Napoli e Torino “insieme” dopo il “patto” con Draghi

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(da Twitter)

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 12 aprile, all’interno della rubrica “Spigolature”.

di Ermanno Corsi

Ecco un primo avvio del modo nuovo di considerare la lungamente vexata “questione meridionale”. Se ci sono grandi Comuni a rischio default, non cominciare a “stringere patti” partendo dal Nord, ma finalmente dal Sud. Come dire: perché in ogni atto di fondamentale importanza per il nostro Paese, si deve sempre cominciare da su per arrivare, quando vi si arriva, a giù? Un geografo considerato “folle” se ne uscì anni fa con questa stravagante idea previsionale: diamo tempo al tempo e vedremo Milano diventare città di mare e Napoli città di montagna. Tutto un paesaggismo rivoltato sottosopra. Quando a Napoli, metà anni Ottanta, nacque il mensile di studi e riflessioni meridionaliste col titolo “Itinerario”, la copertina venne dedicata a un’Italia raffigurata con lo stivale capovolto: la grossa testa dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia spostata in giù e la parte conclusiva dello stivale, dalla Calabria alla Puglia, tutta in alto.

DAL SUD AL NORD. Palazzo Chigi non è ricorso a fantasie geografico-politiche per dimostrare come va perseguito l’obiettivo della “inclusività”: facendo partire quasi in contemporanea, ma da Napoli, il suo giro di solidarietà governativa. Differenze ambientali, per quanto attiene all’accoglienza da parte delle rispettive cittadinanze, non potevano ovviamente mancare. A Napoli folti gruppi di disoccupati e centri sociali che inveiscono per il drammatico problema del lavoro e dell’igiene pubblica (“perché le strade pulite solo oggi e non sempre?). A Torino una contestazione più dura, in vari punti della città, organizzata da Rifondazione comunista, Italexit del senatore Paragone e movimento studentesco, con una mescolanza di “no” (cantieri del traforo con Lione, vaccini, mascherine, green pass). E poi blocchi sulla tangenziale (caro benzina e tassisti).

DUE EX CAPITALI. La Storia le vide rivali, ognuna protagonista nel territorio suo proprio: Torino durante il Regno di Sardegna e nel Regno d’Italia dal 1861 al 1865 (poi lo “scettro” passò a Firenze). Napoli è capitale, sia pure con interruzioni da vicereame, dagli Angioini ai Borbone. Da alcuni anni i debiti dei rispettivi Comuni le vedono solidali e bisognose dell’intervento dello Stato. Nella sala Rossa del palazzo civico torinese il “volto” del pesante deficit (3,9 miliardi) è ben presente nelle valutazioni del sindaco Stefano Lo Russo e del presidente della Regione Alberto Cirio. Il “tesoretto” ora firmato (1 miliardo e 120 milioni) va speso in fretta, raccomanda il premier Draghi, ”mediante progetti che debbono trasformarsi in cantieri”. Significativa la citazione di Adriano Olivetti (per noi significa la grande fabbrica che nacque a Pozzuoli), quando parla di “un progresso dove si fa luce la bellezza”.

IL LEGAME CON LO STATO. Per poteri e responsabilità che continuano ad avere, i prefetti contano non poco. Attuale rappresentante del Governo è, a Torino, Raffaele Ruberto, nato a Bari ma per un lungo periodo prefetto a Caserta (contrasto alla malavita non solo casalese, diritti e doveri costituzionali spiegati a famiglie e studenti). Prima di lui è stato prefetto per tre anni, nel capoluogo piemontese, Claudio Palomba, partenopeo di nascita con studi alla Federico II, insediatosi da 6 mesi nel napoletano Palazzo del Governo a piazza Plebiscito. Ancora vivo il ricordo di Carlo Lessona che, a Torino, è stato prefetto dal 1989 al 1994.Amava sottolineare che gli era toccato il grande onore di sedere alla scrivania che era stata di Cavour (“ogni giorno -raccontava- potevo idealmente vivere un po’ dello spirito risorgimentale che aveva portato all’unificazione italiana”). Nei suoi 5 anni prefettizi, a Torino vivevano 600 mila fra napoletani e meridionali. “Mi sembrava di essere a casa mia”, diceva compiaciuto il napoletanissimo prefetto Lessona.

IL ROSSO CHE NON PERDONA. E’ quello, corrodente, che si crea nei bilanci comunali. A Napoli un buco di 5 miliardi, a Torino di 3 e 9. Nel capoluogo piemontese Gabriella Nardelli, prima donna con questo incarico, è impegnata a tirare il freno dell’indebitamento. A Napoli ci sta pensando Pier Paolo Baretta convinto che non ci sono vie di mezzo. ”Bisogna -dice con tono di buon auspicio- far ripartire l’Amministrazione bloccata da anni di immobilismo e di incuria”.