Cop 28: una finestra quotidiana sul grande incontro sul clima

Il giorno 9/12/23 si passa alla parte aggiornata del sito del  Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile (http://www.comitatoscientifico.org/temi%20CG/clima/index.htm), curato da Toni Federico, anche coordinatore del Gruppo di lavoro “Energia e Clima” (Goal 7-13) dell’ASviS.

Nella giornata dedicata  a natura, uso del suolo e oceani (qui)

Gli argomenti connessi sono

Una dichiarazione sui Sad e una coalizione per l’adattamento. L’Azerbaigian sede della Cop 29. Una protesta pubblica per la giustizia climatica. L’Italia che perde 15 posizioni nella classifica delle performance climatiche. 10/12/23

domenica 10 dicembre 2023

Il 28° incontro annuale, noto come “COP”, dal nome della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), si è aperto il 30 novembre, e durerà fino al 12 dicembre. L’azione si svolge a Dubai, Emirati Arabi Uniti,  nel vasto campus di Expo City, decorato con alberi e fogliame.

 Il modo di procedere di questo intervento diffusivo, comunicativo su ildenaro.it  dell’evento dell’8 dicembre, COP 28 di Dubai,   è simile a quello usato in alcuni casi di creazione dei testi di questo blog, in cui è preminente la finalità di diffondere gli avvenimenti aggiornati   che, via via, emergono e crescono affacciandosi alla realtà, provenienti da  consessi non solo nazionali, Camera, Senato, Corte Costituzionale, Ministeri, ma anche internazionali, generalmente ampiamente correlati tra loro, come ad esempio, all’interno dell’Europa, nelle sette  istituzioni dell’Unione europea: il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio dell’Unione europea, la Commissione europea, la Corte di giustizia dell’Unione europea, la Banca centrale europea e la Corte dei conti, e tra questi, singolarmente o insieme, operano da una parte  e, molte volte, l’OCSE e l’ONU dall’altra. L’ONU, è notoriamente, il consesso internazionale  più importante del mondo, in cui  vengono formulate, generalmente sulla base di un calendario ormai consolidato,  con metodo democratico, decisioni su proposte, usualmente da gruppi di Paesi: Europei , della Nato, Paesi ex comunisti, Paesi in via di sviluppo,  aggregati sulla base di molteplici principi ispiratori. Essi  affondano le loro radici più proprie, a partire da lontano,   dal proprio patrimonio storico e religioso e poi da quelle culturali, politiche, economiche, sociali, ed altre, ispirate nel raggiungere le finalità del benessere e, al tempo stesso,  di raggiungerne il rafforzamento dell’organismo.  L’Onu è un’organizzazione internazionale, universale nata, nell’ ultimo dopoguerra mondiale, per promuovere la pace e la sicurezza internazionale, attraverso un sistema di sicurezza collettivo” che governa, in poche parole, il percorso di una via piena di incagli e di incognite e, al tempo stesso, collegata ad un non prevedibile roseo futuro generazionale che lambisce tratti inaspettati, anche se si prospettano , al tempo stesso soluzioni rivoluzionarie dei problemi.

Questa volta si riporta il Testo integrale dell’autore del “pezzo, Toni Federico, coordinatore del Gruppo di lavoro “Energia e Clima” (Goal 7-13) dell’ASviS e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile (qui)  (e non le spigolature del blogger).   

“Siamo alla tornata finale, ora nelle stanze dei negoziati i ministri confrontano le loro posizioni e i loro interessi. Sembra una impresa titanica che i Paesi pro-fossili, più potenti e molto più ricchi, accompagnati dalla Cina che non vuole imposizioni, possano lasciare che si decreti la fine dei fossili in casa loro. Gli occidentali di buona volontà proclamano alta la necessità che i fossili vengano terminati in fretta, ma sono i primi ad essere sgomenti di fronte all’enormità del compito e si cautelano nell’unico modo che conoscono, stringere i cordoni della borsa e rifiutare ogni assunzione di responsabilità storica nell’aver prodotto tutto questo dramma.

