Fatti e Misfatti dall’Unità d’Italia ad Oggi

A parlare, in modo diverso ma non proprio antirisorgimentale, dell’Unità d’Italia, il primo fu Fabio Cusin. Non a caso triestino.
“L’Antistoria d’Italia” fu il titolo del testo più importante di Cusin, perché riprendeva tutte le tradizioni localistiche, regionali, medievali del tessuto civile italico.
Le sue vere radici, quelle che rimangono sempre e ovunque. E che non dovremmo, anche sul piano economico, dimenticare mai.
Tutto molto giusto, questo nuovo riposizionamento storico e antropologico della Rivoluzione Nazionale Italiana, ma poi ci fu l’orgia dell’occultismo geopolitico.
Penso qui soprattutto al “Risorgimento Esoterico” di Cecilia Gatto Trocchi.
Certo, Mazzini era molto interessato alla Teosofia della Blavatsky, beato Lui, come poi lo saranno perfino Hitler e gli “esoteristi magici” del Terzo Reich, ma questo sembra che non lo possiamo dire nemmeno oggi.
L’esoterismo “bianco” e quello “nero”, nella politica europea, hanno le stesse origini.
Certo, i Savoia poi volevano riunire, per un ovvio e inevitabile obiettivo politico, tutte le forze culturali più apertamente anticattoliche, dalla Logge francesi rivoluzionarie a quelle della tradizione “alla Cagliostro” tipiche di certo garibaldinismo.
Manzoni, cattolico liberale, era molto interessato all’ipnosi. E’ tutta un’epoca che vive di occultismo, e da lì trae il suo linguaggio interno alle élites.
Il “Pinocchio” di Collodi è evidentemente, per chi sappia leggere, la favola del rito di passaggio del “non lavorato” pezzo di legno che diventa infine un cittadino modello del nuovo Regno. Sulla evidente trama dell’”Asino d’oro” di Apuleio. Il libro dei trattati occultistici egiziani e orientali delle classi dòtte romane e cesaree.
Leopardi abbozzò, lo si ricordi, un “Inno ad Arimane”, la divinità maligna che contrasta duramente con l’opera benefica del Signore della Luce, che non è l’Angelo Caduto, ma il ben più famoso Zoroastro-Zarathustra.
D’Annunzio era peraltro un seguace di Pèladan, un membro storico del Martinismo francese, di gran moda nei salotti romani che il Vate frequentava, ma per ben altri motivi che non la magia operativa delle Arrière Loges di Claude Henri de Saint Martin.
Tutta la Carboneria meridionale e italiana del Nord è una organizzazione rivoluzionaria, soprattutto politica e non esoterica, a parte qualche riferimento ai Santi e alla tradizione illuministico-gnostica del “buon cittadino”; ma è in sostanza la rete militante che permette l’accessione rapida e violenta, possibilmente, del Regno del Sud (e delle terre papali) al Regno d’Italia.
Questo accade, per riferimento al modello, soprattutto, delle varie Logge spurie e delle numerose organizzazioni esoterico-politiche che Filippo Buonarroti, pisano e discendente del Maestro della Cappella Sistina, metteva tra i piedi dei rivoluzionari unitari che agivano, però, agli ordini diretti del generale francese, anch’egli di origini pisane, Napoleone Bonaparte.
Tutto vero, certo, quello che abbiamo letto e detto da tempo sul nesso, profondissimo, tra esoterismo, massonico o para-massonico, e creazione del Regno d’Italia. E della sua Repubblica successiva.
E, ancora, molto ci sarebbe da dire sull’esoterismo rivoluzionario che si diffonderà nelle organizzazioni della Resistenza, soprattutto in Germania, dove si possono studiare i segni e gli evidenti simboli esoterici usati nelle organizzazioni resistenziali tedesche al Museo di Berlino. La guerra in Germania fu veramente guerra tra vessilli e symbola occultistici, anche di recente origine cristiana, come nella “Rosa Bianca”.
In Italia, fu del tutto esoterica la rete di “Giustizia e Libertà”.
