Il difficile confronto diplomatico con l’Egitto

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In foto Giampaolo Cantini
Dopo cinque anni e in un regime di turbolenza diplomatica con l’Egitto per lo studente dell’Universita’ di Bologna, si torna a parlare del sequestro, della tortura, dell’omicidio  di Giulio Regeni. Una certa collaborazione dell’Italia con l’Egitto, cerca di aggiustare il tiro rispetto alle
ultime uscite  che hanno  irritato la famiglia Regeni. Di Maio aveva “accolto positivamente” una lettera della procura generale egiziana che, dopo quasi un anno di silenzio, invitava i colleghi italiani al Cairo. Un invito a data e a persona da destinarsi, visto che era diretto al “procuratore di Roma, quando sarà nominato”. Una mossa che i Regeni, insieme con il loro legale Alessandra Ballerini, avevano però definito un “pericoloso trabocchetto”. Di Maio, nel corso del Maurizio Costanzo show, è tornato sul caso. Cercando di rimettere le cose in un posto accettabile. “Non è sufficiente – ha detto il ministro – la lettera della procura egiziana. Stiamo cercando di sbloccare la situazione”. Di Maio aveva promesso, se l’Egitto avesse continuato a fare melina, “misure forti”. I genitori di Giulio chiedono da tempo il richiamo dell’ambasciatore italiano al Cairo Giampaolo. Cantini, per consultazioni, ipotesi al momento, nonostante i forti scetticismi della nostra diplomazia, sul tavolo del Governo. Intanto però l’Egitto continua a lavorare per intensificare i rapporti con l’Italia ma non solo, i telegiornali fanno vedere l’intensa attività diplomatica e politica ora in Francia . Se i numeri degli scambi economici (import ed export) continuano a salire, l’ambasciatore egiziano in Italia, Hisham Mohamed Moustafa Badr, è in tour per cercare di ribadire gli “ottimi rapporti” e la “collaborazione” con il nostro paese. In Sardegna è stato ricevuto dal presidente della regione leghista, Christian Solinas. Il tour prevedeva anche la tappa in una scuola superiore dove in un primo  momento, era stato chiesto ai ragazzi di non formulare domande su Giulio e questo è stato considerato da alcuni, un fatto molto grave.
Le domande sono semplici e, purtroppo, rimaste da tempo senza risposta. Partendo anche dalla tutela dei diritti umani, in un Paese dove – secondo gli ultimi dati dell’Ecrf, l’organizzazione che si occupa dei diritti umani in Egitto e che lavorano anche al fianco della famiglia Regeni – poco meno di 4500 persone sono state arrestate dopo le proteste del 20 settembre e 21 di loro sembrano spariti nel nulla. “Senza verità e giustizia, com’è possibile dialogare con l’Egitto?” hanno sempre domandato i genitori di Giulio davanti a delle domande che continuano a rimanere senza risposta: dal 28 novembre non ci sono più rapporti diretti tra la procura di Roma e quella del Cairo, che coordinano le indagini sulla morte di Giulio. Da quando, cioè, il sostituto procuratore Sergio Colaiocco, che si occupa delle indagini, ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti della National security per il sequestro di Giulio.
Gli egiziani hanno sempre rifiutato di farli interrogare o di fornire ulteriori informazioni utili alle indagini. Inoltre, non hanno mai risposto alla rogatoria del 29 aprile nella quale si chiedevano riscontri sul racconto di un testimone, raccolto dalla procura di Roma: l’uomo raccontava di aver ascoltato un agente della National security parlare di alcuni momenti del sequestro di Giulio, a cui aveva partecipato. Roma ha chiesto indicazioni per poter verificare un racconto che è considerato assai plausibile. Ma nessuno ha mai risposto. L’ambasciatore egiziano potrebbe (e dovrebbe) rispondere a tutti questi “perché”. Il problema è che basta poco per molti giornalisti all’estero di essere accusati di spionaggio o di lavorare contro gli interessi del Paese ospitante. La vicenda di Regeni però resta un fatto troppo oscuro per essere caratterizzato solo da incomprensioni politiche e diplomatiche.