Il segreto per l’autogestione è la gestione

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Da ogni schieramento politico, che sia di governo o d’opposizione, la voce che si riferisce ai beni culturali è una sola: vedremo, valuteremo e quindi faremo. Futuro semplice, prima persona plurale di ogni verbo. La bellezza, l’arte sembra un peso, una zavorra che come tale è fatta vivere alla popolazione italiana. Eppure spesso e volentieri si sente dire da ogni parte che con il nostro patrimonio si potrebbe vivere. C’è uno scenario da piece teatrale cervellotica: chi detiene il potere, e dunque la capacità di realizzare le cose, sostiene che non avendo soldi per mantenere il patrimonio è giusto trovare fondi attraverso lotterie, giochi a premi, ed elemosine a vario titolo. Nello stesso tempo promuove, o dice di farlo, una politica inneggiante alla capacità di attrazione economica del nostro patrimonio culturale. La popolazione, suggestionata da questa ipotetica pioggia di ricchezze, dal sogno del cassetto aperto nel quale piovono soldi, marcia con in testa la voce di Liza Minnelli che gorgheggia money money e…tutto rimane immobile. Perché? Semplicemente perché s’intuisce la capacità reddituale, ma nessuno sa come si possa ottenerla in pratica, oppure non ha voglia attuare alcuna politica. La sensazione di un cambiamento di metodologia della gestione si è avuta con la nomina dei sette direttori stranieri per i musei italiani. Si è pensato che essi, solo perché stranieri, e con un buon curriculum, potessero riuscire dove alcuni nostri connazionali, se pur in qualche modo del settore, avevano fallito. Auguri. Una scelta forse giusta nel momento sbagliato però. Grande l’attesa dei finanziamenti promessi: per Caserta, Carditello, Pompei, e poi per tutte le strutture che, sentendosi fuori dalla pioggia di denari, protesteranno e proporranno in futuro nuove istanze. Insomma il gioco è sempre lo stesso: io gestisco e se tu mi dai i soldi io farò cose bellissime. Però tu mi dai i soldi. Ciò è esattamente ciò che non dovrebbe più accadere se si vuole che la vita dei beni culturali sia produttiva. Come fare? Se a Caserta invece di smantellare tutto l’ambaradan dei militari, inquilini ormai storici, si fosse lasciata per un po’ di tempo una parte visitabile di dormitori, aule e tutto quanto c’era, promuovendo visite, riprese tv, e coinvolgimento del turista nella vita, in questo caso militare, di quei locali, si sarebbero accumulati un po’ di soldi che avrebbero potuto permettere un inizio di attività autonoma. Invece adesso ci sono due piani della Reggia fatti da cameroni disabitati che prima di essere resi interessanti per il pubblico dovranno subire lavori a carico dello stato, con tempi da verificarsi. Il Ministero ha subito proclamato l’erogazione di dieci milioni di euro e poi forse chissà la pioggia di altri cinquanta milioni. Bene, benissimo, fantastico. Per chi? Per pagare stipendi e lavori da farsi nel tempo, seguendo il flusso di finanziamenti, mettendo le imprese in attesa della liquidazione dei propri compensi? Sarebbe stato più’ facile e immediato cominciare a usare le sale mostrandole per quello che esattamente erano usate, sfruttando gli spazi delle sale conferenze e ricavandone introiti. Non è quindi questione di uomini, di capacità degli stessi, ma di applicazione di un metodo. Se i beni culturali dovranno restare soggetti ai finanziamenti italiani o europei, e quindi essere sempre il fratello povero ma pieno di capacità da sostenere e incoraggiare, questa è la strada. 

Ciò di cui ha però bisogno il Paese è altro, è l’autonomia. Autonomia non significa però l’eroica rinuncia a qualsiasi forma d’incentivo economico, significa solo indipendenza. La mira, per essere chiari, potrebbe: essere entrate autogenerate 57%, sussidio statale 25%, governi locali 18%. In questo modo, il bene avrebbe sempre e comunque la possibilità di autogestirsi, decidere le proprie politiche, e da azionista di maggioranza essere libero di individuare laicamente la propria strategia, indipendentemente dalla parte politica da compiacere o almeno da non irritare. Da parte dello Stato e dei Governi Locali ci sarebbe la possibilità di decidere se erogare o no in base al merito dimostrato.
A proposito di merito non si può continuare a sbandierare questa sorta di chimera davanti agli occhi dei giovani e dei meno giovani, che in compenso vedono e sperimentano finanziamenti erogati sulla base di parole, di progettualità fumose, di personalità già accreditate o comunque dall’incerto valore. L’esempio dovrebbe venire dallo Stato, e dall’esempio nascerebbe lo sprone. I finanziamenti pubblici, il pubblico sostegno dovrebbe essere a erogazione diretta mediante studiati e fondi di sostegno. Dovrebbe essere selettivo. Alla fine di ogni anno, sulla bilancia dei meriti dovrebbero essere i risultati ottenuti a designare i meritevoli. Dai paesi del nord dell’Europa giungono esempi gestionali che non sarebbe difficile adattare ai nostri beni. Inutile ribattere che la complessità e l’estensione del nostro patrimonio non possono essere paragonati a quello di questi paesi. Ovvio, scontato, ma la metodologia gestionale può tranquillamente essere studiata ed adattata. Forse è solo poco conveniente per chi ha saputo fino ad oggi prendere dai nostri beni culturali non avendo la capacità di curarne la redditività.
“L’antico Palazzo Fuga, riparte come luogo di solidarietà e accoglienza – ha dichiarato il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.- Il nostro obiettivo non è quello di creare un dormitorio o un “parcheggio di persone”, ma di dare vita ad un progetto diverso. C è la voglia di realizzare un vero punto di riferimento per i senzatetto in gravi difficoltà. Inoltre stanno per avviarsi gli importanti lavori di riqualificazione di piazza Carlo III. Si tratta di un’iniziativa che diventerà simbolo culturale della città stessa. Stiamo promuovendo una rete di collaborazione con l’intervento di psicologi e avvocati. Sono ben accetti tutti gli aiuti economici che le varie associazioni umanitarie vogliono darci. Il Rotary Club si è offerto per l’acquisto delle docce. Questa è una risposta concreta alle politiche di ostilità del governo centrale e di quello regionale.”. Questo il comunicato del 3 dicembre 2015 fatto dal sindaco uscente De Magistris. Senza neanche considerare se tate annuncio sia o meno una boutade elettorale, basterebbe porre solo una domanda: chi paga? Per ristrutturare e poi per mantenere. Il sindaco parla del contributo del Rotary club, addirittura indica un conto corrente per cittadini o imprese desiderose di fare un po’ di beneficenza.”. È possibile anche contribuire attraverso il c.c.p. n. 22157804 intestato al Comune di Napoli (Causale: Real Albergo dei Poveri). Ci auguriamo che le Istituzioni locali vengano sempre più incontro a cause sociali del genere. Se una fetta di Napoli piange, qualcuno le asciughi le lacrime, restituendole dignità e cultura.”
??? Ne metterei 1000 di punti interrogativi 75000 mq tra spazi chiusi e aperti da ristrutturare e mantenere con elemosine e finanziamenti??? E poi le pulizie, il cibo, l’ordinaria amministrazione della struttura? Con un comune che se non è in fallimento ha un deficit quanto meno preoccupante. La prossima volta spiegherò come, con una diversa tecnica gestionale, mettere a reddito una struttura del genere e ridare a Napoli il ruolo di centro della cultura europea. Per sempre.