Artemisia e i colori delle stelle, Raffaele Messina racconta l’anima della “pittora”

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di Fiorella Franchini

“Artemisia Gentileschi fecit”. Termina con la firma di una delle sue opere, il romanzo biografico che Raffaele Messina, scrittore e saggista napoletano, dedica alla ormai famosa pittora del ‘600. Una reputazione ambigua, sdoganata solo nel 1916 da un articolo di Roberto Longhi denominato Gentileschi padre e figlia, che spazzò via molti dei preconcetti sorti attorno alla figura della pittrice, legati più alla sua vicenda umana, che alla sua attività artistica. In Artemisia e i colori delle stelle, Colonnese edizioni, Raffaele Messina, avvalendosi di un’ampia bibliografia storica e documentale, concentra la sua narrazione in due momenti fondamentali dell’esperienza artistica e privata di Artemisia: la giovinezza a Roma, segnata dallo stupro perpetrato da Agostino Tassi nel 1611, seguito da un pubblico processo e da un matrimonio senza amore, e gli anni della maturità a Napoli. “Il racconto è un’operazione sulla durata, – scriveva Italo Calvino – un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo”, una porta verso l’altrove attraverso la quale l’autore, in un misto di storia e licenze narrative, come l’incontro con Bernardina da Pisa, moglie di Masaniello, racconta un’epoca, il Seicento romano e partenopeo, descrivendo accuratamente situazioni e ambienti con la sua scrittura sapiente, sempre attenta a utilizzare gli appropriati registri linguistici. Il meticoloso studio della documentazione disponibile ha consentito allo scrittore di colmare le lacune della vicenda personale con la ricostruzione del clima sociale e politico e così, il racconto del processo per stupro diviene l’occasione per analizzare la mentalità misogina e maschilista del tempo, gli umori popolari, le dicerie, i protocolli burocratici e le occupazioni quotidiane. Pagine di resoconto storico e di riflessione antropologica che, riportandoci al passato, ci invitano a considerare la moderna condizione femminile rimasta ancorata a stereotipi anacronistici e illogici, nonostante le numerose conquiste. A Napoli, Artemisia giunse nell’estate del 1630, sperando di ottenere nella capitale del viceregno spagnolo, in quella città fiorente di cantieri e di appassionati di belle arti, nuove e più ricche possibilità di lavoro. La città partenopea era la seconda metropoli europea per popolazione dopo Parigi, caratterizzata da un ricco ambiente culturale e da un grandissimo fervore artistico che aveva attirato nomi illustri, da Caravaggio a Simon Vouet, da Annibale Carracci a José de Ribera. Tranne una breve parentesi inglese e qualche trasferimento temporaneo, la donna vi dimorò per il resto della sua vita, facendone una sorta di seconda patria nella quale si prese cura della propria famiglia, maritando con appropriata dote le sue due figlie, ottenne importanti commesse, ricevendo attestati di grande stima, in buoni rapporti con la Corte, alla pari con i maggiori artisti. Un personaggio controverso, spesso etichettato come una sorta di femminista ante litteram, perennemente in guerra con l’altro sesso e capace di incarnare il desiderio delle donne di affermarsi. Una lettura spesso a senso unico che ridimensiona i meriti professionali subordinandoli alle difficili situazioni personali. Secondo Dora Lessing, “Non c’è dubbio: la narrativa fa un lavoro migliore della verità” e Raffaele Messina riesce, con la sua prosa intensa, capace di colmare i vuoti documentali del soggiorno napoletano, a indagare i dubbi, le fragilità, le speranze di Artemisia, il bisogno di successo professionale che si scontra con il desiderio profondo di amore, con il sentimento materno, con la volontà di conciliare ruoli e impulsi diversi come i colori delle stelle. La ritroviamo allorché, raggiunto ormai il successo, maritata anche l’ultima figlia con un nobile napoletano, la donna fa un resoconto della propria esistenza. La pittora di Raffaele Messina non è un’eroina ma una donna consapevole delle proprie scelte, intensamente femminile nella sua bellezza fisica e intellettuale, nella sua tensione spirituale ed emozionale, e quella solitudine che traspare dalla complessità del suo temperamento, indomito e sensibile, ha più il profumo di una conquista che il sapore di una condanna, un misto di orgogliosa libertà e di umana paura, il senso assoluto di un’anima al cospetto di se stessa.