Occorre semplificare quello che serve non quello che è da buttare

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 “Le tre regole del lavoro: 

1. Esci dalla confusione, trova semplicità. 

2. Dalla discordia, trova armonia. 

3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole.”.

 Albert Einstein.

Semplificare significa rendere più fruibile il quadro delle regole del Paese, ridurre il numero delle norme esistenti, eliminare gli oneri amministrativi “inutili” che gravano sui cittadini e sulle imprese, agevolando l’adempimento di quelli necessari per garantire un livello di tutela adeguato e per assicurare lo svolgimento delle pubbliche funzioni. In quest’accezione, la semplificazione assume una valenza strategica, perché accresce la fiducia dei cittadini e delle imprese nell’amministrazione e costituisce il presupposto per la creazione di un contesto normativo e amministrativo favorevole agli investimenti, all’innovazione e all’imprenditorialità.

Si parla molto di semplificazione e ho notato che si produce anche molto materiale scritto e si fanno varie ricerche. Ma in pratica frequentando i soliti uffici mi sembra che l’inutile serie di burocraticismi sia ancora presente, se non addirittura aumentata, e che tutto questo tenda come al solito a presidiare l’inefficienza. Il punto chiave è il rapporto tra efficacia (fare le cose giuste) ed efficienza (fare le cose bene). Se semplificare, significa fare meglio ciò che è sbagliato questo non mi sembra un gran risultato ma questo è ciò che sta accadendo in molti contesti.  Poi la semplificazione non può essere di tipo sottosistemico ma occorre entrare in una logica di processo e d’interrelazioni conoscere le interdipendenze e quindi avere una visione d’assieme.  Anche questo mi sembra che non sia nei fatti.  Conosco situazioni che in termini sottosistemici hanno immaginato processi di semplificazione che diventano impraticabili nel momento del collegamento con un altro sottosistema non allineato. La semplificazione in molti casi sta producendo elaborazioni complesse (per semplificare) che poi non ottengono i risultati per la mancanza di strumenti comuni o complementari ai vari sottosistemi. Pensate ai servizi fatti dalle jene o da striscia la notizia sugli sprechi. Considerando che la semplificazione non si vede nei comportamenti quotidiani la percezione è che ancora questo sia un costo e non un investimento e che tutto sommato l’inefficienza convenga a molti perché garantisce continuità di lavoro e vantaggi a chi con un giusto compenso consente di aggirarla.

Ma senza andare a cercare esempi strani basta pensare alla legge e alle sue follie che non punisce criminali, ma bastona i poveracci. Leggevo l’altro giorno di quel tizio che ha ucciso la moglie, ma è libero per la decorrenza dei tempi o qualcosa del genere, ma leggevo anche di quel ragazzino affamato che ha rubato del cibo al supermercato ed è stato punito come si merita e poi ho visto che Schettino è diventato uno scrittore che sta facendo soldi sui morti che ha causato, e potrei andare avanti a lungo. Non c’è niente di più ingiusto della giustizia e la legge è davvero diversa per tutti. E il tema dei vitalizi? Quella signora milionaria di Bolzano? Vabbè ancora l’elenco sarebbe infinito. Che cosa si sta semplificando davvero? Forse cose secondarie perché quelle fondamentali sono sempre inesorabilmente le stesse: presidiano l’inefficienza e l’iniquità, due perfide gemelle che vanno a braccetto scorazzando in questa nostra meravigliosa Italia. Semplificare non vuol dire fare bene delle cose ma vuole dire fare cose per ottenere risultati di valore. Credo che se non si agisce sull’intelligenza e il senso (ossia sul perché) i metodi e gli strumenti ossia il come e con che cosa) siano destinati inesorabilmente a produrre i soliti giochi insopportabili di sempre dove se dobbiamo un euro a equitalia siamo perseguitati e se invece dobbiamo riceverli, forse ne beneficeranno i nostri nipoti. Non funzioniamo, continuiamo a produrre sciupio e a fare operazioni ortopediche quando si dovrebbe agire in termini chirurgici. Continuiamo a denunciare, a protestare, a indignarci e questo è il massimo che chi ha le regole del gioco ci consente di fare.