Il Complice. Capitolo 5

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Pubblichiamo il  quinto capitolo de “Il Complice” di Procolo Ascolese, opera vincitrice del “Concorso Letterario Autore di te stesso – Premio Nazionale Campi Flegrei nella categoria editi”.   
Avvocato cassazionista, (il suo studio legale presta attività di assistenza e consulenza in materia penale), giudice onorario del tribunale penale, Procolo Ascolese si è occupato di numerosi processi penali ed è autore di innumerevoli pubblicazioni tra le quali ricordiamo: “I limiti dell’assunto accusatorio nell’applicazione della legge penale” (Aracne, 2014); “Dentro la giustizia. Breve viaggio nelle dinamiche del processo penale, dal delitto di Avetrana al caso ThyssenKrupp” (Il Papavero, 2021); “L’araba infelice nazifascista. Prunajo al Passo dell’Aprica” (Franco Mauro Editore, 2021).

in foto Procolo Ascolese

IL COMPLICE
di Procolo Ascolese

Quinto episodio

Rimasto solo, in quell’appartamento vuoto, freddo e silenzioso, che gli sembrava enorme, cercò il senso della compagnia accendendo il televisore.
«Passiamo alla cronaca», vibrò allora la voce di una nota conduttrice del telegiornale. «Un senso di mistero aleggia attorno a uno strano omicidio, avvenuto in provincia di Napoli. Sotto i colpi del killer è finito, infatti, Eligio Clementi, un frate cappuccino di sessantasei anni, il cui corpo è stato rinvenuto, crivellato di colpi, sul piazzale antistante la chiesa di San Gennaro, a Pozzuoli. Incomprensibili, finora, le ragioni del folle gesto, di cui è rimasto vittima un uomo conosciuto nella realtà locale per il suo impegno a favore dei più indigenti e, secondo le testimonianze già raccolte, per la sua vita morigerata. Già si ritiene, comunque, di poter dissipare, almeno in parte, la nebbia di questo misterioso delitto, dando un volto all’autore dello stesso e a quanti possano averlo commissionato. Al vaglio degli inquirenti, infatti, vi è un portafoglio rinvenuto nelle immediate adiacenze del cadavere, appartenente presumibilmente all’omicida. Al suo interno un indizio pesantissimo a carico di un uomo di 36 anni: a inchiodare il killer potrebbe essere una carta d’identità, il cui titolare risponde al nome di Giacomo De Lucias…».
Alberto si sentì raggelare. E restò immobile, mentre la voce della conduttrice scandiva il susseguirsi di altri particolari e di altre notizie. Poi si avvicinò al televisore e lo spense. “Anche questo un omonimo!?”, disse fra sé e sé. “E se così non fosse?”, si chiese allora con la mano destra appoggiata a una parete e la sinistra socchiusa a mo’ di imbuto intorno al mento. “Forse sto solo impazzendo. Forse ho solo immaginato di viaggiare con quel frate. Forse… Chissà! Forse ho raccontato la mia storia a un fantasma! Forse sono stanco. Basta così. Questo silenzio è l’ideale per stravaccarmi da qualche parte”. E raggiunse la stanza mostratagli da Carlo. Si sfilò le scarpe e si sdraiò sul letto. Era così stanco e stressato che gli sembrava di non avere più neanche una goccia di sangue nelle gambe e nelle braccia; che la sua schiena, non traendo immediato giovamento, si sentisse come burlata, in diritto di protestare, rendendosi più dolente; che la coscienza gli si stesse intorpidendo, fino a dileguarsi. E fu sonno profondissimo. Ma anche brevissimo, perché ben presto l’inquietudine si rifece viva, rumorosa, costringendolo a tornare con la mente agli imprevedibili accadimenti di quella strana giornata.
Improvvisamente si levò di scatto, calzò le scarpe e uscì di casa, in cerca di un locale aperto dove potersi rifocillare. Intanto, l’intera volta del cielo era sparita sotto un cupo ammasso di nembi, a causa del quale ogni cosa incupiva i suoi colori.
