Maestri invisibili di virtù

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di Giuseppe Tranchese

Spero sia capitato a molti di leggere una favola, un racconto o un romanzo in cui fossero protagonisti gli animali. La letteratura mondiale è intrisa, in maniera più o meno volontariamente evidente, di storie che rimandano ai pochi vizi ed alle tante virtù del mondo animale: l’innocenza, la naturalezza, l’incorruttibilità e l’onestà che li caratterizzano al di là delle difficoltà che possano incontrare nelle lotte quotidiane per la vita.
Gli animali hanno ispirato favole semplici ma al contempo di stupenda e profonda saggezza, con l’obiettivo di riportare l’animale uomo a concentrarsi sul discernimento dei veri valori. Basti pensare, ad esempio, alle favole di Esopo, una per tutte “La leonessa e la Volpe” dove la prima, rispondendo all’accusa della volpe di non saper mettere al mondo più di un figlio per volta, asseriva che “delle cose belle non si misura la quantità ma il valore”.
Nella simbologia dei Vangeli Gesù invita ad avere la prudenza del serpente e la semplicità delle colombe, non demonizzando il primo né sminuendo le seconde, ma cogliendone le qualità per assumerle nel quotidiano.
Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” descrive come il leone si caratterizzi, tra gli altri, per la sua clementia (clemenza), il cane per la sua fides (fedeltà e fiducia), la volpe per la sua sollertia (destrezza), gli elefanti per la probitas (correttezza), per la prudentia (saggezza), per l’aequitas (equità) e per la religio (servizio comune).
L’elenco degli autori e delle opere sarebbe estremamente nutrito ma la mia attenzione è stata catalizzata dal lavoro di analisi (meno noto rispetto ad altri) fatto da Plutarco nel “De Sollertia animalium”. Egli esplora ed analizza, a tratti esaltandola, quella che senza timore definisce “intelligenza animale”. Riallacciandosi alla tradizione di Circe che trasforma in maiali i compagni di Odisseo, Plutarco compone un dialogo breve ed elegante, in cui la questione viene dibattuta tra Odisseo ed un Greco che ha subito la trasformazione ad opera di Circe. Il maiale rifiuta di tornare alla condizione umana, non perché la vita animale sia priva di quegli affanni che turbano gli umani ma perché, non viziata dagli interessi a cui è legata la natura dei sapiens, essa esalta la semplicità del cuore.
Scrive Plutarco: “Molti animali manifestano una conoscenza ingegnosa di ciò che giova al momento opportuno, evidenziano socievolezza ed altruismo.
Il delfino possiede l’attitudine ad un’amicizia disinteressata.
Mai si vede un leone asservito ad un leone, né un cavallo ad un cavallo, per viltà, come un uomo è asservito ad un altro uomo, incline ad accettare la schiavitù.
Quanti animali, che gli uomini sono soliti prendere con lacci ed inganni, quelli ormai adulti respingono il cibo, resistono alla sete e preferiscono piuttosto la morte che la schiavitù…”
La natura umana è solo una particolare declinazione della Natura, ma con la potenziale capacità di riuscire a superare, se ben canalizzata, i suoi stessi limiti di vigliaccheria, meschinità, frode, malvagità, per trasformarsi in saggezza, bontà, generosità, virtù che la Natura stessa gli ha posto in essere.
Le virtù sono forze che plasmano quell’energia indeterminata, indefinita, indistinta, che si muove dentro ogni vivente e secondo la specificità di ciascuno. Una specificità che, sicuramente, si origina dalle complessità anatomiche e funzionali evolutesi nei tempi e che hanno generato ed incrementato la conoscenza e l’intelletto, ma che deve essere valicata da ciò che genera significato nella vita: quella che Kant chiama “Ragione”(e che tiene ben distinta dall’intelletto che genera conoscenza).
Generare significato nella vita è andare al di là delle caratteristiche fisiche e riproduttive, oltre l’intelligenza e la coscienza analitica, al di sopra anche dell’autocoscienza, per approdare in quella ragione calda che si esprime nella coscienza morale di cui le forze virtuali rappresentano le strade, i punti cardinali che aiutano ad orientarsi in quel Caos, in quello spazio vuoto, per plasmarlo e renderlo coraggio vitale.
Gli animali, definiti dai detrattori “I senza Logos” e che andrebbero osservati con grande acume, esprimono, de facto, una coscienza morale proprio perché non sono filtrati e schermati da quella parte analitica fredda che invero, spesso, predomina nella specie umana e che ci impedisce di realizzare a pieno la nostra essenza attraverso quelle potenze virtuali direzionali che sono la Saggezza, la Giustizia, la Fortezza e la Temperanza. Tali virtù, se messe in campo, potrebbero ergerci a custodi del mondo e donarci una fonte inesauribile di forza e bellezza.