Napoli Festival: Baryshnikov, omaggio al Nobel Brodsky

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(foto di Salvatore Pastore)

”Brodsky/Baryshnikov” si intitola semplicemente questo spettacolo molto raffinato, uno degli appuntamenti di rilievo di questo Napoli Teatro Festival. Una serata fatta di atmosfere oltre che della leggera presenza fisica di Mikhail Baryshnikov, un recital omaggio di bellissime poesie del suo amico Iosif Brodsky (edite in Italia da Adelphi), premio Nobel per la letteratura 1987 con tutta la loro serena, rabbiosa amarezza, talvolta persino ironica malinconia e senso esistenziale della fine, il cui sentimento è già insito nella scena dal sapore cechoviano di Kristine Jurjane: una sorta di vecchia veranda di legno e tutta vetri dal sapore decò, che potrebbe appartenere al ”Giardino dei ciliegi”. Il lavoro sarà all’opera di Firenze il 3 e 5 luglio e alla Fenice di Venezia il 13 e 15 luglio. Baryshnikov, amatissimo e celebre ballerino russo che sceglie nel 1974 di restare in Usa e diventare etoile dell’American Ballet Theatre a New York, dove incontrò Brodsky perseguitato dal regime sovietico che vi è arrivato dopo essere stato espulso dall’Urss nel 1972. Tra i due, che hanno cambiato nazionalita’ sentendosi sempre esuli, nasce un’amicizia che durerà sino alla morte del poeta nel 1996, legatissimo sempre alle sue radici, alla ”lingua natia” come ribadisce nei suoi versi, alla cultura e anima russa, ma divenuto, in antologie e enciclopedie Usa un ”poeta americano di origine russa”, avendo scritto anche in inglese. Baryshnikov punta sulla musicalità assoluta delle poesie naturalmente in lingua originale (con proiezione di soprattitoli in italiano) che offre forse in modo persino, alla lunga (90 minuti), un po’ moncorde ma avvolgente, entrando dal fondo con una valigetta, sedendosi fuori della veranda, tirando fuori dei libri, una bottiglietta di vodka, una sveglia (che suonera’ alla fine a segnare il tempo dello spettacolo ma anche metaforicamente l’Addio di cui parla Brodsky). Durante la lettura, gran parte dal vivo ma anche registrata, restera’ con i soli pantaloni e proporrà una serie di coreografie fisicamente intense, lente, legate al senso e al vibrare delle parole, del suono, con movimenti e torsioni del corpo, equilibrismi faticosi, quasi dolorosi su una sedia, entrando e uscendo dalla veranda e finendo per oscurarne pian piano i vetri sparendovi dietro. Lo accompagna una musica tenue di Jim Wilson e suoni di Olegs Noviks, oltre a un gioco di luci, calde, fredde, come variare di ore del giorno o della vita, lampi come cortocircuiti, scintille e sfrigolii, secondo la regia studiata con delicatezza dal lettone Alvis Hermanis per la prima a Riga nel 2015. I temi sono quelli appunto di Brodsky con la sua poesia profondamente esistenziale e legata assieme alla fisicità e quotidiano dell’esistenza, ai fantasmi del passato sovietico, alla coscienza di un destino inevitabile ma mai malvagio, dove ricorrono immagini di ardore, gelo, inverno, deserto, vecchiezza, i solchi delle rughe, la vanità di una vita pur per molti aspetti anche generosa: ”Ogni persona / è una parte di un discorso” – ”Disegna un cerchio sulla carta / quello sono io / poi cancellalo” – ”Addio, sono felice per le persone/ che il viaggio / portera’ sulla tua strada” – ”Udrai il mio nome senza rabbia / e io rabbrividiro’ nella mia tomba”.