Tifare sempre per lo smart working, non disgiunto dalla settimana corta

(foto Imagoeconomica)

L’I-AER, di Castellanza (città definibile uno dei cuori pulsanti dell’economia italiana), ha redatto la sua ultima importante ricerca sul mondo delle Piccole e Medie Imprese Italiane, al quale (per inciso) ha riversato le sue conoscenze tecnico-scientifiche, in ambito economico, contribuendo, così, ad innalzare la sostenibilità del tessuto industriale nazionale. Tale ricerca ha ispirato l’articolo sul Corriere della sera, di ieri, dal titolo “Lavoro, con smart working e settimana corta si risparmia: metà delle Pmi sono favorevoli” a firma di Andrea Buonafede (https://www.corriere.it/economia/lavoro/23_agosto_30/lavoro-smart-working-settimana-corta-si-risparmia-meta-pmi-sono-favorevoli-1bba3b72-4362-11ee-8a33-1d59c27d90e8.shtml#:~:text=Pi%C3%B9%20di%20met%C3%A0%20delle%20Pmi,nei%20confronti%20della%20settimana%20corta).

Le considerazioni principali emerse dalla ricerca, condotta su circa 500 imprenditori italiani, sono due:

Intenso è il raccordo del tema con la recente letteratura economica fiorita, con spunti interessanti provenienti anche dalla comunicazione economica specializzata, per correggere, per quanto possibile, le difficoltà, e le distorsioni nei dati, di raccordarsi con il luogo del lavoro, derivanti dalla pandemia Covid 19. Mi si consenta di citare: Smart working (e Dad) al centro della modificazione dei processi produttivi (e formativi) 24 Luglio 2023 (https://www.ildenaro.it/smart-working-e-dad-al-centro-della-modificazione-dei-processi-produttivi-e-formativi/)

In questo articolo si esprimeva la meraviglia che, non si poteva forse immaginare che, un giorno, Smart Working e Dad fossero strumenti prodromici, ad iniziare dal vocabolario di un vero e proprio flusso di parole, e dalla letteratura  di vere e proprie  idee e flussi linguistici. per una nuova “riorganizzazione”, delle unità produttive, da una parte e formative dall’altra, che fossero al centro, quindi, di un segnale evolutivo sicuro per l‘intera società, tanto da riprodurre un vero e proprio capitolo o comparto  dell’organizzazione aziendale e dell’organizzazione sociale. Un  probabile movimento all’inizio, ma in pochissimo tempo, diventato sicuro che tanto più forte a condizione di realizzare la difesa della produttività, valida per qualunque sistema economico alla base, si impone di assicurare, esso stesso la necessaria tutela  del capitale umano che va  stimato statisticamente  e rilevato contabilmente per la sua complessiva  quantificazione.

In alcuni Paesi la settimana lavorativa, a decorso sempre più breve nel tempo di quello attuale, è una realtà più concreta che  sposandosi, come si è detto,  con un miglioramento della produttività,  favorisce un’inversione dei valori insiti in ognuno di noi sistemando, in modo nuovo, la scala gerarchica   degli aspetti principali afferenti alla vita personale.

Le  rivoluzioni Smart-working e Dad consentono (si affermava in questo mio contributo a il denaro.it) di cimentarsi con i pilastri di quelle competenze che consentono di dedicare anche per tre giorni settimanali, ad un lungo week end, al proprio relax  adempiendo a ciò che non si riesce a  portare a termine nei giorni lavorativi. L’auspicio atteso o la lotta da realizzare è  che la remunerazione della forza lavoro  non sia intaccata e che venga assicurata a parità di produttività. Sarebbe limitativo pensare di attuare tutto questo prendendo a prestito e traslare mutatis mutandis  l’immagine kuznetsiana  della “parità di tecnologia dei processi produttivi” associato allo slogan “lavorare meno lavorare tutti”  noto anche per essere  stato ripreso 8 anni  fa  da Claudio Gnesutta. che affrontò la portata politica su il Manifesto.

Si aprono a questo punto vari percorsi di investigazione scientifica per affrontare il problema, non tutti forieri di  risultati positivi per spiegare soddisfacentemente la riduzione dell’orario di lavoro a favore di tutto un collettivo di lavoratori. Si rimanda, quindi, allargando il discorso, ad alcuni effetti della transizione scuola-lavoro (TSL) all’articolo “Così smart working e Dad accelerano la rivoluzione dei processi produttivi e formativi” di questo blog “Così smart working e Dad accelerano la rivoluzione dei processi produttivi e formativi” 12 Settembre 2022 (https://www.ildenaro.it/cosi-smart-working-e-dad-accelerano-la-rivoluzione-dei-processi-produttivi-e-formativi/) di cui si caldeggia la lettura ulteriore per gli altri aspetti connessi considerati. Infatti, la tematica è molto ricca di scottanti, e, al tempo stesso, di interessantissime evoluzioni che comportano importanti effetti, non sempre connotati positivamente peri j territori, per il Paese, per l’Europa, al Globo intero, alle categorie professionali che vogliono tenersi informate, ai giovani, in formazione ed al  loro assorbimento nel mercato del lavoro, alla transizione nei comparti, agli anziani, ai pensionati, ecc., assieme alle generazioni future tanto citate in tema di impegni per loro a che le nostre scelte, a partire da quelle di oggi, siano compatibili col rispetto loro dovuto (dei vincoli) nonché, quelli più affinati e sensibili, con decisioni compensatorie circa i danni già procurati dalle precedenti generazioni. La situazione va quindi monitorata, trattandosi di una tematica base e filtro, per altro ed, a questo scopo, è possibile farlo con soddisfazione, seguendo un sindacato, presente in tutte le Regioni italiane, con legami e propaggini, in itinere, di valenza europea che è in continuo contatto con le istituzioni preposte, Parlamento incluso, alla redazione ed alla approvazione dei decreti legislativi, oggi di moda.

