Euromed International Trade, spinta sull’accordo commerciale col Canada

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In foto Sergio Passariello

Quando si parla di CETA si intende il nuovo accordo commerciale tra l’UE e il Canada, volto a semplificare l’esportazione di beni e servizi, con indubbio vantaggio sia per i singoli cittadini che per le imprese contraenti.
La data in cui è entrato in vigore il CETA, anche se in via provvisoria, è il 21 settembre 2017 e prima di entrare pienamente in vigore, dovrà essere testato e approvato dai parlamenti nazionali e, in alcuni casi, da quelli regionali dei Paesi dell’UE, e resta chiaro che una prima conseguenza potrà essere la soddisfazione dei consumatori; se non altro perché l’apertura del mercato conduce sempre ad una maggiore scelta di prodotti e servizi a prezzi più competitivi. In secondo luogo ad essere soddisfatti saranno i lavoratori, e per molte categorie professionali italiane, sarà più facile fornire qualsiasi tipo di servizio, da quello tecnico a quello legale, in Canada. “Ricordiamoci inoltre che se il CETA permetterà una maggiore fluidità nel riconoscimento delle qualifiche professionali, sarà più agevole per le imprese, spostare il proprio personale all’altro lato dell’Atlantico”: è una affermazione di Sergio Passariello, ceo di Euromed International Trade, operativo tra Italia e Malta, a cui un approfondimento giunge doveroso.
Dottor Passariello, indipendentemente dal fatto che il Canada è sempre stata una terra da scoprire, ma perché l’ampia semplificazione dell’export dovrebbe impegnare proprio i rapporti dell’Italia con questo Paese?
-In primis perché l’Italia è tra i paesi della Comunità europea che ancora non ha deliberato la ratifica dell’accordo, sebbene le aziende italiane stiano già beneficiando delle positività burocratiche introdotte dall’applicazione provvisoria. Senza il CETA le aziende italiane coinvolte nell’export sono sicuramente più in difficoltà nella penetrazione del mercato, a causa delle barriere doganali esistenti, sia in termini burocratici che economici. Senza dimenticarci che su tantissimi prodotti e servizi esistevano dazi in entrata. Va evidenziato, inoltre, che prima dell’applicazione provvisoria del CETA, il commercio dei beni si svolgeva sulla base del trattamento della nazione più favorita (MFN), ossia era soggetto agli stessi dazi applicati dal Canada (o dall’Unione Europea) ai Paesi che non avessero sottoscritto alcun accordo bilaterale. Sebbene il livello medio di protezione tariffaria del Canada fosse già relativamente basso, persistevano tuttavia numerosi “picchi” tariffari in settori strategici per il Made in Italy, quali macchinari industriali, mobili (dazi fino al 9,5%), calzature (dazi al 20%), prodotti in pelle (dazi fino a 13%) e, per il settore agroalimentare, vino (dazi fino ai 7 centesimi al litro), pasta (fino all’8,5%), cioccolata (fino al 6%), pomodori (fino all’11,5%), acque minerali (esportazioni 39 milioni di euro, dazi 11%). E poi il Canada è la porta per l’America del Nord e per l’area del pacifico oltre ad avere una comunità italiana stanziale numerosa, produttiva e da rivalutare nei rapporti commerciali, culturali, sociali e professionali.
Lei ha spesso spiegato che i benefici ci saranno anche per le imprese, ma l’espansione delle aziende europee in Canada in conseguenza dell’apertura delle gare di appalto pubblico, come potrà garantire risultati per il nostro Paese che è sempre l’ultimo a partire ?
