Unioncamere: La bioeconomia fa bene alle imprese e al Paese. Ecco la prima fotografia della filiera in Italia

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in foto Franco Bassanini

È stato presentato oggi a Roma, in occasione dell’evento: “La Bioeconomia circolare in Italia: caratteristiche delle imprese e opportunità di sviluppo” il report Bioeconomia. Prima indagine diretta a livello territoriale sulle imprese italiane e sulle filiere produttive della bioeconomia, realizzato dal Cluster Spring, Unioncamere e dal Centro Studi Guglielmo Tagliacarne, in collaborazione con Astrid, Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, Symbola, Svimez, Srm, Università della Campania Luigi Vanvitelli, Università Suor Orsola Benincasa, Materias. Si tratta di uno studio, svolto su un campione di 2000 imprese nel periodo 2022-2023, che fotografa caratteristiche e orientamenti delle imprese della bioeconomia1, un meta settore che, secondo recenti dati, incide per l’11% sul valore della produzione dell’economia nazionale. L’indagine è suddivisa in 5 capitoli: profilo delle imprese biobased; scenari della bioeconomia; vantaggi e performance economiche; fonti di finanziamento e policy; profilo sociale delle imprese. Conclude l’indagine un focus sul settore “Tessile-abbigliamento” a cura di Intesa Sanpaolo.

Profilo delle imprese biobased

  • Le imprese biobased si concentrano nei settori tipicamente Made in Italy (Alimentari, bevande e tabacco 13,5%; Tessile 8,9%; Abbigliamento 7,9%) e sono principalmente di media e piccola dimensione (il 45,6% di esse ha tra 20 e 49 addetti).
  • A livello territoriale è il Nord a registrare il maggior numero di imprese, con circa il 65% del totale.
  • Il 72,5% delle imprese biobased produce per il mercato finale, dimostrandosi superiore alla media generale delle imprese (67,3%)2.
  • Nel 61,7% dei casi le imprese sono born biobased (cioè, nate con caratteristiche di bioeconomia); il rimanente 38,3% sono neo biobased (cioè hanno orientato le proprie produzioni verso modalità biobased successivamente alla )
  • Il 60% circa delle imprese biobased ha esportato i propri prodotti all’estero e l’attività di esportazione resta una prerogativa soprattutto delle imprese di maggiori dimensioni: esporta l’86,0% delle imprese con 250 e oltre addetti, a fronte del 37,3% delle aziende con 10-19

Scenari della bioeconomia

  • Le motivazioni alla base dello sviluppo di prodotti a base bio sono principalmente legate alla naturale evoluzione del settore (74,8% del campione), alla richiesta del mercato di riferimento (67%) e alla volontà di innovare il processo produttivo dell’azienda (64,8%)
  • I vantaggi del biobased hanno motivazioni diverse: si va da quella legata a questioni etiche a quella connessa con la competitività, come il “Miglioramento dell’immagine e della reputazione aziendale” (74,9%), passando per quella legata all’impronta ambientale, come la “Riduzione degli impatti ambientali” (73,1%).
  • Il 37% delle imprese intervistate dichiara che amplierà la produzione biobased nei prossimi tre Una scelta che tende ad aumentare al crescere della dimensione aziendale

Vantaggi e performance economiche

  • Le Imprese biobased registrano migliori performance rispetto alle non biobased sia in termini di fatturato (il 50,5% delle imprese bio ha registrato un aumento del fatturato nel 2022 vs il 42,8% delle non bio) che di resilienza (il 34,8% delle imprese bio ha superato nel 2022 i livelli produttivi pre-Covid vs il 25,1% delle non bio).
  • Transizione green e transizione digitale caratterizzano le imprese biobased: il 57,0% delle imprese indagate ha infatti investito nelle tecnologie 4.0 nel periodo 2017-2021 e/o vi sta investendo nel periodo 2022-2024 (vs il 45,4% delle imprese non biobased). Il 68,1% delle imprese biobased (vs il 36,6% delle non biobased) ha investito in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e/o a minore impatto ambientale. L’anima green delle imprese bio trova riscontro anche in due evidenze: a) il 20,7% delle imprese biobased (vs il 6,5% delle non biobased) affida la gestione della sostenibilità ambientale a una o più figure preposte (manager della sostenibilità, Comitato sostenibilità, Comitato rischi e sostenibilità); b) il 15,8% delle imprese biobased (vs il 3,9% delle non biobased) redige una rendicontazione di sostenibilità.
  • Grande attenzione nel comparto anche per il capitale umano: Il 55,1% delle imprese biobased investono in attività che favoriscono la salute e/o il benessere dei lavoratori (welfare aziendale) e la conciliazione casa-lavoro, oltre a quanto specificatamente previsto dalla legge (vs il 42,6% delle non biobased). Attenzione al lavoro non solo dal punto di vista sociale, ma anche professionale: il 62,2% delle imprese bio ha avviato percorsi formativi per i propri dipendenti nel biennio 2017-19 e sta continuando a farlo anche nel biennio 2022-24 (vs il 55,1% delle non bio).
  • L’open innovation caratterizza fortemente il settore; il 66,7% delle imprese biobased ha infatti adottato un modello «aperto» di innovazione (vs il 48,6% delle non biobased)
  • Forte è la propensione delle imprese biobased a investire in RsS: il 60,7% delle imprese biobased ha effettuato investimenti in RCS nel periodo 2017-19 e sta continuando ad investire nel triennio 2022-24 (vs il 42,5% delle non biobased). Questo si riflette anche nella più elevata capacità di depositare nuovi brevetti, lo sbocco più «solido e competitivo» dell’attività innovativa aziendale: il 28,4% delle imprese bio ha depositato un brevetto vs il 15,3% delle non bio.

