Coronavirus: fra scanner e autocertificazioni occhio a privacy in azienda

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Roma, 26 feb. (Labitalia) – Di fronte all’emergenza coronavirus, molte aziende si sono attivate con misure straordinarie e di precauzione, dalla temporanea chiusura a provvedimenti più duttili come lo smart working, i permessi retribuiti o il rafforzamento e l’esortazione ai collaboratori per maggiore attenzione alla norme igieniche e relativi decaloghi. Ma, nell’emergenza, da parte di alcune aziende sono state adottate anche misure quali l’obbligo per il dipendente e il visitatore dell’azienda di passare un controllo allo scanner termico che raccoglie e conserva ‘dati particolari’ (ad esempio la temperatura corporea), oppure di autocertificare per iscritto di non aver visitato recentemente aree a rischio, ma anche di non aver incontrato persone provenienti da tali aree o, addirittura, di non aver avuto una temperatura pari o superiore a 37,2 nelle ultime due settimane.

Ma se da un lato, come confermato dal parere della stessa Autorità Garante per la protezione dei dati personali, la necessità di salvaguardare la sicurezza e la salute dei cittadini consente una compressione della loro riservatezza per motivi straordinari e di pubblico interesse, lo stesso non può dirsi per le aziende, come spiega Martini di Rödl & Partner, colosso internazionale nella consulenza legale.

“In primo luogo, i soggetti privati, come le aziende, non godono dell’esenzione dall’obbligo di richiesta del consenso degli interessati; in secondo luogo, appare ignorato il principio di minimizzazione del trattamento, cioè la raccolta della quantità minima e necessaria di dati”, spiega Nadia Martini, di Rödl & Partner.

“Quindi – si domanda il legale – quale l’utilità di sottoporre la persona a uno scanner termico ove raccolga e conservi ‘dati particolari’ o alla specifica autocertificazione, e quale il beneficio della conseguente raccolta di dati personali rispetto a una più semplice comunicazione indirizzata a una serie di destinatari non individuati?”.

“La normativa – ricorda – ruota intorno alla necessità di perseguire uno scopo con un minor trattamento di dati personali possibile, se non addirittura evitandolo. Cosa che, in questo specifico caso, ben potrebbe avvenire con una semplice sostituzione del modulo di autocertificazione con una comunicazione ai dipendenti, oppure con un avviso affisso all’ingresso dell’azienda con cui si invita chiunque abbia soggiornato in aree a rischio o presenti sintomi a non entrare nella sede”.

“Inoltre – evidenzia l’esperto legale – occorre valutare tutti gli altri profili legali che potrebbero nascere dalla raccolta dei dati oggetto di scanner e dalle autocertificazioni. In particolare, queste ultime richiedono la valutazione circa il valore giuridico del documento, nonché la necessità di dimostrare la veridicità delle informazioni indicate”.