“Totò con i quattro”, riflessione e cuore nell’originale racconto di Ciro Borrelli e Domenico Livigni

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di Fiorella Franchini

Cosa si può raccontare ancora d’inedito di un personaggio come Antonio de Curtis, in arte Totò, che ha caratterizzato per lungo tempo la storia del teatro e del cinema italiano? Saggi, biografie, articoli, interviste, foto e filmati sembrano aver descritto ogni aspetto, ogni sfumatura della vita e del lavoro del principe della risata, eppure “Totò con i quattro” di Ciro Borrelli e Domenico Livigni, primo volume della collana dedicata al Cinema, e secondo della linea SERIE ORO ideata e diretta dalla giornalista Anita Curci, in collaborazione con la casa editrice Apeiron, ha un’originalità che sorprende e rassicura. Il sostrato biografico è profondo e sapiente, s’integra perfettamente con una narrazione scorrevole, mai pedante, nonostante gli innumerevoli riferimenti. La documentazione è stata rigorosa come dimostra l’ampia bibliografia, le introduzioni di Borrelli, di Mauro Macario, Andrea Jelardi ed Ennio Bìspuri sono un corollario che fa da trait d’union tra i diversi capitoli, le testimonianze scandiscono il finale. La formula utilizzata è quella dell’intervista e del racconto: protagonisti quattro figure altrettanto significative del panorama artistico, Peppino De Filippo, Erminio Macario, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, e da quest’abbinamento nasce il titolo ispirato al film che i cinque artisti girarono insieme nel 1963, diretti da Steno, Totò contro i 4. Nato da un’ossessione infantile di Ciro Borrelli nei confronti di Totò e Peppino, il libro è astuto, coinvolgente, perché sa fondere con equilibrio la curiosità e il sentimento. Si scoprono sorprese e ragguagli a ogni pagina ma la sensazione che pervade il lettore è quella di un senso familiare, perché ognuno di loro è parte dell’immaginario collettivo di un’Italia non ancora troppo lontana che voleva ridere, superare le proprie debolezze, che voleva andare verso il futuro. La semplicità del linguaggio e dello stile ci consegna senza filtri l’anima di Antonio de Curtis e dei suoi compagni di viaggio e riusciamo quasi a sentire i dettagli, quelli che, probabilmente, nessuno di loro ha mai pensato di esprimere con le parole. Frammenti che si fanno riconoscere e, mettendoli insieme, troviamo il sapore di una persona, e capiamo che, anche se estranei, anche se di un altro tempo, ci mancano. “Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo” ha scritto Isabel Allende ed è una memoria che ci piace assaporare perché i personaggi che hanno interpretato, i paradossi che hanno messo in scena appartengono nel bene e nel male, alla cultura italiana, alla nostra identità. La maschera triste di Totò, nobiltà povera e generosa, dignitosa e pungente nella caricatura di vizi e virtù, la personalità spigolosa di Peppino, riso amaro di un’ironia colta e sofferente, la bonarietà popolana di Aldo Fabrizi, l’allegria sfavillante di Macario, macchiette e belle donne, la drammatica “canzone di giacca” di Nino Taranto, tutto ritorna come un’onda di reminiscenze familiari. Si raccontano, e raccontano Antonio de Curtis, e la corrente emotiva trascina fino all’ultima pagina. Il saggio di Ciro Borrelli e Domenico Livigni non si può riassumere e neppure spiegare, è uno di quei libri in cui navigare lentamente e poi tuffarsi per fare snorkeling. Dentro un mare di parole e di particolari c’è una grande opportunità di scoperta ma ci vuole la giusta attrezzatura: riflessione e cuore.