La scienza, in gran parte nelle mani dei Paesi ricchi, ha dato tutti i verdetti e gli avvisi e ha calcolato quanto tempo ci resta per esaurire il carbon budget residuo sull’obiettivo degli 1,5 °C. L’industria è lo snodo che forse ci porterà fuori dalla palude. Impermeabile alle ideologie, restia a usare i soldi per il nucleare e la cattura e il sequestro del carbonio, ha capito che la transizione è perfettamente possibile in tempi rapidi e, soprattutto, che è conveniente per i suoi guadagni e per l’occupazione. Lamenta le posizioni ondivaghe e retrograde dei governi che continuano con i loro giochi geopolitici e le loro guerre e con la caccia ai voti nelle democrazie in terreni popolari devastati dalla disinformazione e dalle retrotopie. Senza solidi accordi multilaterali e condivisi e la protezione convinta ed attiva dei governi nazionali, il sistema industriale non può avanzare né con le ristrutturazioni tecnologiche, né con i mercati in rapido divenire, né con gli investimenti mirati. Non risulta nemmeno troppo chiaro l’atteggiamento del sistema bancario che, pur al riparo che i profitti straordinari gli assicurano, è restio ad abbandonare i vecchi e sicuri clienti fossili.

L’altro versante della storia è quello dei diritti e della società civile. Centinaia di delegati hanno marciato per chiedere giustizia climatica e un cessate il fuoco immediato a Gaza (Guardian). La giustizia climatica è un diritto non solo per i ricchi e i bianchi, ha cantato la folla, in una protesta emotivamente carica, accompagnata con tamburi tradizionali, cerimonie di fumo e danze, gli indigeni dell’Amazzonia brasiliana e degli altopiani guatemaltechi hanno marciato insieme agli attivisti di base camerunensi e ai leader contadini del Pakistan. È la prima protesta pubblica che ha luogo negli Emirati Arabi Uniti in oltre un decennio dopo una settimana di durissime trattative con lo staff e con la Convenzione Onu. “Sono qui oggi per stare insieme a tutte le persone della società civile che lottano per le nostre vite, il nostro pianeta, ogni singolo giorno”, ha detto una dei manifestanti. “Quindi siamo qui insieme per abbracciare tutti coloro che non sono qui alla Cop e perché dobbiamo fare qualcosa adesso. Non abbiamo più tempo”. Al tramonto un minuto di silenzio per onorare le migliaia di civili palestinesi che sono stati uccisi negli ultimi due mesi, tra cui 70 giornalisti e molte delle loro famiglie, si è concluso con gli appelli a porre fine all’occupazione perché nessuno sarà libero finché la Palestina non sarà libera.

Intanto, dopo l’accordo Armeni–Azeri per assegnare a Baku la Cop 29, si è deciso che la sede della Cop 29 sarà l’Azerbaigianun Paese produttore di fossili, legato a filo doppio con la Federazione Russa. Mentre l’Opec, formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Venezuela, cui si è aggiunto il Brasile del presidente Lula, ha creduto di emettere il suo diktat in una lettera intercettata dal Guardian venerdì. Lo scritto mostra l’estremo livello di preoccupazione dei petrostati per una potenziale decisione di eliminare gradualmente i combustibili fossili: significherebbe che la pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili, ha avvertito l’Opec. Ha esortato i Paesi a rifiutare in modo proattivo qualsiasi testo o formula che miri all’energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni. Gli Emirati Arabi Uniti sono un membro fondamentale dell’Opec. Qualcuno pensa che Al Jaber vorrà distinguersi da questo gruppo di Paesi, tra cui il suo? Forse per motivi etici e per essere ricordato dalla storia?

Giovedì von der Leyen è andata a Pechino da Xi a parlare di affari, auto elettriche e dei porti della via della seta. Nessun passo avanti sulla questione climatica sulla quale la Cina pensa di imporre la sua visione. Ma l’ex primo ministro francese e presidente della Cop 21, Laurent Fabius, ha ammonito che il mondo è fuori strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, come concordato nell’accordo di Parigi, e pensa che il riscaldamento raggiungerà tra 2,8 e 3 °C a fine secolo se non agiamo adesso.