Fonti di finanziamento e policy

  • Risorse proprie e prestiti bancari sono le fonti di finanziamento a cui ricorrono maggiormente le imprese: il 73,5% nel primo caso e il 60,9% nel secondo
  • Riconversioni produttive, strategia nazionale, formazione e cultura della bioeconomia sono i principali motivi alla base delle richieste di sostegno finanziario

Profilo sociale delle imprese biobased

  • Circa il 12% del campione è un’impresa bio-sociale, possiede cioè una o più certificazioni (di qualità, ambientali, sociali)
  • Le imprese bio-sociali sono presenti in quasi tutti i settori, con una percentuale maggiore rispetto alle altre imprese in edilizia, farmaceutica, chimica, carta e alimentari

LE DICHIARAZIONI
Franco Bassanini, Presidente Astrid
“Il settore della bioeconomia circolare, che da solo vale oggi più del 10% del PIL ed è in rapida crescita, è cruciale sotto molti profili, per il contributo che da’ alla transizione energetica e ambientale, ma anche per quello che da’ alla competitività del Paese e alla riconversione del nostro sistema produttivo. Ha dunque straordinaria importanza questa ricerca, che da’ del settore la prima approfondita radiografia, condotta su un campione di oltre 2.000 imprese. Ne emerge che queste imprese sono all’avanguardia per gli investimenti in innovazione e ricerca, per profittabilità e resilienza, per la compliance con i principi ESG, per la capacità di avvalersi degli strumenti della rivoluzione digitale. La loro crescita è dunque una buona notizia per il Paese: non solo perché direttamente concorrerà ad aumentare la produttività della nostra economia, ma anche per l’effetto di trascinamento che possono svolgere nei confronti di quei comparti del sistema produttivo che ancora stentano a comprendere i vantaggi di una riconversione verso modelli che sfruttino a pieno le opportunità della doppia transizione e che investano su ricerca e innovazione “.

Mario Bonaccorso, Direttore generale Cluster Spring
“L’indagine ci offre un quadro molto preciso sulla bioeconomia in Italia, che conferma come essa sia un driver potente di innovazione e di sviluppo sostenibile per l’intero made in Italy. L’impiego di fonti biologiche rinnovabili e di processi biotecnologici non è solo un’esigenza strategica dell’industria ma anche una richiesta precisa di un numero sempre crescente di consumatori e di cittadini. È necessario, perciò, fare in modo che i grandi sforzi compiuti per la ricerca e l’innovazione trovino un mercato di riferimento, attraverso l’implementazione di politiche adeguate di sostegno alla domanda per arrivare a un effettivo cambiamento di paradigma economico e sociale. In questo senso va anche la Comunicazione presentata il 20 marzo dalla Commissione europea, “Building the future with nature: Boosting Biotechnology and Biomanufactoring in the EU”, che propone 8 azioni concrete. Tra queste la semplificazione del quadro legislativo e un accesso più veloce al mercato per i bioprodotti e un sostegno adeguato allo scale-up delle tecnologie. Siamo certi che il governo italiano vorrà andare in questa direzione per salvaguardare e accrescere una leadership storica del nostro Paese nel campo della bioeconomia circolare e sostenibile”.

Amedeo Lepore, Università della Campania Luigi Vanvitelli e Cluster Spring
“L’indagine condotta a valle del protocollo d’intesa sottoscritto da Cluster Spring e Unioncamere è la prima in Italia e in Europa rivolta direttamente alle imprese della bioeconomia. La novità dell’analisi effettuata sta nella capacità di cogliere i mutamenti in atto in questo metasettore in rapporto con i processi effettivi di innovazione tecnologica e trasformazione industriale, attingendo le informazioni dalle imprese interessate. Questa interrogazione mirata ha permesso di ricavare un’immagine attuale di un fenomeno che sta investendo l’Europa, l’Italia e il Mezzogiorno in modo dirompente. A partire dall’esperienza iniziale della green economy, i territori meridionali si sono dimostrati attrattivi di nuove iniziative industriali e della riconversione di altre esistenti, seguendo un percorso dinamico e competitivo e ponendosi all’avanguardia della transizione ecologica. La bioeconomia circolare italiana si candida non solo a rappresentare esigenze di sostenibilità e di compatibilità della produzione con l’ambiente, ma a promuovere un percorso in grado di cogliere convenienze e interessi reali, attraverso investimenti in nuovi materiali, processi produttivi e prodotti con più lungo ciclo di vita, che possano condurre a un’economia tendenzialmente priva di residui ed emissioni nocive, in una logica di crescita”.

Gaetano Fausto Esposito, Direttore generale del Centro Studi Tagliacarne
“Le imprese della bioeconomia hanno una marcia in più nelle sfide che riguardano la doppia transizione, green e digitale, la relazionalità e la centralità del capitale umano: il 57% investe in tecnologie 4.0 contro il 54% delle non bio, il 68% realizza investimenti green contro il 37% delle non bio e il 62% realizza azioni di formazione per le proprie risorse umane contro il 55% delle altre tipologie di impresa. Si tratta quindi di aziende che hanno già recepito il moderno approccio “antropocentrico” dell’Unione europea, per una economia che pone al centro non solo l’ambiente ma anche il fattore umano”.