Francesco Ciotola: La videoarte? Il mezzo non conta, l’importante è fare arrivare il messaggio

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in foto Silvio Giordano, Portrait of a Land, vincitore della Open Call IAR, still frame, courtesy IAR

L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato

Se volessimo definire la Videoarte, potremmo ricorrere a molti esempi che affondano le radici nella ricerca sperimentale degli anni Settanta del ‘900. Ci si chiederebbe cos’è, quale è la sua precipua forma espressiva, quali i soggetti principali ditale linguaggio. Perché, invero, quella che, a molti, può apparire una nuova arte, in realtà, essa presenta e conta già diverse generazioni di artisti. In essa si racchiude, certamente, un dialogo strettissimo con la tecnologia e, oggi, con la sua estrema dirompenza, tale da caratterizzare un sostanziale cambio grammaticale all’interno di questo idioma artistico. La Videoarte ha indubbiamente causato un corto cortocircuito nella visione e nelle prospettive di comunicazione da parte degli artisti e, peraltro, il mercato non comprese le contraddizioni insite e peculiari del video tanto che, ancora oggi si fa fatica a non guardare ad un universo di nicchia, quella ‘galassia video’ cui faceva riferimento Renato Barilli, il quale, da conoscitore e teorico della Videoarte, così affermava, in una intervista del 2013: “Si dice che l’inventore della videoarte sia stato, proprio alla metà degli Anni Sessanta, Nam June Paik. Ma, senza togliere nulla alla sua indubbia grandezza, conviene precisare che da lui sono venute le videoinstallazioni, cioè non produceva il contenuto intrinseco al video, ma lo prendeva come un “oggetto trovato” da inserire insieme a tanti altri elementi. È stato qualche anno dopo il tedesco Gerry Schum a produrre video specifici dedicati alla Land Art, ma lui stesso ha riconosciuto che sul posto girava con una cinepresa riversando poi la pellicola su nastro magnetico in studio. Si può quindi affermare che siamo stati noi, fine ’69 inizi ’70, ad andare negli studi o all’aperto per riprendere direttamente con telecamera le operazioni degli artisti, tra cui tutti quelli dell’Arte Povera, per proiettarli poi nella mostra bolognese Gennaio 70 a circuito chiuso. Naturalmente da allora il mezzo ha fatto enormi progressi, di cui lo Yearbook vuole offrire un ampio repertorio.”
La riflessione continua ad essere interessante e, per tale motivo, abbiamo deciso di incontrare Francesco Ciotola, fotografo, video artista e curatore napoletano che con il linguaggio protagonista di questo approfondimento lavora da molto tempo.

Cos’è per te la Videoarte?
Dal punto di vista pratico ritengo la Videoarte una disciplina figlia dell’oggi, nonostante non nasca affatto ora, che riesce a comunicare, se di buona qualità, in maniera rotonda ed arrivare in modo diretto al dialogo con il fruitore, stuzzicandone, nel bene o nel male, quasi sempre il senso critico. In realtà, da osservatore, non mi sono mai posto il problema del mezzo. Quando guardo un’opera tendo a cercare di recepirne il messaggio al di là del formato, non ho preferenze in tal senso; in buona sostanza credo nel messaggio più che nel mezzo. Nell’arco del tempo, al pari di altri, mi sono imbattuto in pitture o sculture eccelse e discutibili, così come mi sono stupito davanti alla potenza di opere sonore o, ad esempio di Haiku, che non immaginavo.

Nella tua esperienza, quale legame la videoarte rivela con la fotografia tout court e, dunque, quale è stato il passaggio che ti ha portato al continuo dialogo tra le due grammatiche visive?

