Dalla rubrica “Notizie dall’ASviS”, la quantità estratta di risorse naturali è triplicata negli ultimi 50 anni

Foto di Pavlo da Pixabay

Si riporta il testo integrale dell’articolo di Ivan Manzo del dal sito ASviS.

Di questo passo la pressione sui sistemi naturali aumenterà del 60% entro il 2060. I Paesi a basso reddito consumano sei volte meno di quelli ricchi. Ma resta possibile dissociare crescita economica e consumo delle risorse. [VIDEO]  2/4/24

L’estrazione delle risorse naturali della Terra è triplicata negli ultimi cinquant’anni e si prevede che questa aumenterà del 60% entro il 2060. Si tratta di una cifra che renderebbe vano qualsiasi sforzo messo in campo per raggiungere gli obiettivi climatici, quelli legati al ripristino della biodiversità e alla lotta all’inquinamento. Il ritmo attuale, sostenuto soprattutto dal consumo nelle aree economiche più avanzate, minaccia inoltre la prosperità economica a il benessere dell’intera umanità.

Queste sono alcune delle stime contenute nell’ultimo Global resource outlook sviluppato dall’International resource panel e pubblicato dal Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep), in occasione dell’assemblea delle Nazioni unite per l’ambiente del primo marzo.

“Per troppo tempo le nostre economie sono state costruite sull’estrazione, sull’uso e sullo scarico incessante e insensato delle risorse – ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep -. L’uso di materiali e risorse è aumentato di oltre tre volte negli ultimi 50 anni e continua a crescere in media del 2,3% ogni anno. Il nostro uso dispendioso di questi materiali distrugge la natura, riscalda il clima, inquina gli ecosistemi, alimenta le disuguaglianze e, francamente, scarica i soldi direttamente nel Wc”.

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La crescita spaventosa dell’uso delle risorse naturali

Secondo lo studio la crescita dell’uso delle risorse è passata dalle 30 miliardi di tonnellate del 1970 alle 106 miliardi di oggi. Una cifra che a livello pro-capite passa da 23 chilogrammi ai 39 chilogrammi di materiali utilizzati in media per ogni persona, ogni giorno. Nel complesso, l’estrazione e la lavorazione delle risorse rappresentano oltre il 60% delle emissioni climalteranti e il 40% dell’inquinamento atmosferico che minaccia la salute delle persone.

Inoltre, l’estrazione e la lavorazione della biomassa, tra cui le colture agricole e la silvicoltura, rappresenta un terzo delle emissioni gas serra, e il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico fatto registrare nei territori analizzati. L’estrazione e la lavorazione dei combustibili fossili e di altre risorse come metalli e sabbiaghiaia e argilla, è invece responsabile del 35% delle emissioni globali.

Il rapporto mette in evidenza anche le enormi disparità che esistono su questo argomento. Per fare un esempio, i Paesi a basso reddito rispetto a quelli ricchi consumano sei volte in meno e generano 10 volte meno gli impatti climatici. Nel corso degli ultimi 50 anni i Paesi a reddito medio-alto hanno più che raddoppiato l’utilizzo delle risorse, mentre l’utilizzo pro-capite delle risorse nei Paesi poveri è rimasto invariato dal 1995.

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Le soluzioni proposte dal Global resource outlook

In termini di soluzioni, il rapporto sottolinea che è possibile, e redditizio, dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse e dagli impatti ambientali che causano. Per farlo occorre sostituire il modello di crescita lineare con modelli sostenibili e circolari: sistemi che mantengano i materiali una volta estratti in uso il più a lungo possibile, e che ripensino il modo in cui progettiamo e forniamo beni e servizi. Sono dunque necessari circolarità e modalità più sostenibili e rispettose delle risorse per fornire i servizi di base, tra gli altri, nei settori dell’edilizia abitativa, del cibo e della mobilità.

Se questo venisse fatto nei Paesi dove oggi i consumi sono molto elevati, la crescita dell’uso dei materiali potrebbe diminuire del 30%, il che aiuterebbe a garantire abbastanza minerali e metalli per la transizione energetica senza devastare il Pianeta. Inoltre le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte di oltre l’80%, e si potrebbe beneficiare della crescita di almeno il 3% del Pil globale. Di questo passo diminuirebbe anche l’uso di materiali nei trasporti e nell’edilizia, rispettivamente del 50% e del 25%, e l’uso del territorio per l’agricoltura del 5%. Allo stesso tempo, la produzione alimentare aumenterebbe del 40%, in modo da sostenere le popolazioni dove è a rischio la sicurezza alimentare, e l’indice di sviluppo umano migliorerebbe del 7%, aumentando i redditi e benessere.

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Laddove è necessario che l’uso delle risorse cresca, lo studio sottolinea che è possibile mettere in atto strategie per massimizzare il valore di ciascuna unità di risorsa utilizzata, soddisfando così i bisogni umani in maniera sostenibile. Un mondo più giusto in cui vige una distribuzione delle risorse più equa, di tutte le forme di ricchezza, è dunque possibile.

“La tripla crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita della natura e dell’inquinamento è causata da una crisi di consumo e produzione insostenibili. Dobbiamo lavorare con la natura, invece di limitarci a sfruttarla – ha poi detto Andersen -. Ridurre l’intensità delle risorse legate alla mobilità, agli alloggi, ai sistemi alimentari ed energetici è l’unico modo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e, in definitiva, un pianeta giusto e vivibile per tutti”.

Andando nello specifico, per invertire la tendenza e cambiare il settore economico il rapporto chiede di incorporare le esternalità negative nei grandi accordi commerciali, di rafforzare la regolamentazione dei mercati finanziari delle materie prime, e di attuare politiche di aggiustamento delle frontiere legate all’impatto di determinate produzioni. Infine andrebbe creata una nuova governance delle risorse e indirizzata la finanza verso un uso sostenibile delle risorse; andrebbero garantite le giuste informazioni ai consumatori; andrebbe reso il commercio un motore per l’uso sostenibile delle risorse; andrebbero create soluzioni circolari, efficienti in termini di risorse e a basso impatto e modelli di business che includano rifiuti, riduzione, eco-progettazione, riutilizzo, riparazione e riciclaggio. Tutt’una serie di politiche da portate avanti attraverso una forte attività di cooperazione tra Paesi.