“L’Araba fenice nazifascista”, Procolo Ascolese: Il passato non va mai sottovalutato

348
in foto Procolo Ascolese

di Nico Dente Gattola

Perché il Führer voleva sterminare gli Ebrei? Da questo l’interrogativo che anima il saggio scritto da un professore, Sem Deutscher, parte l’ultima fatica letteraria di Procolo Ascolese, avvocato e magistrato onorario e scrittore. “L’araba infelice nazifascista” è una storia ambientata nei nostri tempi e descrive la difficoltà di questo professore a far pubblicare il testo.
All’ apparenza potrebbe sembrare una vicenda come tante, con le difficoltà che può trovare un autore non professionale, con in più motivazioni anche in fondo di natura politica. In realtà non è proprio così o meglio la delicatezza del tema si scontra con le debolezze tipiche  del nostro tempo.
La risposta infatti si annida nel Palazzo di giustizia di Sondrio, fra le pieghe di un processo penale carico di colpi di scena, che vede seduti al banco degli imputati, con le gravi accuse di corruzione e traffico internazionale di sostanze stupefacenti, militari di frontiera e narcotrafficanti: lo Stato, da un lato, e l’anti-Stato, dall’altro.

Caro Procolo sei avvocato, giudice onorario e scrittore: queste anime tra di loro apparentemente distinte hanno una sintesi comune? Come coesistono in te?
L’elemento che le accomuna è senz’altro l’amore per la conoscenza e, in particolare, per i temi della giustizia penale. Ho sempre pensato, infatti, che i vari campi della conoscenza costituiscano un patrimonio indispensabile, al quale l’operatore del diritto debba sempre attingere, perché, in fondo, quando si parla di psicologia, di economia, di sociologia, di rapporto fra bene e male, si parla sempre di aspetti della vita che solo apparentemente vanno oltre l’ambito professionale di un avvocato o di un giudice. Basti pensare che, quando si parla di un delitto come l’omicidio, non si può non parlare anche di psicologia; quando si parla di un furto commesso in stato di necessità, non si può non parlare anche di economia; quando si parla di reati edilizi, non si può non parlare anche di sociologia; e quando si parla della quantità di pena da infliggere a un criminale, non si può non parlare del rapporto fra bene e male. Ecco perché ritengo che gli interessi culturali di un operatore del diritto e la sua professione siano più vicini di quanto si possa immaginare.

Il tuo ultimo libro rappresenta una valida sintesi di queste anime?
Ritengo di sì, perché si tratta della storia di un militare di frontiera chiamato a difendersi dall’ingiusta accusa di concorso in corruzione e traffico internazionale di stupefacenti, per poi scoprire che il suo destino si intreccia con quello di un docente di storia, autore di un saggio contro l’antisemitismo di matrice hitleriana.

Come nasce “L’araba infelice nazifascista”? Ci sembra non solo un romanzo a sfondo giuridico ma anche una critica dell’epoca che stiamo vivendo…
L’idea nasce dall’esigenza di rispondere a in interrogativo da cui, nel 2014, in occasione del Giorno della memoria, la senatrice a vita Liliana Segre si era mostrata assalita: “Perché?… Io non me la sono data questa risposta, non me la darò mai, perché sono una persona normale!”. Ecco come è nata l’idea di scrivere questo libro: ho innanzitutto immaginato la figura di un docente di liceo, il prof. Sem Deutscher, il cui nome (che non a caso è un tipico nome ebreo) e il cui cognome (che non a caso significa tedesco) già rappresentano la speranza dell’integrazione fra culture e popoli diversi. Ho poi immaginato un rigurgito di nazifascismo antisemita, prima ancora che le recenti notizie di cronaca cancellassero le rasserenanti discrepanze fra realtà e fantasia.

In prima battuta si coglie una lucida analisi della nostra società in cui certi rigurgiti nazifascisti del passato si affacciano… alcuni personaggi trasmettono una nostalgia dei tempi andati?
Sì. Sarà proprio un personaggi del libro, infatti, ad aderire ad un’associazione segreta, che individua nell’ordinamento democratico un ostacolo alla liberazione dell’Italia dalle gravi ingiustizie sociali che l’affliggono. 

Più in generale il passato può tornare? O è solo uno strumento nelle mani di persone incompetenti che rimarrà uno slogan o poco altro?
Purtroppo la speranza che la storia abbia relegato l’antisemitismo nell’ambito di un passato senza ritorno rischia di naufragare se si sottovaluta la pericolosa attestazione di alcuni gruppi di persone su posizioni antidemocratiche, destinate a minare la tutela dei valori della persona, del lavoro, della dignità, della libertà e dell’uguaglianza.