Di tanto in tanto, il silenzio faceva risuonare lo scorrimento della gomma dei pneumatici sull’asfalto deserto. Il soffio costante e leggero del vento si spargeva sul suo volto. Le saracinesche abbassate dei negozi lo inducevano a guardare in avanti, dove, luminosa, un’insegna in lontananza recava la scritta “Pizza a pranzo”. Così, entrato nella piccola ma accogliente trattoria, Alberto salutò il personale con un timido buonasera, accompagnato da un cenno della testa. Poi si sedette davanti a un tavolino rotondo, che gli fu velocemente apparecchiato, o meglio coperto da una semplice tovaglia di carta, tenuta ferma con posate di metallo e un grossolano bicchiere di vetro.
«Le porto il menù?», domandò un cameriere. «No», rispose Alberto, «mi porti piuttosto una pizza margherita e un po’ d’acqua naturale, grazie!».
Nel locale semipieno, illuminato con qualche lampada al neon, uno specchio, in cui si rifletteva l’intera sala, copriva, in massima parte, la parete nelle immediate vicinanze del braccio destro di Alberto; a sinistra, accanto al suo tavolino, una coppia di fidanzatini si teneva per mano; davanti a lui, due uomini maturi chiacchieravano ad alta voce, sovrastati, lateralmente, da un piccolo televisore acceso, appoggiato sul ripiano più alto di un’angoliera. Il cameriere gli portò l’acqua richiesta in una bottiglietta di plastica, chiusa ermeticamente, e la pizza, fumante, servita in un grande piatto piano.
Alberto sarebbe stato l’ultimo cliente a pranzare lì quel giorno. E anche l’ultimo ad alzarsi da tavola. Quando pagò il conto, fuori già scrosciavano, a ritmo incalzante, enormi gocce di pioggia sull’asfalto. Era il preludio di un acquazzone.
Alberto di certo, privo di ombrello, non avrebbe potuto ripararsi, se non trattenendosi nel locale. «Ehi Giovanni!», esclamò, d’un tratto, un’anziana donna, introducendovisi di scatto.
«Buona sera, signora Rita!», rispose il titolare.
«Un po’ di pazienza, Giovanni, dovresti sopportare un po’ la mia presenza, almeno finché non spiove».
«Non si preoccupi, signora, resti pure quanto vuole!».
«Come vanno le cose?».
«Non mi posso lamentare».
«Senti, Giovanni, è poi venuto da te quel giovane che ti ho mandato la scorsa settimana?».
«Chi, Luigi? Sì, è venuto. Purtroppo, però…», esclamò con aria perplessa Giovanni, «le sue esigenze non andavano molto d’accordo con le mie…».
«Capisco», replicò imbarazzata la signora Rita.
«In ogni caso, mi ha salutato da gentiluomo», asserì con decisione Giovanni. Poi, per cambiare argomento, soggiunse: «Piuttosto, signora, ha saputo di don Eligio?».
«Certo che ho saputo! Qui è veramente venuta la fine del mondo! Come si può uccidere un uomo di chiesa innocuo come lui! Zelante, certo. Ma non mi pare che minacciasse di turbare qualche equilibrio. Come, invece, si poteva congetturare in occasione dell’attentato al sommo pontefice…».
«Certo, è assurdo: per colpa di un balordo, il nome di una città come la nostra, che ha visto nascere un’attrice del calibro di Sofia Loren, deve essere associato a un fatto così orrendo! Non le pare assurdo?».
«Che cosa ti devo dire… Comunque, appena me lo hanno detto, ho subito dato le condoglianze a Emanuela, la sorella di don Eligio».
«Non sapevo che don Eligio avesse una sorella!».
«In verità, ne ha due: Emanuela, la più grande, mia compagna di banco ai tempi del liceo, e Raffaella, la più giovane».
«Abitano a Pozzuoli?».
«No: Emanuela ad Aversa e Raffaella a Formia. Pensa, Giovanni, che oggi, quando le ho telefonato, Emanuela mi ha detto una cosa incredibile: pare che don Eligio non vedesse le sorelle da più di due anni, e che proprio oggi, pensa, proprio oggi, avesse deciso di far visita a entrambe… come se avvertisse che qualcosa di orribile gli stesse per accadere, una sorta di presentimento…».
«Incredibile! E mi dica, signora, come mai ha poi cambiato idea?».
«In realtà, non ha cambiato affatto idea. Si è realmente recato a Formia, dove è riuscito effettivamente a incontrare la sorella Raffaella. Ma poi Emanuela ha ricevuto una telefonata, con la quale don Eligio le ha detto che, sebbene giunto anche ad Aversa, non avrebbe potuto incontrarla, avendo dimenticato la sua ventiquattrore sul treno. Ne avrebbe, quindi, atteso un altro, diretto a Napoli, per poi rientrare a Pozzuoli».