Ma la base dati dell’ I-AER -Institute of Applied Economic Research, proposta nell’articolo di Andrea Buonafede, del Corriere della Sera di ieri, ci porta ad una valutazione di una serie di aspetti riguardanti il campione dei 500 imprenditori italiani. Ad esempio, il Corsera commenta: “I settori più inclini a implementare lo smart working sono quelli associati alle professioni intellettuali o esecutive del terziario, come i servizi correlati alla finanza e all’economia: in particolare, le professioni che coinvolgono la gestione delle informazioni e della comunicazione (34%), consulenze (17,5%) o servizi online (24%) risultano più adatte per essere esercitate a distanza. A livello geografico, le PMI italiane del Nord-est sembrano essere quelle che hanno maggiormente sfruttato i vantaggi dello smart working, con una percentuale di adozione che coinvolge il 70% delle imprese in queste regioni. Nel Nord-ovest, la percentuale è del 53%, nel centro del Paese si attesta al 57%, mentre nelle aree geografiche meridionali si ferma al 28%. Questi dati possono essere attribuiti, molto probabilmente, a diversi fattori, come la concentrazione di numerose PMI nel Nord Italia e la presenza di settori di servizi altamente digitalizzati”

Infine i due punti importanti per configurare il problema agitato in questa sede che sviscerano

1) Pro e contro del lavoro agile

“Dalla ricerca emerge che il passaggio al lavoro da remoto può comportare una riduzione dei costi operativi per le Pmi fino all’8%, dall’abbattimento delle spese per l’ufficio (come il mantenimento degli spazi e l’approvvigionamento di forniture), fino ai minori consumi di risorse come elettricità e trasporti. Inoltre, secondo i dati, le Pmi possono risparmiare in media circa 1.000 euro all’anno per ogni postazione di lavoro, cifra che può arrivare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore se associata alla decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%. Non mancano le criticità: la responsabilizzazione sul raggiungimento degli obiettivi risulta essere un ostacolo per il 37% delle imprese, mentre l’isolamento rispetto alle dinamiche di ufficio preoccupa il 18%. Questi sono alcuni dei motivi per i quali, dopo l’impennata — forzata dal Covid — dell’utilizzo dello smart working (48%), ora si sia ritornati ai livelli pre-pandemia (15,4%). «Il nostro Paese deve superare diverse sfide: la più grande è il tema della competitività, se le imprese italiane non capiscono che devono muoversi attraversi questi paradigmi, perderanno attrattività, soprattutto verso i più giovani — spiega Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER —. Inoltre, vanno superate le difficoltà organizzative del lavoro da remoto e quelle di investimento: le attrezzature e le strumentazioni per lo smart working costano e ora le aziende sono impegnate su altri fronti, come l’inflazione, la richiesta di aumento dei salari da parte dei dipendenti e la stretta sul credito da parte delle banche».

  • E la settimana corta

“La settimana corta risulta un tema meno caldo dello smart working, ma non per questo dai risvolti poco interessanti. Il 50% degli intervistati si esprime infatti favorevolmente a tale forma di lavoro, il 40% è parzialmente d’accordo e ne prevede la possibile introduzione nei prossimi tre anni, il 10% invece non è favorevole perché ritiene non efficace questa modalità di lavoroLa settimana corta sembra essere favorita dalle Pmi nel settore dell’industria, edilizia e artigianato, dove la natura delle mansioni richiede spesso la presenza fisica sul luogo di lavoro. Un tema che, però, fatica ancora a penetrare nelle aziende italiane. «Lancio una provocazione: in Italia la settimana corta c’è già, perché in molte aziende il venerdì pomeriggio e il lunedì mattina sono più scarichi, ma spesso si fa finta di non vederlo — afferma Papa —. Quello di cui c’è bisogno è una visione più umanocentrica, che si curi dei bisogni dei dipendenti. Il welfare aziendale e statale non è soddisfacente ed è poco incentrato sulle famiglie. Chi adotterà questi sistemi si svilupperà più velocemente, perché sono tutti meccanismi per attrarre e trattenere i talenti».