Bankitalia: studio, banche Italia più tassate di rivali

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Le banche italiane tra il 2006-2014 hanno sopportato una pressione fiscale effettiva attorno al 40%, superiore rispetto a quello delle rivali dei 4 maggiori paesi europei (tra il 28 e il 37%). Lo afferma una ricerca della Banca d’Italia. Nel 2015 con le misure varate dal governo sul tema della deducibilità delle rettifiche, la pressione è scesa ma resta comunque al di sopra degli altri paesi. La ricerca – viene spiegato – suggerisce “di rendere più omogenea la tassazione delle banche partecipanti al meccanismo di vigilanza unica europea”.

Gli analisti rilevano come per andare nella direzione di una tassazione più uniforme nell’ottica europea “un primo passo potrebbe essere armonizzare le basi imponibili”. Scorrendo le tabelle dell’occasional paper (che non riflette necessariamente le opinioni della Banca d’Italia) nel nostro paese l’aliquota effettiva è stato attorno al 40%, con un calo al 37,4% nel 2014 a fronte del 28% del Regno Unito e del 35% della Francia.

L’Italia, rileva la ricerca che analizza 740 banche nei 4 paesi (di cui 163 nel nostro paese), ha un’aliquota nominale (32,8%) non lontana dagli altri paesi, se si eccettua la Gran Bretagna che si ferma al 20%. Tuttavia quello effettivo è salito negli ultimi anni sopra la soglia del 40% mentre è sceso negli altri paesi ed è restato stabile in Francia e questo nonostante non ci sia una tassa specifica per le banche (bank levy).

A pesare sui conti degli istituti di credito vi sono una serie di svantaggi fiscali. In primo luogo le spese per interessi non totalmente deducibili, quindi la deducibilità delle rettifiche e crediti deteriorati divenuta piena e possibile in un anno come nel resto d’Europa solo nel 2015 (con effetti sul 2016). Vanno poi considerate le differenze sulla base imponibile dell’Irap che portano a una “parziale doppia tassazione” sui dividendi. L’effetto tassazione si vede anche sulla redditività (Roe) che uno scarto del 16% rispetto a quelle tedesche, generando uno svantaggio competitivo. Fattore questo che, ma qui il rapporto non lo dice, che incide anche sulla capacità di raccogliere capitali.
   

Le banche italiane tra il 2006-2014 hanno sopportato una pressione fiscale effettiva attorno al 40%, superiore rispetto a quello delle rivali dei 4 maggiori paesi europei (tra il 28 e il 37%). Lo afferma una ricerca della Banca d’Italia. Nel 2015 con le misure varate dal governo sul tema della deducibilità delle rettifiche, la pressione è scesa ma resta comunque al di sopra degli altri paesi. La ricerca – viene spiegato – suggerisce “di rendere più omogenea la tassazione delle banche partecipanti al meccanismo di vigilanza unica europea”.

Gli analisti rilevano come per andare nella direzione di una tassazione più uniforme nell’ottica europea “un primo passo potrebbe essere armonizzare le basi imponibili”. Scorrendo le tabelle dell’occasional paper (che non riflette necessariamente le opinioni della Banca d’Italia) nel nostro paese l’aliquota effettiva è stato attorno al 40%, con un calo al 37,4% nel 2014 a fronte del 28% del Regno Unito e del 35% della Francia.

L’Italia, rileva la ricerca che analizza 740 banche nei 4 paesi (di cui 163 nel nostro paese), ha un’aliquota nominale (32,8%) non lontana dagli altri paesi, se si eccettua la Gran Bretagna che si ferma al 20%. Tuttavia quello effettivo è salito negli ultimi anni sopra la soglia del 40% mentre è sceso negli altri paesi ed è restato stabile in Francia e questo nonostante non ci sia una tassa specifica per le banche (bank levy).

A pesare sui conti degli istituti di credito vi sono una serie di svantaggi fiscali. In primo luogo le spese per interessi non totalmente deducibili, quindi la deducibilità delle rettifiche e crediti deteriorati divenuta piena e possibile in un anno come nel resto d’Europa solo nel 2015 (con effetti sul 2016). Vanno poi considerate le differenze sulla base imponibile dell’Irap che portano a una “parziale doppia tassazione” sui dividendi. L’effetto tassazione si vede anche sulla redditività (Roe) che uno scarto del 16% rispetto a quelle tedesche, generando uno svantaggio competitivo. Fattore questo che, ma qui il rapporto non lo dice, che incide anche sulla capacità di raccogliere capitali.