“Adesso capisco!”, pensò Alberto, che aveva prestato attenzione al dialogo intercorso tra Giovanni e la signora Rita. “Ecco perché, pur avendolo visto discendere ad Aversa, l’ho ritrovato qui a Pozzuoli! Ora capisco!”.
La pioggia intanto si era moderata. Appena smise di piovere, Alberto uscì dal locale, mentre il cielo si rischiarava, e si incamminò verso la chiesa nelle cui adiacenze aveva visto il corpo del povero don Eligio, alle spalle della quale vi era un ampio spiazzo, dove Alberto decise di fermarsi. Così, affacciandosi a una ringhiera, dalla cui elevatissima posizione si vedeva un mare immenso, disse sospirando, fra sé e sé: «Che panorama mozzafiato!».
L’ammirazione di Alberto per il paesaggio di cui i suoi occhi si stavano dolcemente colmando cresceva di pari passo col delinearsi di uno splendido arcobaleno.
“Che meraviglia della natura”, prese a riflettere Alberto. “Tutti questi colori sono una rivelazione meravigliosa. Sì, rivelazione, direi che è proprio il termine adatto: la rivelazione dei colori della luce. Ho sempre avuto la presunzione di pensare che la natura non avesse nulla di simbolico da svelare. Mi sbagliavo. Questo arcobaleno ne è la prova. È il vero volto della luce. Una luce che sembra incolore ma, dopo un temporale, svela il suo vero volto, i suoi veri colori. Eppure, se non lo sapessi, penserei a questo arcobaleno come a qualcosa di diverso dalla luce del sole, che, in genere, mi si presenta in un unico colore. Proprio non ci si può fidare di ciò che colpisce direttamente i sensi. L’intelligenza e l’umiltà fanno vedere oltre, sopperiscono ai nostri limiti sensoriali, e, insieme, consentono di capire ciò che la sola intelligenza non ci può insegnare… Del resto, se credessi solo in ciò che percepiscono i miei sensi, e tra questi non vi fosse l’udito, non avrei forse la presunzione di escludere l’esistenza del suono, che pure esiste?…”.
«Buona sera e ben trovati», esordì il conduttore del telegiornale delle 20.30. «Deludenti gli ultimi sviluppi delle indagini sull’omicidio di don Eligio Clementi».
Alberto non credeva a quanto stava scorrendo sotto i suoi occhi: «Ma quello lì… Ma sì!… Accidenti, è proprio lui!», esclamò a gran voce Alberto davanti allo schermo acceso, che mostrava l’immagine di Giacomo De Lucias, il suo accusatore, in manette…
«L’assassino non è Giacomo De Lucias», soggiunse, subito dopo, il telecronista, scandendo ogni parola. «Lo ha affermato il pubblico ministero, che ne ha disposto la scarcerazione immediata. I sospetti si erano addensati sull’uomo in seguito al rinvenimento del suo portafogli, contenente la sua carta d’identità, accanto al cadavere del frate. A onor del vero, però, Giacomo De Lucias aveva subito preso le distanze dal grave delitto. Ma lo aveva fatto in modo poco credibile, affermando di avere smarrito la sua carta d’identità. Ebbene, da qualche ora le dichiarazioni di De Lucias hanno trovato piena conferma: la denuncia di smarrimento del portafogli, presentata dall’uomo due anni fa e acquisita dagli inquirenti, milita a favore della sua assoluta estraneità all’omicidio. D’altronde, la fotografia annessa all’interno della sua carta d’identità ritrae un volto diverso dal suo…».
Alberto cominciò a riflettere. Quella notizia lo aveva frastornato, immerso nella meraviglia più assoluta. La coincidenza era a dir poco sorprendente: il suo accusatore a sua volta accusato, sia pure per poco tempo, dell’omicidio di un cappuccino. E si trattava di un frate che Alberto aveva avuto modo di conoscere. Per di più proprio durante il viaggio compiuto per raggiungere l’aula nella quale si sarebbe dovuto celebrare, proprio quel giorno, il processo di secondo grado nato dalle accuse del De Lucias. Senza contare, poi, che Alberto aveva parlato al frate anche del suo accusatore, facendone addirittura il nome, il cognome. Eppure, non sembrava che don Eligio lo conoscesse…

5. Continua
(il sesto capitolo sarà in rete lunedì 22 aprile, dalle ore 8)