Il cinema e la poetica della separazione, De Angelis: Io? Un umanista di strada

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Edoardo De Angelis, regista, è in nomination all’Ottava Edizione del Gala Cinema e Fiction in Campania che si terrà dal 3 al 7 ottobre tra Castellammare di Stabia e Napoli con il suo film “Indivisibili”, nella sezione “film drammatico, attesi i meritati e prestigiosi riconoscimenti ottenuti nell’ultima edizione del Festival di Venezia nel segmento “Giornate degli Autori”

De Angelis ci racconti del film.
E’ un’opera che affronta il tema della separazione; noi possiamo avvertire dolore per una separazione tra genitori e figli, tra amici, tra innamorati, ma soprattutto proviamo dispiacere per la separazione da noi stessi, quando dobbiamo crescere e ci stacchiamo con nostalgia dalla fasi più belle della vita quali l’infanzia e la giovinezza.
E’ anche un lavoro sulla diversità?
E’ interessante quest’altro punto di vista; la diversità spesso non viene considerata con la dovuta cautela, bensì sfruttata in senso negativo. Siamo in un’epoca in cui tutto diviene oggetto di amplificazione, al punto che la diversità non viene considerata come indice di emarginazione, bensì come fonte di lucro, come nel caso delle protagoniste del mio film, due gemelle siamesi che vengono sfruttate dai genitori, dai familiari, persino dal parroco del paese come fenomeni di barracconi o esempi viventi di miracoli.
Un grande del cinema internazionale di nome David Cronenberg, fu autore di un film dal titolo “Inseparabili”.
Sì, Cronenberg lo realizzò con una star di nome Jeremy Irons; in quel caso però si parlava di gemelle e non di siamesi. Credo che la ricerca del cinema punti sulla realizzazione di immagini sintetiche; noi registi dobbiamo realizzare in un’unica immagine la sintesi di un racconto di una riflessione filosofica, di uno sguardo sul mondo. In questo film ho parlato di separazione perché il meccanismo relativo alberga in ognuno di noi; a tal fine, ho ricercato qualcosa che fosse fisicamente tangibile ed ecco l’immagine delle siamesi che si devono materialmente tagliare. Tutto ciò può scioccare l’occhio ma al tempo stesso genera una riflessione su qualcosa che riguarda molto da vicino tutti noi.
Lei si definisce un regista d’essay?
L’impegno da me profuso nelle mie opere è una forma responsabilità verso il pubblico che mi segue e si materializza nella costruzione di racconti emozionali. A mio avviso, la ricerca non si deve confondere con la ricercatezza, non deve essere infiocchettata ma deve puntare al cuore di chi guarda il film. L’unica collocazione veramente seria di ogni opera risiede nel cuore e nella mente di ogni spettatore.
Da “Mozzarella Stories” a “Perez”: un unico filo conduttore?
Anche “Perez” era un racconto di formazione; il protagonista aveva 50 anni, era una persona alle prese con il proprio destino e lui doveva impegnarsi molto per riprenderlo tra le mani.
Lei è un regista giovane ma molto apprezzato; la sua più grande gratificazione?
L’unica vera soddisfazione che desidero ricevere dai miei lavori è l’emozione del pubblico.
Il suo escalation artistico?
Sono diplomato in regia a Roma, al Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo aver frequentato il Liceo Classico.
E’ dunque un regista di estrazione umanista?
Il mio umanesimo proviene dai libri e dalla strada; è da lì che traggo ispirazione nelle mie opere.
Il suo maestro?
Emir Kusturica che ha prodotto il mio primo film “Mozzarella Stories”. Lui è uno dei registi più italiani che conosco anche se di origine serba.
Come mai ha scelto la regia?
Mi piace immaginare il mondo con la macchina da presa non viverlo da protagonista.
De Angelis; che vuol dire essere italiano?
Essere al centro di un coacervo di storia, di dominazioni, di sentimenti ed essere una sorta di cartina di tornasole del bene e del male nel mondo. Personalmente mi sento italiano nella mia collocazione napoletana.