Le iniziative benefiche del consolato francese di Napoli

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Si è svolta con grande successo a pochi giorni dal Natale, presso Palazzo Grenoble – Salle Dumas, Institut Francais – sede del Consolato Francese di via Crispi a Napoli, la serata di beneficenza ” Una nota lunga,da Parigi a Napoli. Due culture musicali, una relazione da svelare” organizzata dall’ AFNIS ( Associazione dei Francesi di Napoli e del Sud Italia presieduta da Valerie Paillard , Ecole Francaise de Naples ) e dal Console di Francia Jean Paul Seytre, socio onorario dell’AFNIS.
L’evento ha avuto un doppio e lodevole filo conduttore: da un lato la cultura, che unisce Francia e Italia attraverso la musica, e dall’altro la beneficenza. L’AFNIS, infatti – associazione fondata nel 1991 che si occupa di attività sociali e culturali sul territorio napoletano e si rivolge ai cittadini francesi del Sudresidenti in Italia con tanti eventi a scopo benefico e senza fini di lucro – ha organizzato la serata con il fine di raccogliere fondi da destinare ai cittadini francesi in Italia in difficoltà economiche, iniziativa encomiabile e non nuova per la presidente Valerie Paillard sempre sensibile ed attenta a tematiche importanti sul territorio, e dal Console francese Jean Paul Seytre.
E’ stato un viaggio attraverso la musica e l’arte, da Parigi a Napoli, con il tema affascinante dell’iniziativa reso unico e suggestivo grazie alla presenza del maestro Alessandro Zignani che ha curato i testi e la voce narrante, il maestro Giovanni Imparato (al pianoforte), e i soprano Sabrina D’Amato, Laura Esposito e Valeria Romanazzi. Piena la sala con presenze non solo francesi, tantissime le donazioni anche da parte di cittadini napoletani che hanno sposato la causa della solidarietà rispondendo positivamente all’appello dell’AFNIS.
Da sottolineare che tutti gli artisti presenti alla serata hanno lavorato alla buona riuscita dell’evento in maniera gratuita e in perfetta linea con i canoni dell’iniziativa sociale.
La diplomazia   francese punta senza dubbio sulla Campania e su Napoli , facendosi forte di un momento di condivisione non solo di molte attività imprenditoriali, ma di  attività culturali, sociali e artistiche, senza precedenti: senza dubbio spicca la visione comune di molte realtà architettoniche presenti sul territorio , e punto di riferimento per le iniziative del futuro. 
Sulla stessa linea conduttruce , sempre in questi giorni, dopo la precedente lectio magistralis su Dominique Perrault , architetto artefice della nuova veste di Piazza Garibaldi, si è svolto all’Institut Francais di Napoli, alla presenza del Console Generale di Francia a Napoli Jean Paul Seytre, una celebrazione di un altro architetto francese noto per la sua abilità di unire il vecchio e nuovo con pochi respiri e tanti entusiasmi : Fernand Pouillon. Il web francese si è scatenato riconoscendo al Console Seytre la capacità di aver reso la Campania culla della cultura francese.
L’occasione è stata la presentazione del libro “All’ombra di Pouillon” dedicato all’architetto francese, con la partecipazione dell’autore Giulio Barazetta, in collaborazione con l’Università Federico II  e l’ Istituto francese Grenoble.
L’opera di Fernand Pouillon s’impone all’attenzione perché mostra una via per il nostro mestiere chiara nella sua semplice evidenza: la cura per un’architettura concepita come fatto urbano già nel suo farsi costruzione nel progetto non disgiungendo gli aspetti operativi dai risultati. Ma come  può verificarsi questo legame così concretamente materiale? Come si raggiunge quella straordinaria unità con la città esistente di architetture in continuità fra nuovo e antico? Come si realizza quella sensazione di bellezza che si coglie al variare della luce e dei colori?”: la prefazione del libro offre lo spunto per una riflessione della visione di un uomo eclettico e giudicato ‘ visionario’ ma che ha saputo cogliere la dimensione d’assieme che lega un territorio alla sua storia globale. L”architettura francese ha realizzato attraverso i suoi validi esponenti, un connubio felice e lungimirante proprio nella città di Napoli ove da sempre regna l’eclettica convivenza tra vecchio e nuovo, che fu gia’ la tematica svolta con greci e romani, che gli angioini non disdegnarono dal momento che per non distruggere le rovine precedenti,  vi costruirono sopra e, a volte, anche al corrispondente fianco
Fernand Pouillon è stato uno dei pochi architetti della nostra epoca che ha intimamente e inscindibilmente legato la propria concezione architettonica al carattere costruttivo e ai materiali, in modo particolare alla pietra, fino a sviluppare da questi un proprio linguaggio originale. L’ architettura di pietra di  Pouillon non discende dalla pratica  acquisita presso i suoi maestri Perret e Beaudouin,  né  è figlia delle ideologie architettoniche che privilegiavano in modo  esclusivo i materiali “moderni”, cemento armato, ferro, vetro: I motivi della scelta vanno forse ricercati nel ruolo collettivo e sociale che Pouillon assegnava all’architettura, ossia nel primato che gli attribuiva alla dimensione pubblica urbana più che al grande gesto architettonico, assegnando  quindi un ruolo centrale al decoro, alla durevolezza e alla bellezza, prerogative queste dei materiali lapidei.
Gran parte dei complessi residenziali da lui realizzati in Francia e in Algeria prima della crisi del ‘61, erano formati da edilizia economico-popolare e tutti costruiti con quantità massicce di pietra, ciò che li poneva in modo scandaloso al di fuori delle convenzioni e della prassi costruttiva dell’e; la pietra invece, materiale usato per gli edifici pubblici più rappresentativi della città, diviene nella concezione di Pouillon l’attore di una nuova monumentalità estensibile a tutto il tessuto urbano.