Ritengo che videoarte e fotografia siano strettamente collegate, sia dal punto di vista più ovvio, quello relativo alla sorgente, al mezzo di esecuzione, che dal punto di vista grammaticale. Il video ha in più la forza del comparto audio, che, ricordiamolo, trattandosi di un prodotto audiovisivo e non semplicemente visivo, può avere grande importanza, ed un diverso rapporto col tempo. Personalmente, per quanto riguarda i miei lavori mi piace molto mettere in relazione le due forme espressive, rendendole fruibili all’interno dello stesso ambiente. Da amante della fotografia analogica e delle macchine fotografiche obsolete trovo che la possibilità di tradurre una parte del lavoro in video con un’installazione complementare vada a perfezionare il mio personale iter creativo.

Da pochi mesi è nato il progetto Iar – International Artist Residency, ideato con Raffaele Loffredo, sotto l’egida di Ottica Contemporanea – di cui ci avevi raccontato alla sua nascita – Doppie sfide che, seppur hanno subito battute d’arresto, continuano ad avanzare. Raccontaci la genesi di Iar, gli sviluppi e la prima edizione.
Le due genesi, come anticipato, hanno diversi tratti comuni; per quanto riguarda Iar abbiamo innanzitutto ragionato su un team di lavoro che potesse formare un comitato scientifico internazionale di livello, formato da persone che sentissero la causa comune come propria e potessero apportare un contributo forte attraverso la loro professionalità. La realtà, come spesso avviene quando si costituiscono team internazionali, è che, nonostante le potenziali difficoltà di comunicazione dovute a fusi orari anche molto diversi, la collaborazione è andata oltre ogni aspettativa; si è creata un’energia incredibile, un turbine di esperienze che ci hanno dato la forza di superare tutti gli ostacoli di cui sopra. Siamo riusciti a portare avanti la fase di selezione in maniera scrupolosa; al momento siamo in attesa che tornino ad esserci la condizioni per poter realizzare la mostra e la residenza. Iar nasce con l’intento, a nostro avviso necessario, di poter raccogliere contributi da Artisti di diverse parti del globo su argomenti di attualità, come nel caso della prima edizione dedicata alle “Dinamiche Contemporanee di Trasformazione Urbana”; scenari di vita che riflettono in maniera speculare quelli della società in toto. Nell’attesa che si possa compiere la fase finale della prima edizione stiamo già lavorando con grande entusiasmo alle successive, che si terranno in altre città, con l’augurio di poter contribuire in qualche misura ad una lettura del nostro presente.

Dalle parole di Francesco Ciotola emerge un altro concetto caro a Renato Barilli, ovvero quello teorizzato da Marshall McLuhan per cui “il medium è il messaggio”. Perciò, in un certo senso, appare evidente come nell’arte, in particolar modo nella videoarte, il mezzo scelto ed utilizzato al fine di veicolare un certo messaggio concettuale assume un ruolo attoriale precipuo, protagonista, tale da definire l’identità stessa dell’opera come prodotto di una specifica codificazione. All’osservatore il compito, sinestetico, di leggere l’opera secondo una pluralità di elementi e decodificarne la struttura ontologica.
Ciotola, che ha portato le sue esperienze di fotografia e videoarte in giro per il mondo; lo stesso artista ha nel proprio curriculum opere video ben note, come Tabula Rasa, del 2018, presentato anche in occasione del Festival sannita VinArte del 2019, di cui qui proponiamo il link diretto per la visione: https://player.vimeo.com/video/347268394
Oggi, però, compie un salto enorme, ossia portare attorno ad un tavolo di discussione ideale – in piena pandemia – con membri da ogni angolo del globo – e di cui sono lieta di far parte, nda – visioni di artisti diversissimi tra loro per formazione, poetica, linguaggio formale, sino ad averne costruito, grazie al progetto Iar ed alla Open Call, un piccolo compendio su cui sviluppare una nuova entusiasmante narrazione, in attesa di poter scoprire tutti i video in mostra e scorgere i risultati di quella che sarà la prima residenza artistica progettata.

in foto Aida Gomez, Mr Red & Mr Green, menzione speciale Open Call IAR, still frame, courtesy IAR.png
in foto Tolga Akbas, 7A, menzione speciale Open Call IAR, still frame, courtesy IAR