Al di là del clamore dei media sulle posizioni contrapposte riguardo al Referendum cosiddetto Brexit si sentono in giro un grande malumore e molte proteste. Queste ultime provengono dai tanti, forse dalla maggioranza, convinta che il referendum stia diventando un dibattito sbagliato per un problema sbagliato.
Anche se i mercati del futuro saranno probabilmente in Asia, Africa e nel Commonwealth, la geografia e la storia tengono i nostri piedi ben piantati in Europa. Qualsiasi tentativo di restare ai margini, o di lavarci le mani di ciò che succede nell’ Europa continentale, è sempre finito per noi in un disastro. E alla fine il Regno Unito è rimasto sempre coinvolto comunque. Restare ai margini è impossibile anche perché abbiamo scoperto da tempo che quei margini non esistono più.
Il referendum era cominciato con il piede giusto. Le prime affermazioni del Primo ministro nel discorso di Bloomberg il 23 Giugno 2013 era chiaro: il tema doveva essere quello della riforma dell’ Unione Europea e non solo quello de la posizione del Regno Unito nella stessa.
Per qualche ragione il dibattito si è perso per strada. Eminenti ed esperti consiglieri si sono affollati a ridurre il tutto ad una sorta di una shopping list di domande e pretese Britanniche senza che alcunché dell’architettura dell’ Unione venisse toccata. Quella che doveva divenire la questione Europea è divenuta una questione Britannica, una questione peraltro fatta di cose assai modeste.
Lungi dal mantenere l’ Unione così com’è la vera questione era quella dei pilastri dell’Unione che andrebbero rimpiazzati e rifondati su temi del nuovo secolo lavorando sui problemi di un mondo del XX e XXI secolo; un mondo completamente trasformato fatto di macro-dati e nuove piattaforme informatiche e operative che hanno rivoluzionato i modelli industriali, i mercati, la finanza e le imprese; che promette altri imprevedibili mutamenti.
Uno degli assiomi del XX secolo era il principio dell’economia di scala e quello di centralizzare e integrare industria e produzione, standardizzare e controllare ai fini dell’ efficienza; il tutto in mercati senza barriere ma attentamente protetti. Questo era quanto andava insegnato e funzionava per costruire un’ Europa forte e proteggerla da forze esterne e da vecchi pericoli. Il mondo dei macro-dati e della digitalizzazione ha invalidato questi precetti. Semplicemente non vi è più bisogno di centralizzare, integrare e controllare e questa non è più la strada dell’efficienza e dell’innovazione. Da quando il commercio e i processi produttivi avvengono globalmente lo stesso concetto di dazio, di protezioni doganali e finanziarie, spariscono.
Al contrario, tutte le tecnologie che si trovano condizionate dalla digitalizzazione permettono e richiedono decentralizzazione, flessibilità, differenziazione e individualizzazione . L’era delle piattaforme informatiche non solo altera il rapporto fra consumatori e produttori ma mette gli individui comuni ed elettori in un rapporto completamente diverso con le autorità dei loro governi.
Il terreno che le gerarchie e i fondatori dell’ Unione Europea avevano sotto i piedi è scomparso.
Restano alcuni reperti dell’ antico ordine, fra cui quello dell’Eurozona, il tentativo ambizioso di imporre un sistema monetario unico applicato ad una serie di circostanze economiche, sociali, fiscali e politiche completamente diverse fra loro. Un’ altra riguarda l’ agricoltura; un ‘atra ancora è la dottrina che prevede l’ aggregazione di competenze raggiunte nel secolo passato, ormai del tutto datate, contenute nel cosiddetto acquis communautaire.
Se gli studiosi britannici avessero adottato un’altra strategia al posto di quella obsoleta del presente vi sarebbe un ben maggiore consenso intorno al futuro dell’ Unione. Al contrario gli stati membri, uno dopo l’altro, piccoli e grandi, si affannano ad avanzare richieste e rifiutano il modello di un Europa neo- luddista invocando proprio quei cambiamenti che il Regno Unito propone da anni. Nei rari casi in cui, fra le contrapposizioni ideologiche, prevale il buonsenso, fra i fautori da una parte del mito della “sovranità recuperata” dall’ embrione di un Super – stato rappresentato dalla EU; e dall’altra fra i tranquilli fautori della permanenza nell’attuale Unione, nessuno alla fine sembra disponibile ai grandi cambiamenti. La forza centrifuga dell’era informatica e la sempre crescente interdipendenza fra gli stati moderni, il mercato pulsante e straripante, portatore di nuove forme di commercio, oltre alle altre novità in arrivo, renderanno le cose più chiare. Molte cose cambieranno ma non saranno necessariamente quelle vaticinate dalla fazioni in lizza. Alla fine la questione pratica è di capire se la grande agitazione sulla permanenza o l’uscita dall’ Unione giustifichino tanta agitazione. Prima che siano trascorsi alcuni anni di elaborazioni politiche e legalistiche sul problema le condizioni per una nuova soluzione saranno cambiate e gli argomenti oggi addotti a riguardo sembreranno inutili.
Nel quadro dell’ area geografica dell’Europa, fortemente condizionata da forze esterne ed eventi assai più grandi di quelli che un qualsiasi governo potrebbe gestire, con o senza il ruolo del Consiglio Europeo e della Commissione, la vera esigenza è di assicurare una stretta cooperazione fra stati del genere che il Regno Unito, grazie alla sua esperienza e capacità pratica ed intellettuale sarebbe capace di iniettare nell’Unione. Sono convinto che il pubblico intelligentemente capisce questo benissimo anche se la torre d’avorio di Westminster non lo fa. Ciò che si subodora da un miglio è la insensatezza di argomenti completamente contraddittori, spesso proferiti con la stessa emissione di fiato: che la Ue non è riformabile e sta divenendo un superstato che finirà per inghiottirci tutti; mentre da un’ altra parte si sostiene che è un’ entità del tutto irrilevante. Il pubblico dovrebbe scrollarsi di dosso questi semplicismi di cui li nutrono le chiacchiere. Invece di lasciarsi indottrinare da imbonitori, intellettuali, propagandisti e dai fautori sempre all’erta del bianco contro nero, un pubblico avvertito dovrebbe squadernare alla stampa e a chi di dovere la realtà delle cose europee come sono vissute e potrebbero esserlo in futuro.
E’ venuto il tempo di analizzare con freddezza quanto emerge dal nuovo ordine e fare un serio sforzo intellettuale per ridisegnare e preparare l’area europea, cioè la nostra area, alla valanga di sfide che arrivano dal mondo esterno, molte delle quali sono già arrivate. La ri-posizione del Regno Unito deve essere una parte centrale dei futuri sviluppi dell’ Europa. Non solo, anche il rapporto con gli Stati Uniti e con il vasto territorio del Commonwealth chiedono di essere rivisitati. Forse la nuova commissione della Camera dei Lord per gli affari internazionali potrà assisterci nel mettere tutto questo sui binari giusti. Nel frattempo ci stanno chiedendo di viaggiare su una strada sbagliata ed inutile. Una voce ancora tenue ci dovrebbe ammonire che come nazione stiamo facendoci del male invece di offrire il meglio di noi stessi confrontandoci con la realtà dei nuovi problemi europei sui quali possiamo lavorare con successo.
Il dibattito ora è come il Regno Unito può aiutare a tirare l’Unione europea fuori dalla trappola in cui si trova.
di Lord David Howell of Guilford
Membro Camera dei Lord
(Traduzione di M. Patriarca)