Il global stocktaking

La nuova bozza di testo è stata resa nota l’8 pomeriggio ed è arrivata a 27 pagine. Il testo offre diverse opzioni per una graduale eliminazione dei fossili. Quantomeno Al Jaber si è assicurato che alcune opzioni progressiste fossero sul tavolo e che ciò che i Paesi hanno detto fosse incluso in gran parte.

Largamente citato il resoconto di Romain Ioulalen di Oil Change int., in cui riporta le posizioni dei vari Paesi traducendole in un linguaggio per la gente comune.

  • Arabia Saudita: l’Accordo di Parigi riguarda le emissioni, non le fonti delle emissioni. Abbiamo molte fonti di emissioni, quindi ci piacerebbe molto continuare a venderle.
  • Brasile: diventeremo il quarto produttore di petrolio al mondo e entreremo a far parte dell’Opec+, ma Lula vuole essere l’eroe del Sud del mondo, quindi lasciateci urlare contro gli Stati Uniti;
  • Australia: di recente abbiamo iniziato a preoccuparci del cambiamento climatico, ma esportiamo tonnellate di carbone e gas, quindi lasciateci parlare di ambizione senza menzionare i combustibili fossili;
  • Canada: siamo uno stato petrolifero ma siamo anche gentili, quindi siamo d’accordo con l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, ma alla nostra industria del petrolio e del gas piace molto la Ccs, quindi piace anche a noi;
  • Cina: siete tutti carini. Pensate davvero di dirci come gestire il nostro settore energetico? Comprate i nostri pannelli solari e lasciateci bruciare il carbone in pace, grazie.
  • India: Nord globale non diteci cosa fare. Inoltre, il nostro primo ministro è davvero un buon amico dei baroni del carbone indiano, quindi non siamo entusiasti di tutta questa faccenda dell’eliminazione graduale;
  • Iraq: l’eliminazione graduale dei combustibili fossili distruggerebbe la nostra economia. È un grande no per noi;
  • RussiaNiet. Il gas naturale è ottimo e ne abbiamo bisogno ancor di più;
  • Santa Sede: Papa Francesco è un cripto-comunista che dice che dobbiamo eliminare gradualmente i combustibili fossili, quindi facciamolo;
  • Turchia: rinnovabili? Mai sentito parlare;
  • Ue: la vostra insalata di parole sui combustibili fossili non è abbastanza buona, vorremmo un’insalata di parole migliore, allineata alla scienza;
  • Stati Uniti: siamo andati tutti alla Columbia Law School, quindi lasciate che vi insegniamo il diritto internazionale.

Ridere o piangere? Carbonbrief ha implementato una pagina web che consente di seguire l’evolversi dei testi negoziali della Cop 28, mediante una tabella interattiva che sarà costantemente aggiornata, in tempo quasi reale.

Il phase-out dei fossili

È altissimo il timore che non se ne faccia niente col solito metodo dei rinvii, tornando indietro a prima di Glasgow. Del resto se la Cina dice no… E che dire dei traffici dell’Eni con i Paesi del golfo. Secondo il post Ecco del 9 Eni è presente negli Emirati Arabi Uniti al 2018 e detiene la quota maggiore di risorse di petrolio e gas negli Emirati dopo Adnoc (622 miliardi di barili equivalenti di petrolio, il 5,1%). Un progetto il cui avvio è previsto per il 2025, con una produzione stimata di oltre 450 milioni di metri cubi di gas al giorno e più di 120mila barili di olio e condensati al giorno, si farà in un giacimento offshore situato nella Riserva della biosfera di Marawah, la più grande riserva marina naturale del Medio Oriente. Eni e Adnoc stanno investendo nella cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs)  per ora solo a scopo di enhancing dell’estrazione di petrolio e gas, come avviene negli Stati Uniti.

I finanziamenti

Partiti i grandi leader, l’afflusso di fondi si è fermato. Anche qui il settore più vivo è quello industriale privato, così come la società civile che, però, di soldi non ne ha. Per quanto riguarda i Sussidi ambientalmente dannosi (Sad), il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha informato che i fossili hanno beneficiato di sussidi record per 13 milioni di dollari al minuto nel 2022, nonostante siano la causa principale della crisi climatica.

