Una tessitrice di vite: Più incontri meno muri

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Fra tanti che demoliscono, la società – sempre più disgregata e disorientata – ha bisogno di “tessitori di vite”. Ma di chi? Un nuovo messia, chi è capace di cambiare perfino la struttura anatomica dell’uomo, chi potrà condurci alla scoperta di altri mondi? In sostanza, chi ci aiuterà a ritrovare la dantesca “dritta via”? Una stimolante risposta viene dalla creatività letteraria di Titti Marrone. La giornalista, storiografa e scrittrice fa uscire dal suo romanzo la figura del “tessitore di vite”: una persona che favorisce incontri più che lacerazioni, costruisce ponti invece di muri, sceglie parole anziché il silenzio. Di figure simili, carismatiche e attrattive, ne vediamo intorno a noi? Titti Marrone non ha dubbi: “Sì”, risponde subito con gli occhi vivacissini puntati sull’interlocutore. “Vedo come tessitore di vite papa Francesco. Mi piace per il tratto comunicativo, diretto, semplice e ad altezza degli uomini comuni”. Con un sorriso affabile e anche un po’ autoironico, Titti lascia riemergere un suo passato di “antica rivoluzionaria”, di chi è stata “movimentista” pienamente partecipe di tutto ciò che si muoveva nella società. Idea, simbolo e metafora, il “tessitore di vite” è un approdo cui l’affermata scrittrice arriva partendo da lontano, da quando aveva quattro anni: lei,napoletana doc, che impara a leggere “dai” e “sui” giornali prima ancora che sui libri. Il padre Giuseppe (“l’uomo della mia vita”) è maestro elementare e pubblicista con la passione dei giornali. Lui li compra e Titti ne ritaglia le lettere componendo parole. A sua volta la madre Dora, anche lei maestra elementare, racconta fiabe che la figlia impara a memoria (“così ho sempre trafficato fra libri e giornali”). È un’autoformazione molto originale per cui Titti già in prima elementare è molto più avanti degli altri scolari. Completa la sua prima formazione alla media Manzoni e al liceo classico Vico (“qui ho incontrato la Storia e la Filosofia con Libero Villone che spiegava la contemporaneità dando chiavi di lettura profonde; la cronaca e la storia diventavano un grande affresco del passato”). La scelta universitaria alla Federico II è già fatta da tempo. A Storia e Filosofia incontra professori quali Pasquale Villani, Giuseppe Galasso, Aurelio Lepre, Aldo Masullo e un giovanissimo Paolo Macry (“mi colpiva la modalità del loro insegnamento; io ero marxista ma con zone d’ombra; non bastavano gli slogan dei cortei; sempre forte era la voglia di risalire alle radici”). Tema centrale la società contemporanea come si andava strutturando, specie dal fascismo alla conquista della democrazia (“quei docenti insegnavano ad appropriarsi di un metodo e a vivere l’approfondimento come tensione normativa”). La cultura deve però preparare alla sfida della quotidianità. Non caso la cronaca è stata sempre considerata “storia fresca di giornata” intrecciata con la “grande storia” che a sua volta, come raccomandava Benedetto Croce, non deve essere “attuale”. La sua tesi di laurea, il meridionalismo rivisitato attraverso la riforma agraria, diventa un caso: per aver descritto il blocco di potere costruito nel Sud dalla Democrazia cristiana e per aver lavorato su vicende considerate “temporalmente troppo vicine”. Dalla tesi poi libro, al primo articolo. Riguarda le lotte contadine e lo pubblica la Voce della Campania, diretta da Matteo Cosenza. Nome e capacità incominciano così a “circolare” e a farsi notare. Lusinghieri apprezzamenti sono le borse di studio, dalla Svimez all’Istituto per gli studi storici. In un sol giorno arrivano tre importanti chiamate: per la carriera universitaria, la Scuola superiore della Pubblica Amministrazione a Caserta, la borsa di studio che vedeva insieme sindacato dei giornalisti ed editori. Titti Marrone sente di avere un obbligo morale verso il padre: vede nel giornalismo anche un prolungamento della sua vita (“scelsi la strada meno garantita, ma quella che mi piaceva di più”). I quotidiani vengono visti, così, dal di dentro: tre mesi al Roma (“molto formativi”) e tre al Mattino con direttore Roberto Ciuni (“che mi prende e mi mette alla cultura”). È nel quotidiano di via Chiatamone che, dal 1980 assunta a tempo pieno, Titti costruisce, e rende visibile, la propria identità forte di un retroterra culturale che incrocia sapientemente storia delle idee e teatro, letteratura e politica. Nel settore della cultura gode di notevole autonomia. Il suo taglio è orientato su quanto il Sud produce e come viene rappresentato. Nelle sue pagine, prima di altri giornali, compare il “pensiero meridiano”. La tempestività è una nota distintiva a cominciare dal libro di Oriana Fallaci, “La rabbia e l’orgoglio”,che trova nel Mattino una “prima” nazionale. Quella che ancora viene chiamata la “terza pagina” è tutta giocata sul dibattito delle idee, ma senza alcuna chiusura o preclusione ideologica. L’altra responsabilità, di cui Titti Marrone viene investita, riguarda l’ufficio del Capo redattore centrale: controllo sulla foliazione del giornale, gli spazi e la scelta delle notizie (“non scrivevo,ma facevo scrivere”). Di particolare rilievo la decennale collaborazione, da Napoli, con la rubrica tv “Il fatto” di Enzo Biagi, figura straordinaria di giornalista-scrittore che non si sovrapponeva mai ai fatti ma che non per questo era privo di opinioni. E oggi chi ne potrebbe essere erede? Titti Marrone vorrebbe poter fare molti nomi. Poi, superata l’incertezza, risponde: “Non è facile trovare eredi, forse Massimo Gramellini…”. Non ha incertezze, invece, quando decide che un necessario completamento è la docenza universitaria a Salerno-Fisciano, alla Federico II, al Suor Orsola Benincasa e all’Orientale. Materie di insegnamento: Storia del giornalismo, linguaggio e sociologia dei media: tutto il campo della comunicazione da cartacea a digitale con i giornalisti che le appaiono “detronizzati”( “non più i depositari dell’informazione; i cittadini stessi fonti di notizie; i linguaggi cambiati”). Cosa però non può cambiare come criterioguida? “L’idea del giornalismo come servizio per la collettività”. Una feconda attività con molti premi, dall’Ischia-Rea all’Elio Vittorini. Altrettanto gratificanti i libri: dal “Sud” a un profilo del regista teatrale; da Bassolino sindaco di Napoli (“potrebbe tornare ad esserlo forte proprio dei suoi errori”); dal postcomunismo con Guastaw Herling (“la sua storia mi ha sconvolto, un grande spirito”) a un profilo di Napoli (“dalla bellezza al degrado, cioè la sua immobilità”). Grande emozione suscitano “Meglio non sapere” (tre bambini deportati ad Auschwitz con le loro madri) e il più recente sul tessitore di vite mentre un nuovo romanzo sta per vedere la luce. Instancabile, culturalmente combattiva, Titti Marrone scrive commenti sul blog dell’Huffington Post. “Racconto il Sud e la mia città evitando sia le lacrime napulitane sia gli stereotipi negativi troppo spesso corollario e condanna della nostra terra”.