Svezia, l’ambasciatore Pala si racconta

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In foto Michele Pala
Fortissimo il legame con la Sardegna, terra che ha dato i natali al ramo paterno della sua famiglia. Michele Pala, ambasciatore d’Italia in Svezia, sui documenti è nato a Catania nel 1967: «Mio padre Aldo, ufficiale dell’esercito, si trovava in Sicilia in quel periodo, ma in realtà poi non ci sono più tornato». Ben diversa è invece la frequentazione con Luras: «La considero il luogo dell’appartenenza, anche se ideale, mio nonno Salvatore era il medico del paese. Uno come me, che ha scelto una vita nomade, ha bisogno di sapere da dove viene». Nel borgo gallurese c’è ancora la casa di famiglia. Ma non solo: «A Luras io e mia moglie, brasiliana, ci siamo sposati 27 anni fa». I suoi due figli, invece, sono nati in altre parti del mondo: uno in Sudafrica, l’altro in Uruguay. Michele Pala è stato nominato ambasciatore italiano in Svezia all’inizio del 2024. Nella sua carriera è stato a Pretoria, Montevideo, Washington, San Paolo. Segue un estratto dal l’intervista sull’Unione Sarda on line.

Cosa le è rimasto di queste realtà?

«Ogni Paese lascia qualcosa, soprattutto se, come nel mio caso, un figlio ci è nato o ci è cresciuto. Nella mia professione è fondamentale essere curiosi, vedere al di là di ciò che appare a prima vista. Ad esempio il Sudafrica è interessantissimo storicamente e di una bellezza come pochi altri con i suoi colori, i paesaggi. L’Uruguay è un piccolo pezzo d’Europa, uno Stato civilissimo e te lo porti dentro come insegnamento. Il Brasile è di una vivacità e intensità con un’atmosfera difficilmente imitabile. Gli Stati Uniti, che conosciamo attraverso i media e i film, offrono invece una realtà diversa ed è stata un’esperienza unica».

Ma gli svedesi conoscono la Sardegna?

«Sì, amano l’Italia, ovviamente non tutti sono stati in Sardegna. Essendo un popolo curioso, viaggiano spesso. Qui ho incontrato molte persone che hanno visitato l’Isola o che hanno desiderio di raggiungerla».

Quanti sono italiani gli italiani in Svezia?

«Registrati oltre 20mila, ma sono molti di più, forse anche 30mila. E su 10 milioni e mezzo di abitanti è una comunità significativa, fatta non tanto di emigrati di un tempo ma di ricercatori, professori universitari, dipendenti di centri di eccellenza».

Ci sono prospettive per chi arriva dall’Italia?

«Prospettive sì ma per lavori qualificati, non dimentichiamo che la Svezia è un Paese all’avanguardia nell’innovazione. Si aprono centri di ricerca in cui si investe molto e poi c’è tutto il settore dell’esplorazione del Nord dal punto di vista della transizione energetica e delle risorse».

Si lavora per 6 ore al giorno?

«Dipende da molti elementi, di sicuro esiste un ottimo equilibrio tra vita lavorativa e personale, con una consistente separazione. Una fascia di privacy considerata inviolabile. Hanno grandi incentivi per la famiglia, gli asili, le scuole. La conferma la si ha passeggiando semplicemente per strada, ci sono moltissimi bambini. Numerose sono le normative sulla maternità e sulla paternità e altre forme di sostegno sociale che qui stanno funzionando».

 

Quali sono le incombenze di un ambasciatore?

«Intrattenere relazioni con i governi, con tutta la società del Paese in cui è accreditato. Avere supervisione dei rapporti politici, economici, culturali, stiamo facendo un gran lavoro sulla cooperazione scientifica e tecnologica, c’è un vasto potenziale, collaboriamo nella promozione di arti visive, musicali, teatro, cinema, senza dimenticare le esigenze dei nostri connazionali».

Come si vede l’Italia dalla Svezia?

«Molto meglio di quanto non si creda. Abbiamo spesso questa idea che ci siano pregiudizi, ma c’è una grande simpatia per l’Italia. Siamo lontani ma Italia e Svezia affacciano entrambe sul mare, tanti vengono in vacanza, amano la nostra gastronomia e la nostra cultura, e il nostro lavoro qui è anche quello di spiegare che c’è molto di più. Abbiamo delle eccellenze, e gli svedesi lo sanno, perché l’export è fatto anche di macchinari e tecnologia. La Svezia investe molto in Italia».

Dai Paesi del nord Europa in generale noi italiani dovremmo imparare molte cose, ad esempio sul rispetto dell’ambiente e sulla sostenibilità. Cos’altro?

«Con una considerazione personale direi senso civico, rispetto della cosa comune che qui in Svezia è altissimo: dal non gettare nulla a terra al guidare con prudenza. Il concetto del curare il bene pubblico perché lo sento mio».

Quali i settori in cui si può investire di più?

«Quello della cooperazione scientifica e tecnologica, abbiamo un grande capitale fatto di ricercatori italiani che lavorano qui, siamo uno dei Paesi più presenti. Ci sono anche primari negli ospedali, dirigenti nelle grandi imprese. Insomma, ampi margini per migliorare ancora».

Da poche settimane la Svezia è entrata ufficialmente nella Nato dopo la neutralità del passato. Cosa cambierà secondo lei?

«La Svezia è già cambiata, essere entrati nella Nato è molto importante, la percezione della minaccia qui è sentita in modo molto forte, la rassicurazione della più grande alleanza politico militare del mondo è un aspetto significativo. C’è da dire che anche la Svezia è in grado di offrire un ampio contributo. Ci sono sviluppi da un punto di vista della cooperazione militare, che è intensa tra alleati rispetto a quando si era solo “amici”, e collaborazione industriale in diversi settori. È un cambiamento epocale, le celebrazioni sono state molto sentite in queste settimane e dopo tanti anni di neutralità vedremo i risultati nel tempo anche con l’adeguamento delle infrastrutture, ci sono infatti gli standard Nato da raggiungere».