Luciano Caramel, una vita tra arte e storia dell’arte. Il ricordo di Giuseppe Leone

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in foto Luciano Caramel

di Giuseppe Leone

Luciano Caramel, una vita tra arte e storia dell’arte. Non è stato per me soltanto il critico, lo storico dell’arte, che commenta e compone a posteriori  la complessità di una vicenda artistica e del contesto in cui essa si sviluppa, seguendo concezioni e parametri differenti.
Per me Luciano è stato un amico ed un maestro nell’arte, nel suo inverarsi, nel suo farsi, nel suo lento divenire: prima come intuito, idea; quindi come materialità formale.
Al modello storiografico tradizionale che pone al centro dell’indagine esclusivamente la forma artistica, Caramel preferì  un approccio in grado di valutare e valorizzare il contenuto, la funzione, la dinamica dell’opera dell’arte, la fruizione, la condivisione della trama ispirativa e degli altri elementi, che spiegano il rapporto tra arte e realtà.
Se il metodo crociano, tanto caro a noi intellettuali meridionali, individua nelle tante storie il farsi e costruire la storia, così è possibile affermare che sono le tante storie dell’arte (tante quanti sono i suoi metodi) a fare la storia dell’arte. A costruirne modelli, approcci, miti.
Non a caso, forse, Luciano Caramel, nel saggio ospitato all’interno del volume “Ritratti, Percorsi saggi ed esperienze del Premio Penisola Sorrentina Arturo Esposito ®” (Il Denaro Libri, a cura di M. Esposito) intese parlare , dedicando attenzione alla mia produzione, di “mitopoiesi come ascolto e partecipazione intuitiva”.
Era quella la sua chiave di lettura, la sua forza raffinata e competente di ermeneuta, generata da una  prospettiva unificante, che restituisca l’opera d’arte e l’artista alla originalità del loro rapporto con la società.
Lo strumentario dell’interprete si arricchiva, spesso, di tecniche nuove, quali il bilanciamento delle tecniche  e la valutazione comparativa degli interessi culturali coinvolti nel prodotto artistico, sicché la sua critica riusciva a “bilanciare interpretando” e a “interpretare bilanciando”.
La  sua missione di storico dell’arte postulava una ricostruzione dell’interpretazione ermeneutica e culturale come controllo del corretto esercizio – nella forma e nei contenuti – delle autonomie e delle possibilità in senso lato creative.
A Luciano Caramel non mi ha legato solo l’arte, ma anche l’amicizia. Dai tempi giovanili nei momenti trascorsi insieme tra Napoli, Terzigno, Ercolano, Pompei fino alle sue “incursioni”  presso il mio atelier a Buonalbergo , uno studio pittorico diventato nel tempo autentico cenacolo di intellettuali, artisti, cittadini attivi.
E come non ricordare, poi,  i giorni intensi di Sorrento, in compagnia anche di un magnifico Giovanni Raboni,  per la consegna del Premio “Penisola Sorrentina” che nella categoria arte, da me diretta, gli era stato tributato in riconoscimento dei suoi studi su Lucio Fontana, Medardo Rosso, Manlio Rho (solo per citarne alcuni) oltre che di una lunga e  prestigiosa attività accademica, che lo aveva portato ai vertici della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma.
Furono queste le lezioni di arte e vita per me più riservate e preziose, in una sorta di circolarità , da cui riverberano – necessariamente – speciali vissuti, richiamati dalla memoria a conforto del dolore per la grave perdita, con la conseguenza dell’imperituro riferimento ad una storia dell’arte, di cui Caramel fu testimone, intesa come flusso di comunicazione reciproca tra i materiali in campo, in cui ogni articolazione tematica si confrontava con la viva vox di una enorme cultura.