Ma, ancora, mi ripeto, tutto questo lo sappiamo bene, ed è ancora, mi ripeto di nuovo, tutto vero. E quindi?
Ma, allora, cosa sta succedendo all’Italia, all’Europa, al Mediterraneo, le tre cerchie dantesche dove riposa il nostro destino italiano, nazionale, culturale ed anche economico?
Qui, certo, bisogna passare dall’esoterismo tradizionale ad altri tipi di analisi, meno occulti, ma non meno complessi.
Il Primo Cerchio (i cerchi dell’Alighieri hanno radici tolemaiche e aristoteliche, come è noto) della questione è l’Europa.
Naturalmente, anch’essa aveva, nel suo progetto unitario, radici esoteriche.
Schumann, i “Priori” anglosassoni durante la Seconda Guerra Mondiale, l’école des hommes propugnata dal famoso “contingente” americano, sempre tutto nell’ambito dell’OSS, Office of Strategic Services, il Servizio nordamericano prima della CIA, evidentemente meno esoterica del suo predecessore.
Anche qui, tutto vero. Ma bisogna vedere in fondo, di più e meglio, in fondo proprio alla luce biancastra di tale visioni esoteriche che chiariscono ma anche occultano, come è nella loro stessa natura.
Siamo arrivati oggi alla grande recessione europea, che si sta stagliando in questi ultimi mesi con evidente chiarezza.
E qui non ci sono esoterismi di sorta a proteggerci, sia pure ambiguamente.
L’indice PMI, (purchasing managers index) si chiude oggi, in tutta la zona euro, con una crescita che è la più bassa degli ultimi quattro anni.
Per i Paesi più “sviluppati”, come la Germania, va ancora peggio, con una caduta peggiore del PMI tra gli ultimi sei anni.
Quindi, tutte le chiacchiere sui bilanci europei, che hanno elettrizzato il dibattito più recente tra Bruxelles e Roma, sono già sepolte.
I bilanci, qui, in Europa, si devono fare a braccia, come ci consigliava il grande Enrico Cuccia.
Qui occorre altro. Ben altro.
Un intero continente è in evidente e ormai stabile recessione, con dei picchi di spinta al ribasso che si vedono soprattutto, e paradossalmente, nei Paesi più economicamente stabili del nostro Vecchio Continente.
Nessuna delle risposte finora studiate ci convince davvero.
Un Euro-Nord e uno per il Sud? Ovvio che il Seuro (la moneta del Sud) si svaluterebbe nettamente a favore del Neuro (ovviamente, è la moneta del Nord, non pensate al peggio).
Il sud potrebbe certo stampare moneta in gran quantità, fare tanta inflazione e, con quello, credere di riprendersi i mercati internazionali.
Follia.
Il Neuro, invece, secondo i bravi scolaretti della teoria economica attuale, volerebbe libero verso il paradiso dei Paesi monetariamente virtuosi, ma si scoprirebbe presto che il Neuro non funziona senza il Seuro.
Quanta esportazione, e a prezzi più bassi, si perderebbero i virtuosi protestanti etilisti del Nord, senza un collegamento stabile con l’Euro del Sud?
Anche questa è una ovvietà.
La moneta del Nord, poi, scoprirebbe anch’essa, e molto presto, che non basta essere virtuosi come una signorina vittoriana; ma che, per far girare una moneta, come ci ha spiegato recentemente Paolo Savona, occorre dare il senso che i possessori di Euro siano sempre, rapidissimamente e del tutto solvibili, nei loro debiti in Euro, o che possano usare la moneta europea senza limite alcuno per acquistare beni e servizi in altre divise maggiori.
E se riproponessimo, senza parere, l’Euro sovrano ma non sovrano di oggi, senza nemmeno sottoporlo ad una banale TAC, i mercati internazionali si rivolgeranno ben presto o al vecchio ma sicuro dollaro Usa, antica divisa che non si smette mai, anche perché è portata dalle baionette di tante guerre, o alle nuove monete in atto di costruzione tra Cina, India e Federazione Russa.