-Il CETA pone le basi normative proprio in un settore, come quello degli appalti pubblici, spesso sottovalutato, ma che rappresenta un terreno fertile per prospettive di business delle imprese italiane. Il Capitolo 19 delinea i settori in cui le imprese dell’Unione Europea e del Canada possono fornire beni e servizi ai rispettivi enti pubblici di tutti i livelli. Le norme previste dal CETA, favoriscono lo sviluppo di questo settore in quanto non solo si prevede la partecipazione diretta di aziende europee alle gare d’appalto e ai bandi che assegnano appalti pubblici, ma permette ai settori collaterali (forniture di attrezzature, trasporti su strada ferrata, apparecchiature per la generazione di energia, sia tradizionale che da fonti rinnovabili) di poter crescere nel mercato. A tale proposito oltre il 25% delle esportazioni italiane in Canada sono costituite proprio da macchine di impiego generale (motori a combustione interna, turbine e turboalternatori, apparecchiature fluidodinamiche, macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione, macchine e apparecchi per le industrie chimiche, petrolchimiche e petrolifere, ecc.), macchine per impieghi speciali (macchine per la metallurgia, macchine da miniera, cava e cantiere, ecc.), autoveicoli e macchine per la formatura dei metalli e altre macchine utensili (dati ICE relativi al primo quadrimestre del 2018). Inoltre va evidenziato che in Canada il mercato provinciale degli appalti pubblici ha un volume doppio rispetto a quello federale e le imprese europee saranno le uniche extra-canadesi a poter partecipare agli appalti per la fornitura di beni e servizi. In totale, la pubblica amministrazione canadese acquista beni e servizi per un valore di centinaia miliardi di euro ogni anno. A tal proposito il Canada ha deciso di venire incontro alle piccole e medie imprese europee pubblicando tutti i bandi di gara in un unico sito dedicato agli appalti pubblici, bypassando il problema della reperibilità delle informazioni e garantendo maggiore trasparenza. Tutto ciò, con un accordo bilaterale Italia-Canada e senza il CETA non era possibile.
Riguardo alle esportazioni; sono stati previamente presi degli accordi con le nostre Agenzie delle Dogane, per garantire semplificazioni burocratiche per la registrazione dei prodotti che verranno?
-In realtà la Comunità Europea aveva già uno strumento burocratico centralizzato e semplificato, Il sistema REX. È stato introdotto proprio nell’ottica di semplificazione e razionalizzazione della normativa doganale e per agevolare la certificazione dell’origine preferenziale all’interno del Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG). Lo stesso sistema REX è utilizzato anche per la certificazione dell’origine nel quadro di Accordi commerciali preferenziali come il CETA. Tale sistema semplifica le procedure doganali di esportazione, consentendo agli esportatori registrati di certificare l’origine preferenziale con una dichiarazione su fattura o su altro documento commerciale. Una volta assegnato, il numero REX è unico e l’esportatore registrato lo utilizza per tutte le sue esportazioni, sia con riferimento agli Accordi preferenziali che prevedono l’applicazione di questo sistema, sia in ambito SPG. L’Agenzia delle Dogane già in data 16 settembre 2017 aveva subito emanato una circolare relativa all’operatività del Sistema degli esportatori registrati (REX – Registered Exporter), proprio riferita agli scambi tra Unione Europea e Canada per velocizzare e garantire agli esportatori verso il Canada l’attribuzione in tempi rapidi nella registrazione al REX. Non vi è dubbio che in Italia e tra le PMI esiste una disinformazione enorme su tali procedure, specialmente al meridione, tale da indurre molte aziende a non considerare il Canada come mercato da esplorare.
Lei stesso ha riconosciuto che nel processo di trasparenza delle pratiche di gara, la mancanza di accesso alle informazioni è uno dei maggiori ostacoli per le piccole imprese in mercati esteri. Cosa si potrà sopperire nel tempo a tale inconveniente?
-Come ho spiegato prima, il Canada per garantire la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, ha deciso di istituire un portale web dedicato agli appalti pubblici, proprio per garantire trasparenza e fruibilità delle informazioni. Il portale è in doppia lingua, francese ed inglese, e rappresenta un’ottima opportunità per le nostre PMI al fine di verificare e valutare l’opportunità di partecipare a gare d’appalto anche in Canada. Non vi è dubbio che per affrontare tale sfida, bisogna anche strutturarsi al meglio ed avviare un processo di internazionalizzazione aziendale consapevole e professionale. Proprio sul tema, è di fondamentale importanza per le imprese partecipare a network professionali che possano garantire il contatto con professionisti e/o partner locali. Noi di Euromed International Trade supportiamo proprio questo tipo di attività.
Possiamo stimare i tempi di completamento della fase provvisoria iniziale e le corrispondenti risultanze?
-Purtroppo non è semplice stimare la durata della fase provvisoria, in quanto trattandosi di un accordo misto entrerà in vigore solo una volta che ogni singolo paese dell’UE l’avrà approvato. Le procedure di approvazione di ciascun paese possono richiedere diversi anni. Intanto non bisogna perdere tempo prezioso e l’invito che rivolgo alle imprese italiane è quello di sfruttare al massimo l’opportunità dell’applicazione provvisoria in quanto, anche se si dovesse arrivare alla mancata ratifica definitiva, le aziende avrebbero comunque posizionato i propri prodotti e servizi sul mercato e tessuto quei rapporti imprenditoriali tali da consentirgli di continuare a lavorare. È ciò che è accaduto in questi anni quando non era in vigore il CETA. Le poche aziende che avevano creduto nel mercato, in particolare quelle del Nord Italia, si sono trovate in una posizione di vantaggio ed oggi sono le prime a trarre i benefici dell’accordo.
