Arte, parla Matteo Attruia: Semplificare per generare pensieri complessi

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Matteo Attruia, ARTE POVERA ARTE POVERA... - GIF, 2020

L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

Di Azzurra Immediato

I pensieri complessi che, in verità, Matteo Attruia, propone ai fruitori, molto spesso, sono rebus intellettuali, giocati sul labile confine del sarcasmo e dell’ironia, o meglio di una riflessione che, ironicamente, porta l’astante a riflettere sul trinomio caos\caso\cosa nel solco di una ‘leggerezza’ che trova nella radice bontempelliana la sua prima radice e nella ‘ispirazione originaria’ una dialettica paradossale. Matteo Attruia, spinge da sempre la propria verso inusuali meccanismi che, in parte, tentano di intrufolarsi in quei metodici – e a volte patetici – processi che appartengono all’arte contemporanea umanamente intesa, cui fa da contraltare un insieme di concordanze ontologiche e concettuali che pongono il ruolo dell’artista in primo piano ma anche in discussione, secondo i prodromi di una generale lotta discontinua, nella quale, quando l’artista sembra soccombere al ‘sistema dell’arte’, in realtà, ne diviene vero vincitore. Abbiamo incontrato l’artista ancora impegnato in un progetto di duplice mostra a Mestre curato da Alessio Vigni per la galleria di Marina Bastianello, e gli abbiamo posto le #3domande per voi lettori.

Matteo, cos’è per te l’Arte?
Mi piace pensare che sia un interrogativo che pone un altro interrogativo che pone un altro interrogativo che pone un altro interrogativo…

La tua ricerca si è spinta in direzioni opposte, differenti, sia da un punto di vista formale che da un punto di vista concettuale. Qual è il modus operandi che fa scaturire una tua riflessione tale, poi, da formalizzarsi in un lavoro a cui scegli di dare vita secondo i paradigmi di un linguaggio invece che un altro?
Formalizzare un’idea è un po’ come trovarle un abito adatto. Ogni riflessione parte dalla consapevolezza che la traduzione formale è, anche nel migliore dei casi, una specie di somma di errori che allontana l’idea originaria dalla sua realizzazione. In alcuni casi la scelta della materia (sia essa una semplice scrittura su un foglio di carta, un neon o un più complesso lavoro installativo) può avvenire per conseguenza logica (non posso che fare così) oppure essere il risultato di un confronto più complesso con elementi di carattere culturale, estetico o, addirittura storico. In ogni caso a me interessa sempre riuscire a comunicare con il maggior numero di persone. È una scelta precisa. Semplificare per poter generare nel fruitore pensieri più complessi.

Matteo Attruia, ARTE POVERA ARTE POVERA… – GIF, 2020

Il 2020, sconquassato dall’emergenza Covid19 che non accenna a diminuire, ha cambiato alcune dinamiche del ‘sistema arte’ a cui eravamo abituati. Quanto accaduto e sta ancora accadendo ha portato dei mutamenti nel tuo lavoro? E cosa vorresti, invece, che i cambiamenti generatisi portassero nel nostro mondo, nel rapporto tra artisti, curatori, galleristi, istituzioni?
Credo che l’emergenza abbia stabilito alcune gerarchie di interesse comune. La speranza è che, in qualche modo, si sia presa consapevolezza di quanto necessaria sia l’arte nella nostra vita, indipendentemente dal genere, dal livello e dal mezzo con cui si esprime. Forse la mia è una visione ottimistica, ma chiunque faccia questo lavoro ha l’illusione di riuscire a fare qualcosa di (in)utile. Personalmente, questa situazione mi ha permesso di realizzare lavori a cui non avrei mai pensato e ho cercato di trasformarla in un’occasione per spingermi in direzioni nuove. Come sai, il mio lavoro ha sempre cercato di coinvolgere i galleristi, i curatori e gli stessi collezionisti in dinamiche di reciproca necessità (penso alla mostra SOLD OUT dove abbiamo venduto le opere a listino prima dell’inaugurazione, senza che i collezionisti le vedessero, rendendo, in tal modo, la stessa mostra un semplice svelamento del processo di compravendita) e in questo periodo complesso ho realizzato TAX FREE coinvolgendo quattro collezionisti che hanno, di fatto, pagato le mie tasse, permettendomi di continuare a fare questo lavoro. Ogni momento di crisi cerco di trasformarlo in una occasione compositiva e di crescita.  

Matteo Attruia, IO ABITO, coperta isotermica, 2015

L’arte, dunque, come ‘un interrogativo che pone un altro interrogativo che pone un altro interrogativo che pone un altro interrogativo…’ in un continuum che è sfida intellettiva ma anche immaginativa, oltre che, in un certo senso, una burla di matrice gnoseologica cui, Matteo Attruia, ha abituato il suo pubblico. Riprendendo ancora il pensiero di Bontempelli, quando ne Il Neosofista asseriva che ‘L’ironia consuma intorno intorno le minute adesioni realistiche alle superfici più caduche delle cose, e crea un’atmosfera purificata e lucida alla loro ferma e fondamentale sostanza, quella appunto che l’arte deve affrontare e attuare’ sembrerà di rileggervi, ex ante, alcune delle proiezioni portate avanti dall’Attruia, nelle cui opere, in realtà, si attua lo svelamento del contemporaneo attraverso la sollecitazione dell’ossimoro, della reazione paradossale del qui ed ora a quanto, fino a quel momento, chiunque ha creduto certo: compreso ciò, ci sarà ancora da ridere? Chi può dirlo. 

in foto Matteo Attruia