Il dono non ha il valore del prezzo

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Donerete ben poco se donerete oggetti

È quando fate dono di voi stessi che donate veramente.

Kahlil Gibran

Osservo questa persona non amabile e poco amata che aspetta Natale per dare regali a chi non la ama, sperando di “comprare” il loro amore per poi lamentarsi che non è amata quanto dovrebbe, perché non ha ricevuto i regali che voleva come dimostrazione d’amore. Questa persona ha un comportamento che esprime la patologia del dono, ma non è una rarità: per molti il valore del dono ha la sua misura non nella reciprocità dell’affetto, ma sul prezzo indicato nell’etichetta e questo è anche un’indicazione del valore che si dà al destinatario, oppure è una trappola per obbligare a una restituzione problematica (Su questo punto, che riprendo più avanti, consiglio di leggere le armi della persuasione di Robert Cialdini in particolare sulla reciprocità.) Purtroppo il luogo privilegiato d’osservazione di queste dinamiche è quello familiare in questi giorni dove una volta all’anno persone che si sono ignorate per 365 giorni, si ritrovano per “volersi bene” e dirselo con degli oggetti. L’inventario affettivo è determinato dalla contabilizzazione dei doni: chi ha ricevuto di più, che cosa, chi l’ha fatto. E così via. La differenza tra ciò che si riceve e ciò che si dona può essere avvertita, ma non considerata un debito se il rapporto è d’amore o di vicinanza emotiva; oppure può permanere uno “stato di debito”, nel quale si verificano anche situazioni “impossibili” in termini contabili: entrambi i partner possono ritenere di essere in credito (“debito negativo”), oppure in debito (“debito positivo”). In questo senso (debito positivo) il dono fa parte di un processo di scambio di valore che si rinnova nel tempo ed è fondato sulla qualità della comunicazione tra i soggetti. Sto parlando ora con quest’anziana signora benestante economicamente, ma credo malestante psicologicamente. Mi racconta di una sua “amica” in difficoltà economiche e aggiunge, con aria ispirata piena di bontà, che intende regalarle per Natale dei cestini di cibo poiché ora, con la crisi, è “diventata una morta di fame”, ma per sua fortuna c’è lei. Il suo sguardo ha uno strano lampo e il suo sorriso è freddo. Questa donna sta preparando un dono di Natale e penso con tristezza che il costo, per chi lo riceverà, sarà molto alto e potendo scegliere, sono sicuro, ne farebbe a meno. Ma non si può rifiutare un dono e questo spesso complica le cose. Quest’altra giovane donna fa le stesse cose, preparando dei doni, ma non è la stessa cosa. Sta pensando con cura a persone che ama e a oggetti e parole che possano esprimerlo. Per lei il dono è comunicazione che vale. Cerca la leggerezza consistente, priva di orpelli che faccia arrivare lo spirito del dono, invisibile ma che ne rappresenta la profonda essenza. Lei spierà attendendolo il sorriso e questo è ciò che si aspetta come “restituzione”. In sostanza il rituale del dono intreccia un piacere/dovere e nel farlo compiamo delle distinzioni basate sulla reciprocità sociale o affettiva affinché il dono rilevi e rinforzi un legame quindi nel suo significato più profondo rappresenta uno degli atti più intensi quando riflette un gesto autentico perché facendolo, si regala se stessi con la parte di amore o di attenzione verso il destinatario del gesto. La reciprocità è caratteristica dei rapporti di scambio di valore sociale. Una cultura profonda del dono non divide in chi dà e chi può soltanto ricevere – i “reietti”, gli “esclusi”, che devono aspettare la compassione degli altri. Seneca affermava che “chi ha ricevuto, ucciderà il suo benefattore”, come contropartita dell’umiliazione subita. Se manca la reciprocità affettiva prevale la parte grottesca del rito con tutta la sua componente di peggioramento dello scambio, infatti, in teoria si dovrebbe presupporre che per essere davvero valido non si dovrebbe attendere e ricevere nulla in cambio immediatamente, se non la riconoscenza schietta di chi riceve. La gratuità, infatti, che è la parte distintiva del valore del dono, è una forma di reciprocità non motivata dalla ricerca del ritorno, non è determinata dall’azione di risposta immediata, reattiva, dell’altro. Naturalmente nella pratica la restituzione fa parte fondamentale del gioco, si deve “restituire”, altrimenti si spezza la reciprocità simmetrica e si umilia il ricevente non ritenendolo meritevole di rispondere. Ripeto: bisogna stare attenti ai doni che si fanno a chi non può rispondere, perché potrebbe voler dire sancire la sua esclusione. Occorre dare la possibilità di donare “restituendo” essendo consapevoli che le forme di restituzione possono essere numerose se si supera la banale valutazione economica del dono. Lo scambio di doni, l’alternarsi tra il dare, il ricevere e il ricambiare evidenziano l’esistenza di una relazione in cui il dono mette in azione un movimento di reciprocità, uno scambio continuo che è possibile cogliere non solo concretamente ma anche, e soprattutto affettivamente perché molti regali scompaiono, ma certi doni intangibili rimangono per sempre come tatuaggi nell’anima.