Se il Canada ha deciso di proteggere il 30% dei prodotti europei che risulterebbero essere italiani, in quanto già presenti sul mercato con comprovate reputazioni di qualità, quali sono le categorie di questi prodotti che provengono dal sud Italia? Ricordiamo infatti le sue parole su ciò che conta realmente, che è il valore del brand italiano e la sua autenticità?
-Prima di tutto voglio evidenziare che l’inclusione di una disposizione in tema di IG va considerata come un successo delle trattative, considerata la tradizionale posizione del Canada rispetto al concetto europeo di IG e ai conflitti tra le due parti in merito ad alcuni nomi. Un altro elemento positivo dei negoziati è il fatto che l’UE ha ottenuto qualche tutela per specifiche IG europee in Canada, laddove prima non poteva essercene nessuna. Per l’Italia, nel CETA, sono coinvolte 41 denominazioni DOP e IGP (corrispondenti a 36 prodotti agroalimentari) e complessivamente il CETA tutela il 98% dell’export di prodotti DOP e IGP in Canada. Ma va fatta una precisazione importantissima. Un conto è discutere della tutela legata alla indicazione geografica protetta altro è la tutela di marchi e brand che nel CETA sono trattati in un capitolo specifico. Infatti, il primo consiglio che mi sento di dare alle nostre imprese è quello di puntare molto sulla protezione della reputazione del proprio brand, utilizzando anche la protezione del marchio oltre che il riconoscimento di certificazioni con standard internazionali riconosciuti. Come ho spiegato in precedenza, il mercato canadese ed i suoi consumatori, sono poco avvezzi a scegliere i prodotti sulla base delle certificazioni d’indicazione geografica ma molto più attenti ad altri aspetti legati alla tracciabilità. D’altronde i prodotti che erano presenti sul mercato canadese prima dell’approvazione provvisoria del CETA, come la Mozzarella di Bufala, hanno conquistato la fiducia dei consumatori, non per la loro certificazione IG ma per la loro bontà e genuinità.
Come può in concreto, la firma dell’accordo, garantire che l’industria del falso non superi quella del ‘Made in Italy’?
-Prima di affrontare quest’argomento, il Sistema Italia dovrebbe decidere in modo chiaro quali prodotti e servizi debbano rientrare nella cornice del Made in Italy, perché ormai molti dei prodotti in commercio, e mi riferisco non solo agli alimentari, che provengono da aziende nazionali, sono dei semilavorati esteri al 70/80%. È evidente che essendo noi un paese trasformatore dovremmo stare molto attenti a codificare la caratteristica sulla base della provenienza, mentre dovremmo concentrarci di più sul controllo e sulla qualità del prodotto finito. Posto ciò la vera novità è data dalla tutela garantita ai marchi di qualità italiani ed europei, e al contrasto al fenomeno dell’italian sounding, intendendo per tale “l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozione e commercializzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese. Esso rappresenta la forma più eclatante di concorrenza sleale e truffa nei confronti dei consumatori, soprattutto nel settore agroalimentare”. Questo è un aspetto che spesso viene manipolato dai detrattori del CETA, trasmettendo una narrazione totalmente contraria alla verità codificata nell’accordo. Il CETA infatti vieta anche che sulle etichette di prodotti non italiani appaiano i nomi di città italiane, il tricolore o qualsiasi simbologia o logo che possa far riferimento al Bel Paese. Quest’ultima è sicuramente una maggiore conquista dell’accordo in quanto i consumatori canadesi, non avendo la “cultura commerciale” dei prodotti tutelati da indicazioni geografiche, acquistavano prodotti con qualsiasi richiamo all’Italia, esempio da manuale è costituito dai vari “Parmesan”. Ecco, con il CETA questo non sarà più possibile. Il Parmesan, non potrà essere più venduto con simboli e logo che richiamino la territorialità italiana. La vera sfida per le imprese italiane ed europee sarà quella di riuscire a valorizzare i propri prodotti al di fuori dei mercati nazionali, attraverso le figure di export manager esperti che possano far leva sulla qualità mondialmente riconosciuta ai nostri prodotti.
