Un’esercitazione militare speciale e un attentato king size hanno dato il via alle guerre. Il resto è cronaca 

Continuano a pervenire cattive notizie in qualche modo collegate ai conflitti in corso. Ormai nessuna popolazione può ritenersi al sicuro. Volendo intendere che in ogni parte del mondo, in qualche paese in misura maggiore, non c’è nessuno che possa definirsi del tutto al sicuro. Ciò vale per gli effetti di ogni genere provocati dalle guerre. Dando per scontato che il danno maggiore, peraltro non sanabile, è quello della perdita di vite umane, di militari e di civili, la dove si combatte e non solo. Tanto perchè alle stesse devono essere aggiunte anche le vittime di attentati, compiuti in ogni parte del mondo, per mano di esaltati al soldo di ciascuna delle parti in guerra. Ciò premesso, sia passato l’ulteriore ritorno all’esame di un altro argomento importante, precisamente quello dei veri e propri spintoni dati all’ economia del mondo. Oltre alla distruzione di ricchezza nei paesi coinvolti in maniera diretta dalla potenza di fuoco dei nemici, sono i risvolti economici che si sono innescati a causa degli stessi, non influendo da quale parte provengano, a distorcere lo svolgimento regolare delle transazioni commerciali, sia per l’ export che per l’ import. Solo per fugare eventuali dubbi, è bene aggiungere a quanto scritto che nessun sistema geopolitico (nazione) può vantarsi di essere autosufficiente. Ciò permetterebbe allo stesso che al suo interno possa non essere svolta nessuna o anche una sola attività commerciale con il resto del mondo. È bene aggiungere che, oggi più che mai, è oggetto di transazione anche il Know How, modo di operare di soggetti economici che si presta a essere messo in pratica nei modi più diversi.
In tal modo si può dare per ancora valido il detto popolare di un tempo, “fatta la legge, trovato l’ inganno”. Per legge nel caso specifico vanno intese sanzioni, dazi punitivi e contingentamenti applicati da una nazione a un’ altra per i motivi più vari.È già da un pò di tempo che circolano notizie fondate su un concreto interesse del Governo/ Partito cinese di investire in Italia, con lo sguardo rivolto alle tendenze attuali, anche proiettate nel medio lungo termine. Provenienti da Pechino e da Wuhang, nutriti gruppi di sherpa cinesi stanno arrivando in ordine sparso in Italia per sondare dal vivo la fattibilità di un investimento per la produzione di auto elettriche. Quel soggetto è la casa automobilistica Dongfeng, storica fabbrica di camion voluta da Mao Tsedong nei primi anni ’50. Con il tempo la produzione è stata indirizzats alle automobili, attualmente quelle elettriche di prezzo contenuto. Non è una novità assoluta che coglie la parte occidentale del mondo di sorpresa. Nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, in Germania, tale idea passò già per la testa di Adolf Hitler, per gli amici il Fùhrer. Si interessò affinchè si realizzasse un’ automobile di prezzo contenuto, alla portata di buona parte del popolo. Fu così che prese forma l’ambizioso progetto Volkswagen, in italiano auto del popolo. L’incarico fu conferito all’ Ingegner Ferdinand Porsche (proprio quello), che non ha bisogno di presentazioni. L’attuale corrispondente cinese per realizzare un progetto del genere è già operativa dentro la Muraglia. In loco conserva il nome Dongfeng, Vento dell’Est, voluto da Mao, mentre per quelle prodotte in Italia sarà occidentalizzato e così per quelle diffuse nella UE e altrove. È un sistema ampiamente sperimentato con risultati positivi quello di costruire direttamente in loco o facendolo fare a industrie locali quanto prodotto all’origine in Cina. Un esempio per entrambe le soluzioni può essere quello della FIAT, che negli anni ’60 aveva alla plancia di comando il Professor Vittorio Valletta e l’ Avvocato Giovanni Agnelli. Nel periodo della loro guida, quell’azienda cedette la catena di montaggio della storica 1100 alla indiana Mahindra.
Portò così a termine un affare più che vantaggioso: si liberò di qualcosa che non serviva più, la catena di montaggio e concesse la licenza a quel costruttore vicino al Gange di replicare quel modello in loco con il nome Princess. Più tardi, nella seconda metà degli anni ‘6O, restato solo al timone dell’azienda, l’Avvocato concluse un altro accordo di produzione con Mosca, questa volta per costruire un impianto nuovo di proprietà della casa madre. Al suo interno attualmente sono prodotti ancora vecchi modelli con il nome Lada, Zigulì e altri. Il primo degli accordi fu portato a termine quando l’India era ancora sotto la guida della famiglia Ghandi. Al vertice dell’URSS era posto Leonid Breznev e la Cortina di Ferro ideale che la delimitava cominciava a farsi a pezzi. A distanza di tanti anni sembra che la discendenza dell’Avvocato ignori il suo insegnamento sotto molti punti di vista. Per quanto riguarda queste righe, può interessare un solo aspetto di quegli eredi tendenti sempre più a diventare epigoni. Il loro modo di operare sembra essere sempre più improntato alla finanza che non all’economia. Le stesse categorie, molte volte, hanno obiettivi diversi, talvolta tra loro in conflitto. Ognuno è padrone in casa sua, non c’è dubbio. Sempre tenendo conto che dall’antica Roma è arrivato a questi tempi la constatazione che nessuno è in grado di servire due padroni. Per essi vanno intese la produzione e la finanza. Il resto è chiacchiericcio, nel caso in specie di forme di speculazione.