E’ quanto esplicitamente lui stesso afferma parlando di Climat de France, la celebre «piazza delle 200 colonne» di Algeri, quando dice “Cette ville pour les plus pauvres serait un monument” e più avanti “Pour la première fois peut-être dans les temps modernes, nous avions installé des hommes dans un monument…”. Analogamente, per Meudon-la Foret, ricorda “Je dressai un projet monumental, cyclopéen, pour loger les moins fortunés”.
La pietra dunque corrisponde ad un programma di ideologia urbanistica, da lui espresso nel concetto di “ordonnance”, che si articola in modi e intensità diversi ma con intenzioni analoghe in tutti gli interventi a scala urbana effettuati da Pouillon.
Se questa fu l’intenzione, la sua applicazione non sarebbe stata possibile senza l’esistenza di condizioni particolari sul piano del mercato edilizio e senza le straordinarie capacità produttive messe in atto da Pouillon.
L’uso tettonico della pietra per le strutture murarie era, nel primo dopoguerra almeno fino agli anni cinquanta, comunemente diffuso nei cantieri di molti paesi europei storicamente legati a questa tradizione costruttiva come la Francia, l’Italia e la Spagna.
Si trattava però soprattutto di murature in pietra grezza, a pezzatura irregolare, che venivano finite con intonaco mentre i solai erano realizzati in cemento e laterizio. Questa disponibilità di pietra grezza era favorita da costi ancora bassi di produzione mentre ben più costoso e praticamente fuori mercato era il blocco di pietra lavorato da lasciare a vista in facciate continue. Più frequentemente per l’edilizia economicamente medio alta si usava la pietra da rivestimento.
Negli stessi anni si stava avviando in Francia un massiccio programma di edilizia sociale che aveva come perno la prefabbricazione pesante con uso di pannelli in cemento e impianti tecnici prodotti industrialmente secondo norme e criteri di modularità pensati per abbattere i costi.
La sfida di Pouillon, come sappiamo, fu la creazione di un processo costruttivo alternativo, fondato sull’uso globale della pietra, attraverso l’impiego di materiale lapideo sia a livello strutturale, come massa muraria portante o come elementi pilastrati, sia a livello compositivo nel disegno delle facciate.
Questo processo si avvaleva del concorso di nuovi e geniali sistemi di lavorazione e di applicazione del materiale ma anche di una straordinaria capacità di organizzazione e conduzione del cantiere da rendere competitive sul mercato le costruzioni.
Un mercato che mai come adesso si giova dell’interscambio e della collaborazione tra I due Paesi, come dimostrato dalla vittoria del progetto ’ La cite’ des cultures d’Italie’ dello studio stARTT  di Roma che ha vinto pochi mesi fa il concorso” Le Ali ritrovate de l’Hotel de Gallifet “, il concorso nazionale di progettazione pensato per l’ampliamento e la valorizzazione della sede dell’Istituto italiano di cultura a Parigi. Selezionato da un gruppo di massimi esperti europei del settore, il progetto stARTT, preferito tra i nove presentati da alcuni tra i più emergenti studi di architettura italiani, è stato premiato poco fa a La Biennale di Venezia nell’ambito delle manifestazioni previste per la Biennale Architettura 2016. Un omaggio al modello della citta’ italiana ed europea, organizzata intorno ai suoi spazi pubblici quali luoghi di condivisione  e produzione dei saperi : questa la sintesi alla base della proposta di progettazione elaborata da stARTT per ripensare gli oltre 6.500 mq delle due ali della prestigiosa sede parigina di fine Settecento che ospita l’Istituto italiano di cultura. Il progetto mostra il “nuovo” IIC di Parigi come un polo di promozione della cultura e delle arti italiane in Francia, fruibile nella sua quasi totalità e attivo, potenzialmente, 24h su 24h. Premiando “La citè des cultures d’Italie”, la giuria di esperti, composta da Massimo Alvisi, Luca Molinari e Carlo Olmo, ha aggiunto un ulteriore riconoscimento ai tanti già ottenuti da stARTT, tra i quali spicca il premio europeo YAP MAXXI 2011 con il progetto Whatami. 
Per Simone Capra, Claudio Castaldo, Francesco Colangeli e Dario Scaravelli, le “menti” che si celano dietro lo studio stARTT, il nuovo Istiruto italiano di cultura parigino ha le sembianze e gli strumenti adeguati per ambire ad essere un polo di promozione della cultura , della lingua e delle arti italiane in Francia, fruibile dall’utenza nella sua quasi interezza, in innumerevoli combinazioni di tempi e modalità e attivo, potenzialmente, 24h su 24h. Dotato di un grande spazio aperto e superfici vegetali (quali contributi al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale previsti nel programma comunale “Paris vert”), il progetto de “La cité des cultures d’Italie” di stARTT si fonda sulla realizzazione di un grande spazio di relazione che tiene insieme l’architettura storica e quella contemporanea.
Inserito nel programma di promozione dell’architettura italiana under 40 promosso dalla direttrice dell’Istituto Marina Valensise, il concorso “Le Ali ritrovate” sublima inoltre l’esposizione omonima, inaugurata lo scorso 13 giugno a Parigi, alla quale hanno contribuito esperti di architettura italiani e francesi come Pippo Ciorra (senior curator Architettura del MAXXI), Jean-Louis Cohen (storico dell’architettura al Collége de France), Margherita Guccione (direttore architettura del MAXXI) e Cino Zucchi (architetto nonché curatore del Padiglione Italia nella 14esima edizione della Biennale di Venezia.

BRUNO RUSSO