Lei ha parlato della creazione di un Forum ufficializzato da due fasi; una informatica per promuovere a tutti i livelli le proprie attività, e una caratterizzata invece da due momenti d’incontro, a cadenza semestrale, da tenersi in Europa e in Canada. In quale fase ci troviamo adesso e non occorre temere la competitività all’interno dei Paesi dell’Ue?
-Intanto va precisato che la competitività all’interno della UE già esiste da diversi anni e il nostro tessuto imprenditoriale è riuscito, anche con grandi sacrifici, ad acquisire posizioni di rilievo. I dati dell’export italiano sono positivi e questo ci lascia ben sperare per il futuro. Ora bisogna pensare a rafforzare il sistema Italia ed il CETA potrà essere un’ottima occasione. A tal proposito, come lei ha citato, abbiamo inteso programmare uno spazio dedicato al B2B tra le aziende europee e canadesi, che possa diventare, nel tempo, un luogo d’incontro fisico e virtuale e che possa consentire alle PMI e ai Professionisti di entrare in contatto reciproco e quindi valorizzare l’opportunità che viene concessa dall’accordo economico di libero scambio. Abbiamo già avuto incontri con la rappresentanza in Italia del Global Affairs Canada e con diverse Ambasciate europee, che si sono dimostrate interessate al progetto. Il brand CETA BUSINESS FORUM è stato già registrato a livello europeo, e proprio grazie al CETA è tutelato anche in Canada. Siamo fiduciosi di poter presentare la prima edizione nel corso di questo 2020 ed ovviamente siamo aperti a collaborazioni sul tema.
L’accordo preso prevede che nelle importazioni dal Canada siano rispettate le norme dell’Ue: ma con particolare riferimento agli standard comunitari in materia di sicurezza e ambiente, salute e sicurezza, quali norme sono più restrittive e quindi più protezioniste?
-Equiparare le normative in merito ai settori citati è alquanto azzardato, perché sono state strutturate nel tempo su basi giuridiche diverse e per andare incontro ad esigenze differenti. Di sicuro il CETA aiuterà anche in questo senso, costringendo gli Stati firmatari ad armonizzare gli Standard verso l’alto a beneficio dei consumatori. L’Unione Europea e il Canada hanno convenuto di accettare reciprocamente i certificati di valutazione della conformità in settori relativi, per esempio, ai dispositivi elettrici, alle apparecchiature elettroniche e radiofoniche, ai giocattoli, ai macchinari o agli strumenti di misura. Ciò significa che, in determinate circostanze, un organismo di valutazione della conformità nell’UE può sottoporre a prova i prodotti UE destinati all’esportazione in Canada in base alle norme canadesi, e viceversa. Non solo, con il CETA sarà rafforzata l’applicazione delle norme in materia di sicurezza alimentare, prevedendo la possibilità di adottare misure provvisorie e provvedimenti ingiuntivi nei confronti di intermediari coinvolti in episodi di violazione di tali diritti. Il Canada ha inoltre accettato di rafforzare le sue misure anti-contraffazione alle frontiere per quanto concerne i marchi, le merci usurpate e le merci oggetto di contraffazione dell’indicazione geografica.
In definitiva quello che potrebbe succedere con il Canada non potrebbe allargarsi ad altri Paesi, primo tra tutti gli Stati Uniti?
-Il CETA rappresenta, sicuramente, l’unico modello di accordo di libero scambio replicabile che possa essere da esempio per altre iniziative simili. Lo dimostrano i fatti! Senza andare troppo lontano, con la Brexit alle porte, lo stesso Regno Unito sta pensando di proporre un accordo con l’Unione Europea, che si basi sulla struttura giuridica del CETA. Le disposizioni del CETA sui servizi finanziari, ad esempio, possono rappresentare un ottimo punto di partenza per la regolamentazione dei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito. Così come molto importante è anche il capitolo che garantisce il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, dando la possibilità ai professionisti dell’Unione Europea di operare nel territorio inglese e viceversa. Da non escludere il capitolo del CETA relativo agli appalti pubblici, che individua una serie di settori all’interno dei quali le imprese possono partecipare ad appalti per la fornitura di beni e servizi a tutti i livelli amministrativi, nazionali, regionali e locali. Quindi, per come è oggi lo scenario, alla sua domanda rispondo: Si, il CETA potrebbe essere la migliore base di partenza per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, sempre se il nostro alleato oltre oceano, voglia veramente un accordo di libero scambio.