Una dozzina di Paesi guidati dai Paesi Bassi hanno annunciato un giro di vite sui Sad ai combustibili fossili. Il testo della dichiarazione e l’elenco dei firmatari non sono ancora stati pubblicati, ma Canada, Antigua e Barbados e diversi Paesi europei si sono uniti ai Paesi Bassi nell’annuncio. Il ministro canadese del clima ha esortato i Paesi a rinunciare rapidamente ai sussidi per garantire che la spesa sia allineata con le ambizioni climatiche. Christiana Figueres, che era a capo delle Nazioni Unite a Parigi, ha detto che stiamo ancora pagando 7 trilioni di dollari all’anno in sussidi globali ai combustibili fossili. Se rimuovessimo tutto questo e lo reindirizzassimo verso la protezione dell’umanità, saremmo molto, molto più avanti. Il dato è del Fmi che ha rilevato i 7 trilioni di dollari, pari al 7% del Pil globale e quasi al doppio della spesa mondiale per l’istruzione. I Paesi si sono impegnati a eliminare gradualmente i sussidi per garantire che il prezzo dei combustibili fossili rifletta i loro reali costi ambientali, ma finora hanno ottenuto poco.

sussidi espliciti, che riducono il prezzo dei combustibili per i consumatori, sono raddoppiati nel 2022, quando i Paesi hanno risposto ai prezzi più elevati dell’energia derivanti dalla guerra della Russia in Ucraina. Le famiglie ricche ne hanno beneficiato molto di più rispetto a quelle povere, ha affermato il Fmi. I sussidi impliciti, che rappresentano i costi enormi dei danni causati dai combustibili fossili attraverso il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico, rappresentano l’80% del totale di 7mila miliardi di dollari.

In tema di fondi per l’adattamento la Cop 28 non ha dato risultati, ha avvertito il capo negoziatore del gruppo africano. Dovrebbe essere completato anche il tanto atteso obiettivo globale sull’adattamento (Gga), un impegno collettivo proposto dal gruppo africano nel 2013 e stabilito nell’ambito dell’accordo di Parigi per guidare l’azione politica e il finanziamento per l’adattamento sulla stessa scala della mitigazione. Ma i progressi sono stati lenti e i Paesi devono ancora concordare obiettivi e linee guida misurabili, ed elaborare un quadro praticabile di accordi finanziari che riflettano equamente l’impegno per i Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa.

Un’ennesima iniziativa per tentare di rianimare gli sforzi per l’adattamento ha messo capo ad una Coalition of Ambition on Adaptation Finance di 13Paesi, tra cui l’Italia, un Paese che non riesce a impostare nemmeno una iniziativa di adattamento al suo interno. Eppure il nostro è un Paese che, mentre non fa aiuti allo sviluppo confacenti al suo status di membro del G7, fa business con l’export green. Ecco ha calcolato che nel 2022 abbiamo esportato tecnologie verdi per 65,5 miliardi di euro, +12,7% su base annua. Nei primi sette mesi del 2023, l’export di beni ambientali ha subito un’ulteriore impennata, raggiungendo i 40,5 miliardi di euro, con una crescita ulteriore del 7,6%. Sono dati resi pubblici alla Cop 28 durante l’evento Sustainabitaly, organizzato in collaborazione con l’ambasciata italiana negli Emirati Arabi Uniti. Intanto però secondo il rapporto annuale di Germanwatch, l’Italia fa passi indietro sulla decarbonizzazione  e scende dal 29esimo al 44esimo posto nell’indice Ccpi di performance climatica,  perdendo ben 15 posizioni a causa dei ritmi inadeguati di abbattimento delle emissioni e di sviluppo delle fonti rinnovabili.

TESTO

di Toni Federico, coordinatore del Gruppo di lavoro “Energia e Clima” (Goal 7-13) dell’ASviS e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Gli approfondimenti completi sono disponibili sul sito della Fondazione.