Ma anche loro hanno magnifiche baionette, pacifiche o meno, sulla punta delle quali porteranno le loro vecchie o nuove monete.
Per non parlare, qui, dell’oro.
Di cui, peraltro, siamo dotatissimi, nella Banca d’Italia.
Oro! Il vecchio “residuo tribale” di cui parlava Keynes durante i colloqui di Bretton Woods, nei quali diffidava del progetto di Washington di fare diventare subito il dollaro la moneta di last resort.
Risiamo però ancora lì, e ancora oggi. Se i problemi non si risolvono alla radice, sono destinati a ritornare peggiorati, aggravati e imbruttiti.
E, se vi ricordate, Keynes, parlando della nascita del Fondo Monetario e della Banca Mondiale, invocò la benedizione di tre fatine (il contrario delle tre streghe del Macbeth shakespeariano, che riguardano la costruzione del potere fallace e malefico) perché donino ai gemelli finanziari imparzialità, forza e saggezza.
Ma guai, continuò allora Keynes, se il maestro di cerimonie si dimenticasse di invitare alla festa una fata cattiva, che per ripicca avrebbe potuto maledire i neonati, facendoli diventare due politici.
Hjalmar Schacht, il banchiere di Hitler, massone e di origine ebraica; e inoltre con forti appigli in Usa, si dedicò, dopo il Processo di Norimberga, più o meno negli stessi giorni in cui Keynes faceva le sue inascoltate battute ad Atlantic City, a mettere in piedi una Banca d’Affari che lavorava con i Paesi arabi e africani.
Quando si dice la lucidità di un banchiere illuminato in tutti e due i sensi sapientemente possibili.
Chi oggi manovra grandi capitali in Euro, non sa però se potrà esserci una clausola automatica e piena e soprattutto rapida che certifica come la nostra moneta europea possa essere lender of last resort.
Cosa fa il prestatore di ultima istanza lo sappiamo tutti: ma in Europa i documenti ufficiali della BCE ci dicono che non vi è un regolamento specifico per queste situazioni. Bravi! E come hanno potuto creare una moneta potenzialmente universale, con queste tecniche?
Avranno studiato qualche vecchio manuale rivoluzionario dei francesi nell’89.
Se ci fosse una netta caduta dell’Euro, Nord e Sud insieme, chi verrebbe in soccorso di una economia europea tutta in fase di recessione, ma a cui si aggiunge anche una potente deflazione?
Gli americani sono già tutti lì, democratici o repubblicani, sulle rive del Potomac, dove si trovano peraltro molti centri di potere internazionale Usa, occulto o palese, che aspettano che passi il cadavere dell’Euro; e non vedono l’ora di veder morta questa moneta che credeva di fare concorrenza al dollaro senza armi, senza sostegno geopolitico, senza progetto alcuno, nemmeno nel Mediterraneo, ma soprattutto senza alcuna procedura di Lending of last resort.
Non posso non unirmi, per un breve momento, alle risatine degli amici americani sulle rive del loro famosissimo e storico fiume.
Ma a noi una moneta unica europea serve, e come.
Se avessimo solo la Lira, nuova o vecchia, potremmo avere solo un piccolo mercato che non potrebbe sostenere uno sviluppo economico nemmeno di un terzo minore dell’attuale, e qui ci siamo ben capiti.
Intanto, ci costerebbe direttamente 300-400 miliardi (di Euro) che non ci possiamo certo permettere.
Poi, aumento inevitabile dell’inflazione, con costi del denaro che arriverebbero almeno, nelle prospettive più ottimistiche, al 16%.
E qui i nostri quasi-amici del nord ci farebbero tutti i dispetti possibili.
Il carovita diventerebbe una patrimoniale continua.
Ne trarrebbero vantaggio, dalla nuova Lira, solo le imprese che esportano prodotti a basso valore aggiunto.
Che oggi hanno una concorrenza potentissima, in tutto il mondo.