Nel libro ho colto come il rigurgito nazifascista sia anche la conseguenza di una società come la nostra priva di valori… direi debole…giusta la mia riflessione? Era quello che ti proponevi di trasmettere al lettore?
Sì, ritengo che ogni rigurgito di nazifascismo antisemita affondi le sue radici in alcuni strati della nostra società, dominati da una visione dei rapporti umani fondata sulla competizione a tutto campo e sull’emarginazione in danno di quanti, partendo da condizioni economiche e sociali svantaggiose, sono destinati a soffocare le loro potenzialità e a privare la nostra società del loro prezioso contributo.

Dico bene se dico romanzo a sfondo giuridico? Il processo è uno scontro tra lo Stato e l’antistato… Chi prevale ? Lo Stato non sembra uscirne bene…
Sì, si tratta di un romanzo a sfondo giuridico, dal quale emerge quanto difficile possa essere l’accertamento della verità, che spesso richiede punti di riferimento, momenti di riscontro, passaggi obbligati.
Tutto ciò, però, non significa che lo Stato non possa prevalere sull’antistato; ma, affinché ciò accada, è necessario che il processo penale conservi la sua natura di strumento di verità.

Mi ha molto colpito la figura di Karl Gadex per la sua parabola che potrebbe riguardare tanti che all’apparenza hanno una vita e una carriera impeccabile e a partire da un semplice episodio precipitano nell’illegalità…
Il mutamento di rotta operato dall’ufficiale Karl Gradex sembra incredibile; eppure riflette la realtà riportata dalle notizie di cronaca giudiziaria relative ai non pochi casi di pubblici ufficiali che hanno distrutto la loro vita, sconfinando nell’area patologica della concussione, dell’abuso d’ufficio, della corruzione.
Il confine tra lecito e illecito è molto labile…e basta un poco per deviare… questo sembra la morale che ci lascia il suo personaggio…
il personaggio di Karl Gradex dimostra che, per restare integerrimi, occorre anche evitare che alcuni sentimenti, quali l’amicizia e l’amore, ci leghino a persone sleali. Non bisogna dimenticare, infatti, che la verità conduce all’amore, ma l’amore può accecare e sottoporci alla falsità.

Nel libro fa capolino l’ipotesi che l’errore giudiziario possa stravolgere la vita delle persone… giusta sensazione?
Certo: la verità del giudizio attraverso il processo è proprio uno dei temi affrontati nel libro, che rivela quanto pericolose possano essere le conseguenze di un’accusa infondata, deleteria la sofferenza di chi la subisce, devastante la disperazione dell’imputato innocente, il quale, in alcuni casi, può avere la sensazione di difendersi inutilmente, di annaspare in sella a una bicicletta sospesa nel vuoto e destinata, come tale, a rimanere inesorabilmente ferma.

Quello che colpisce in generale nel corso della storia è che l’apparenza può arrivare a condizionare anche la legge… nel senso che una sensazione … la considerazione che si ha di una persona … può portare ad una condanna ancor prima dell’emissione di un verdetto….insomma di arrivare ad una sorta di condanna morale prima dell’emissione di una sentenza…concordi?
Nell’ottica dell’imputato sì, perché talvolta i confini che separano la verità apodittica del processo da quella vera possono apparire così evanescenti da indurlo a vedere la sua innocenza offuscata, letta in chiave accusatoria, come espressiva della naturale tendenza di ogni imputato a sostenere la propria estraneità ai fatti, vera o falsa che sia. 

Alcuni personaggi del libro appaiono vittime di questo….le norme non sempre appaiono neutre … per loro…  giusto?
Più che la neutralità delle norme, alcuni personaggi temono l’incapacità degli operatori del diritto di consentirne l’applicazione nei soli confronti di coloro che abbiano realmente infranto la legge.

Il finale del libro è però un messaggio positivo per la giustizia…perché alla fine si dimostra che la legge è uguale per tutti… giusta sensazione?
Sì, nella sua parte finale, il libro vuole dimostrare che, anche quando è sepolta nella sua tomba, la verità non è morta e, come tale, può essere sempre riscoperta.

In ultimo dove ti porta il tuo percorso di scrittore? Ed in futuro dentro di te quale animo prevarrà? Scrittore, avvocato o magistrato onorario?
Non so dove mi porti il mio percorso di scrittore, ma so che qualsiasi cosa mi riserverà il destino, l’anima dello scrittore convivrà sempre con quella dell’avvocato e con quella del giudice onorario, senza che mai l’una prevalga sulle altre due.