Allevamenti, sostenibile non basta: il modello è quello bio

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(foto da Pixabay)

In Italia, secondo gli ultimi dati, si contano oltre 450 mila aziende zootecniche. I bovini allevati sono quasi 6 milioni, i suini 8,5, gli ovini 7,1, i caprini quasi 1,1 milioni. Un numero impressionante di capi di allevamento che non solo – a causa delle condizioni di molti allevamenti intensivi – incide sul benessere degli animali, ma contribuisce a rendere l’agricoltura il terzo settore più inquinante, dopo energia e processi industriali. Infatti, l’80% del totale delle emissioni di gas serra provenienti da produzione agricola, pari a quasi 30 milioni di tonnellate all’ anno, arriva dagli allevamenti. Queste emissioni derivano dall’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici destinati alla produzione di cibo per animali, ma anche dall’emissione di metano e ammoniaca prodotte dagli animali, sostanze che si depositano nel suolo, confluiscono nelle acque ed evaporano nell’aria.

Inoltre, secondo uno studio dell’Ispra, in Italia gli allevamenti sono responsabili del 15,1% del particolato PM 2,5, uno degli inquinanti urbani più pericolosi. Significa che le stalle e la loro gestione dei reflui inquinano più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%) in termini di polveri sottili.

Cambia la Terra, il progetto promosso da FederBio insieme con IsdeLegambienteLipuSlow Food WWF, ha da tempo avviato una riflessione sulla necessità di aumentare il numero di allevamenti biologici per garantire un processo di crescita e benessere degli animali che rispetti la salute delle terre coltivate, delle acque e dell’aria che respiriamo. Un metodo di allevamento che produce chiari benefici in termini ambientali. È infatti uno dei principali alleati per la lotta contro i cambiamenti climatici, senza dimenticare i benefici in termini di salute anche per l’uomo, ed economici.

E questo è il tema dell’evento organizzato durante la 34esima edizione del Salone Internazionale del Biologico e del Naturale dal titolo “Allevamenti. Sostenibile non basta: il modello è quello del Bio”, durante il quale le associazioni hanno fatto il punto sullo stato attuale della normativa e dei fondi destinati agli allevamenti bio. Tra i relatori, sono inoltre intervenute l’eurodeputata Eleonora Evi di Europa Verde e l’eurodeputata Camilla Laureti del PD.

Le Strategie dell’Unione europea “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” rappresentano una svolta della politica agricola: fissano al 2030 la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e degli antibiotici e del 20% dei fertilizzanti chimici, e per i campi biologici indicano il target del 25% del totale della superficie agricola utilizzata. In Italia 80.000 aziende agricole, per un totale di 2,2 milioni di ettari, il 17,4% della superficie agricola, hanno già fatto questa scelta.

“Un processo che deve esser supportato attraverso i fondi del Psn, Piano strategico nazionale”, sottolinea Maria Grazia Mammuccini, Presidente di FederBio. “È fondamentale che le Regioni confermino gli stessi stanziamenti del periodo 2014-2022, oltre all’incremento necessario per il rispetto dell’accordo raggiunto in Conferenza Stato Regioni relativo ai 90 milioni di euro all’anno destinati al settore del bio. Un settore che, come dimostra la diffusione sempre più capillare dei distretti biologici, ha un ruolo strategico nello sviluppo dell’agricoltura italiana e della transizione ecologica. Gli allevamenti bio sono un’opportunità ulteriore per la tutela dell’ambiente, ma anche per un modello economico sostenibile e fruttuoso. Occorre investire per ridurre gli allevamenti intensivi e far crescere l’allevamento biologico basato sul ciclo chiuso a livello aziendale per consentire che il letame torni a essere una risorsa fondamentale per la fertilità della terra invece che un inquinante”. Un appello alle istituzioni condiviso da tutte le associazioni ambientaliste coinvolte durante il convegno. Mammuccini ha inoltre fatto riferimento al difficile contesto internazionale e alla sempre più insostenibile crisi energetica: “in questo momento è ancora più urgente sostenere gli agricoltori bio che si trovano ad affrontare delle sfide epocali che segneranno il futuro di tutta l’agricoltura, da qui alle prossime generazioni”.

Al centro dell’incontro, anche un modello concreto di allevamento virtuoso. È quello messo in pratica da L’Agricologica di Aboca, che si dedica ad allevamenti biologici nel rispetto dello standard High Animal Welfare di FederBio: bovini e suini, a breve anche gli avicoli, sono allevati al pascolo allo stato semi brado, in ampi spazi dove possono muoversi liberamente. Gli animali si nutrono nei pascoli con fieno biologico autoprodotto e un’integrazione a base di cereali, ghiande, castagne. Crescono senza stress e inutili sofferenze. Secondo uno studio dell’Università di Perugia anche la qualità della carne è più salutare per l’uomo: il grasso ha infatti un rapporto omega 3/ omega 6 inferiore a 2,5, ben al di sotto del limite indicato dalle linee guida delle Istituzioni sanitarie mondiali.

L’incontro getta le basi per la realizzazione del quaderno di Cambia la Terra sul benessere animale che sarà presentato nei prossimi mesi. Uno strumento di approfondimento sullo stato dell’allevamento in Italia, che riporterà le proposte del bio per avviare nuovi percorsi, Il quaderno avrà inoltre l’obiettivo di mettere in luce tutti i vantaggi di un allevamento bio e sarà arricchito dall’esperienza di chi ha messo in atto le buone pratiche. 

Un altro modo di allevare è possibile. Più rispettoso degli animali, dell’ambiente e dell’uomo. Per un allevamento che sia naturale e sostenibile, anche dal punto di vista economico, la strada è quella del biologico. Fare la differenza e trarne beneficio, per tutti, è possibile.