E’ del tutto ovvio che i contratti stabiliti in Euro diventerebbero pesantemente cari, troppo cari.
Allora, come dicono appunto gli americani, siamo between a rock and a hard place. “Tra una roccia e un posto duro”, letteralmente.
Cosa fare, quindi? Richiedere tutti, tutti noi, dico, una ridiscussione del progetto Euro nella UE, perché l’Italia, ma tra poco anche la Francia, la Germania, ma ancora la stessa Spagna e altri, non potranno sostenere il costo di una moneta unica europea che si vuol vestire dei panni del dollaro ma trova sempre, come nella favola di Andersen, un bambino che gli dice che è nudo.
O si fanno le operazioni geopolitiche giuste, e allora si può tenere perfino un dollaro che è “una nostra moneta e un vostro problema”, come disse un Governatore della Fed Usa ai suoi colleghi europei; oppure si fa la monetina buona buona, ma accademica, sostanzialmente inutile e servile.
Ma servirà a pararci il fondoschiena, l’Euro così come è?
Ho qualche dubbio. E’ nato in anni di crescita e di continua convergenza tra tutte le economie europee e, perfino, tra quelle nordamericane e le più performanti tra le europee.
Oggi, qualunque cosa accada, siamo e saremo sempre di più in un regime progressivo di divergenza strutturale.
Qualunque cosa accada, lo ripeto, all’Euro e qualunque altra cosa possa accadere all’imbelle, ridicola, banale, quando esiste, politica estera europea.
Persa tra fesserie pacifiste e universaliste, residuo di certo esoterismo democratico tra i più sciatti e banali, la politica estera europea sembra l’Inno alla Gioia con la parte finale di Schiller, ma rielaborata, come è noto, dallo stesso Beethoven, comunque suonata su una stonata pianola di Paese.
E, comunque, lo ripeto ancora, il nostro dovere oggi è stabilire, in presenza di classi politiche inette e superficiali, prive di ogni e qualsiasi tecnica del potere o comprensione reale dei fatti, il nostro forte e inconcusso potere di influenza personale.
Quando c’era un giovanissimo Guido Carli, all’Ufficio Italiano Cambi, iniziò il grande boom economico, con un debito pubblico da ridere, anche per quei tempi.
Guido non era certo solo. Quando c’eravamo noi, ma ci siamo ancora, a mantenere le leve del progetto nazionale, unitario, cristiano e popolare (ma oserei anche dire socialista) tutto andava al meglio.
Dobbiamo, allora, riprenderci quello che è da sempre nostro, ovvero risplendere con il potere, occulto e palese, che caratterizza ormai da molti anni, le nostre carriere e il nostro stile.
Qui, in un pozzo nero di poveri arrivisti che non riescono nemmeno a capire il testo dei maggiori quotidiani, dobbiamo riprenderci ancora quel che è nostro, solo nostro.
Che è il potere più sottile che c’è, ma anche quello più stabile e potente, cercato e quasi mai trovato da tutte le agenzie di intelligence: il potere dell’influenza.
Ovvero, quello che tutti noi, nei nostri ambiti, possiamo e dobbiamo esercitare per modificare, ampliare e perfezionare le conoscenze nei nostri, spesso, importantissimi, legami all’Estero.
Se le classi politiche non possono o non sanno farlo, per evidenti carenze intellettive e esperienziali, dobbiamo essere noi, gli Antichi Savi, a coprire il vuoto delle nostre élites così tristemente palesi.
Il vuoto, in politica come nella fisica aristotelica, si riempie da solo e rapidamente. O lo riempiranno i nostri nemici, fuori o dentro la UE, o saranno ancora dolori. Se non riprenderemo la nostra funzione, direi perfino sacerdotale.
Se non svolgeremo il ruolo di Antichi Savi oggi, ci sarà qualcuno, ben peggiore di noi, ad esercitarlo al nostro posto.
Ma qui, nell’espansione del nostro potere nazionale, c’è oggi il vero pericolo per il nostro Paese.
