Nell’Almanacco del coronavirus di Antonio FIlippetti le angosce del presente e le lezioni del passato

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in foto Antonio Filippetti

di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Antonio Filippetti, noto scrittore, che fa parte del Consiglio Direttivo dell’Unione Nazionale Scrittori e Artisti, ha pubblicato una ventina di libri. E’ fondatore e direttore di ”Arte e Carte”, la rivista della creatività artistica ed è il curatore del programma “Liberi in poesia”. Ultima sua produzione, del novembre 2020, è l’“Almanacco del tempo del coronavirus” ispirato dalle numerose ed angoscianti problematiche che ci perseguitano in questo triste periodo. L’Almanacco è diviso in diciannove “settimane”. Nella premessa lo scrittore ci dice di ispirarsi all’operetta di Giacomo Leopardi “Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere”. Lo scrittore, nelle diciannove settimane del suo almanacco, sintetizza i nostri numerosi problemi e stimola in noi sagge riflessioni affinché possiamo aggrapparci alla ragionevolezza e alla cultura che ci accompagna da tanti secoli nella risoluzione dei molti problemi che ci affliggono. Nelle sue parole si può cogliere talvolta una pungente ironia certamente appropriata. Tra i tanti accenni l’autore, negli argomenti trattati, fa riferimenti anche al passato: ci ricorda avvenimenti lontani come la peste del sedicesimo secolo e la più recente spagnola. E le guerre. Leggendo il suo Almanacco ho potuto condividere alcuni rilevanti riferimenti al nostro poeta Dante Alighieri, al riguardo della lingua italiana, egli che per difenderla tanto sofferse, anche tristi esili, per difendere, come priore, anche la morale, in un periodo di evoluzione della nostra lingua, che oggi nel parlare comune spesso confusamente mescoliamo ad altre lingue. Ricordo che Dante combatteva in politica per la giusta organizzazione dei cittadini e, condannato a morte a Firenze per le sue severe lotte politiche, dopo essere stato in esilio a Verona, ospite di Can Grande della Scala, stimato dai priori, finì col morire in esilio a Ravenna. Ben diciannove “settimane”, così appella il nostro autore i suoi capitoli, che impiegano a sintetizzare ed a spiegare i nostri avvenimenti di oggi, guerre e virus, molto tristi. E non sono, come sembra, solo gli anziani a soffrire, soprattutto col pensiero che possa cadere il virus sulle spalle dei figli o dei nipoti, ma anche molti giovani che hanno subito quanto sta accadendo. Quindi nei suoi scritti, il nostro autore ci trasmette sinteticamente le notizie e le raccomandazioni da seguire con cura e correttezza, una via giusta come ci hanno insegnato i nostri avi, Dante e poi Leopardi nelle sue “Operette Morali” che seguiva con interesse e ammirazione il suo grande predecessore. “Almanacco del tempo del coronavirus”, edito dall’Istituto Culturale del Mezzogiorno, ci riferisce, in una scansione settimanale, le ultime notizie degli sviluppi dei drammatici avvenimenti che avvengono oggi nel mondo e specificamente in Italia. Desidero riferirli per mostrare, in sintesi, come lo scrittore analizzi accuratamente gli avvenimenti riportandoli con precisa analisi.
L’Almanacco si divide in settimane:
Prima settimana “Libertà e uso del tempo nell’era del coronavirus”. Libertà: pochissima e a distanza.
Seconda settimana: “Vieni avanti infettivo!”. Tra le righe l’autore ironicamente riflette sul numero enorme di specialisti, virologi che vengono alla ribalta in televisione e si domanda quali siano i tempi che dovremo attendere per uscire da questo caos.
Terza settimana: “C-C/Coronavirus e comunicazione”. Leggendo le sue parole ci rendiamo conto di quanto la comunicazione sia molteplice, continua ed insistente e come la stampa sia in pericolo.
Quarta settimana: “Coronavirus e linguaggio”. Qui l’autore pone in evidenza questo nostro linguaggio ormai “italoinglese” che si è andato accentuando proprio in questi tempi e che non deve piacerci, come a suo tempo non piacque a Dante l’allontanarsi dalla propria lingua e ne convenne Giacomo Leopardi, destando l’intervento anche de L’Accademia della Crusca.
Quinta settimana: “I vecchi e i giovani del coronavirus”. L’autore tra l’altro desume che, persi gli anziani, i giovani avranno “meno appigli a cui afferrarsi e mancherà loro qualsiasi riscontro memoriale”. Ciò li renderà più poveri, privi ormai della saggezza degli avi.
Sesta settimana: “Il coronavirus dei volontari”. Anche qui Filippetti riscontra che la voglia di molti di mettersi in mostra e “il turbinio di asserzioni”, le molteplici dichiarazioni pubbliche, potrà arrecare più danni che benefici se i volontari non ritorneranno discreti.
Settima settimana: “Il coronavirus dei generali e dei soldati”. Lo scrittore riflette sulle guerre, sulla capacità dei generali, ma anche sulla audacia dei soldati che sono i protagonisti della vittoria delle guerre.
Ottava settimana: “Il coronavirus della discordia”. Qui l’autore conclude: “Le istituzioni di ogni ordine e grado andrebbero almeno seguite se non appoggiate con una certa “tolleranza” e con spirito di partecipazione senza essere aggredite ogni volta in nome di una presunta verità altra…”.