Si tratta della proiezione dell’Italia nel Mediterraneo, senza la quale, dai tempi di Caio Duilio e delle guerre romane contro i cartaginesi, non si dà alcuna grandezza e sviluppo dell’Italia, schiacciata comunque dal Nord e impedita talvolta nel suo naturale sviluppo al Sud, nel Mare Nostrum.
Il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, interessante però questa terminologia nuova che fa più “Croce Rossa” che altro; teorizza, in un suo recente documento, l’importanza del “Fondo per l’Africa” italiano, pure scarsissimo e dedicato, ben sappiamo come, ai Paesi che ci mandano più migranti.
Così ce ne manderanno di più, e li pagheremo già alla partenza.
Poi, abbiamo la retorica delle cinque “P”: Persone, Pianeta, Prosperità Pace e Partenariati.
Tutto bello, ma sembra un documento vuoto come un palloncino, come quelli che scrivono le anime belle di Davos, la Disneyworld delle classi che si credono dirigenti.
Ma cosa vogliamo noi italiani dall’Africa e dal Mediterraneo, davvero, oltre alla retorica da comizio?
Intanto, buoni, anzi ottimi rapporti economici e politici con il Maghreb.
Finita è l’epoca, o meglio, si deve ritornare indietro ai momenti magici in cui nessuno, per portarci via la Libia, la nostra Banca d’Affari a cielo aperto, concionava di “tiranni” e di “democrazie”, come faceva quel presidente francese che era pieno di debiti con chi poi fece uccidere, Gheddafi.
Quindi, un progetto economico serio di trasferimento non ai francesi e ai tedeschi delle nostre linee produttive di qualità, come Lactalis pochi giorni fa o la meccanica fine bolognese, sempre ai tedeschi; ma di trasferimento delle nostre linee medie o di economia “matura” nelle fabbriche del Maghreb. Almeno, laddove là ci sia ancora qualche idea di stabilità politica.
Ce l’hanno portata via, la stabilità politica africana, per circondare l’Italia da Nord a Sud, con equilibri di potenza pericolosi e nemici. Che servivano come il pane a francesi, inglesi e americani.
Dobbiamo allora cambiare rapidamente le carte in tavola.
Quindi, noi dobbiamo ricolonizzare, ma certamente in modo paritario e amichevole, come ai tempi della nostra Algeri con l’ENI e dell’Egitto con le nostre Autostrade, Salini e Impregilo, l’Africa meno instabile.
Fare all’estero, noi, le infrastrutture che mancano, anche in Italia, ma che, se fatte in Medio Oriente, sono pagate subito e bene.
Poi fregarsene, ma del tutto, delle “operazioni di pace” inventate da qualche nostro alleato per rifilare agli africani o ai mediorientali robaccia sotto-costo o per creare aree monetarie spurie, instabili e pericolose anche per l’Euro.
Senza armi non si mangia, nemmeno. Per andare di nuovo in Medio Oriente, ci vorrà una forza militare assertiva, forte, autonoma, del tutto e solo dedicata all’interesse nazionale e quindi, quando occorre, anche molto “cattiva”.
Basta con questo certificato catastale non ventennale, ma ormai settantennale, per cui noi siamo “quelli che hanno inventato il fascismo”, come ha recentemente detto il presidente francese Macron, dimenticandosi quindi dei suoi amici tedeschi e della feroce e immensa Repubblica di Vichy.
Più palle, più orgoglio, ma anche più energia nel riprenderci quello che è soprattutto nostro, il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Per non parlare, poi, delle grandi operazioni che possiamo fare, eccome se le possiamo fare, con quell’Israele che è ormai alla base di ogni evoluzione tecnologica e scientifica futura, ben più degli Usa, ormai; e con la Cina, che trasformerà radicalmente il sistema economico euroasiatico con la sua Belt and Road Initiative, che ci arriverà in un botto e noi dovremmo utilizzare non al “servizio” delle necessità europee, che sono atlantiche e nordiche ma non mediterranee, ma solo per noi.

Giancarlo Elia Valori