Nona settimana: “I primi della classe retrocessi all’ultimo banco”. Leggiamo anche: “La smania di primeggiare non ha avuto e non sembra avere limiti…l’andazzo andrà avanti chissà per quanto tempo”.
Decima settimana: “Il coronavirus e l’era dell’incompetenza”. Tra le righe leggiamo: “E’ il tempo in cui i cosiddetti esperti, attraverso le televisioni, i social media ecc.., hanno dato vita a un carosello di invenzioni di ogni tipo…”.
Undicesima settimana: “Il coronavirus e la cultura”. Tra l’altro l’autore ci ricorda il 25 marzo consacrato alla memoria di Dante, a 700 anni dalla sua morte, sarebbe dunque il caso di richiamarsi alla sua lezione e a quanto la “Commedia” ci preannuncia del nostri giorni.
Dodicesima settimana: ”Il coronavirus in maschera”. Qui lo scrittore ci ricorda un altro grande autore, Luigi Pirandello, che in “Sei personaggi in cerca d’autore” prescrisse che i protagonisti si mostrassero in scena con una maschera il che significa che, “nell’opera pirandelliana la maschera, vera o simbolica, contrassegna la problematicità dell’esistenza, impossibilitati come siamo a definire contorni e limiti della realtà”.
Tredicesima settimana: “Il festival del coronavirus”. In queste pagine l’autore con ironia allude all’esercito degli esperti “studiosi di rango” che avrebbero avuto il compito di indicare al povero “vulgo” come uscire dalla pandemia. Ma non è successo proprio così, giacché questi soloni non hanno offerto una bella immagine di sè… hanno finito col litigare con tutti”.
Quattordicesima settimana: “La vita sospesa al tempo del coronavirus”.
Quindicesima settimana: “Stato d’eccezione e stato d’ignoranza”.
Sedicesima settimana: “Quando sarà tutto finito”. Trascrivo queste importanti asserzioni: ”La politica da parte sua non è riuscita né a governare né a tranquillizzare la popolazione smarrita… avviando più che altro una continua competizione tra i poteri … E’ prevalsa in definitiva la logica politica che ha oscurato l’emergenza popolare…”
Diciassettesima settimana: “Il sogno per il dopo coronavirus”. Lo scrittore chiude la diciassettesima settimana ricordandoci “La peste” di Albert Camus in cui il protagonista lanciava un monito: ”Mi sento più solidale coi vinti che coi santi. Non ho inclinazioni per l’eroismo e la santità. Essere un uomo, questo mi interessa”.
Diciottesima settimana: “Se il virus sconfigge capitalismo e socialismo”.
Diciannovesima settimana: “Il coronavirus e la lezione de “La ginestra”. In questo momento, dice Filippetti, la letteratura può essere un valido soccorso e “La ginestra” di Giacomo Leopardi che il poeta scrisse a Napoli e che, dice Filippetti, “ci fornisce un grande ammonimento: se la natura non può essere vinta in nessun modo, l’umanità può se non altro fronteggiarla se si determina a stare unita…perché soltanto tenendoci per mano e sostenendoci gli uni con gli altri può essere possibile poi dare un senso consapevole all’esistenza: una lezione di saggezza troppe volte colpevolmente ignorata”. Così lo scrittore termina il suo Almanacco, riferendosi al suo amato Leopardi per il quale ha anche promosso più di un convegno.
Il libro di Filippetti si chiude con l’Appendice “Le parole del coronavirus” di Natale Antonio Rossi co-presidente FUIS. Ma ancor oggi si discute in ogni dove sui nostri doveri, verso i nostri cari, se vaccinarci o no e tutto si trasmette anche tramite continue trasmissioni televisive. Rileggendo questo scritto mi avvedo di quanto sia attuale. Il tempo sembra non essere trascorso, gli antichi problemi sono attuali ma ci appaiono più angoscianti e seri: la televisione consente uno sfogo più superficiale ed una comunicazione amichevole. Rileggere Filippetti in “Almanacco al tempo del coronavirus” ci conduce ad una comprensione più realistica di tali problemi. Ma mi piace qui ricordare anche un altro suo libro che ricorda i nostri poeti, “Liberi in Poesia” in cui il Filippetti intervista numerosi poeti attuali, il primo in ordine alfabetico è Giuseppe Bilotta, napoletano, anche autore di un poema “Trittico per Rosa”, di oltre trecento pagine. Filippetti comincia a chiedere: ”Ci puoi dare una personale definizione di poesia?” e poi “Come si diventa poeti?” “Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società?” “Tra le attività creative quale ruolo occupa oggi la poesia?” E ancora: “Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata?”, “Perché a suo giudizio ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia?”, “Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia?”. I poeti intervistati sono tanti, notevoli e conosciuti e lo scrittore riporta, alla fine di ogni incontro, alcuni versi del poeta. Leggere di tanti poeti mi ha dato serenità. Maggiormente pensando alle “Memorie” di Giacomo Leopardi, così tristi che avevo appena finito di leggere. Spero che i poeti non debbano sempre soffrire tanto. Il nostro poeta li interpreta e comprende serenamente.