Mutuo, illegittimi i contratti con piano di ammortamento “alla francese”

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di Valentino Vecchi*

Con cinque sentenze (quasi) gemelle emesse nel giro di pochi giorni (le sentenze n.177 dell’11.03.2019, n.201 del 18.03.2019, n.221 del 27.03.2019, n.227 del 28.03.2019 e n.287 del 23.04.2019) il Tribunale di Cremona (nella persona del G.O.P. avv. Nunzia Corini), chiamato a pronunciarsi sulla eccepita indeterminatezza del criterio di ammortamento dei mutui alla francese, ha – sulla scia della sentenza del Tribunale di Massa n.797 del 7 novembre 2011 – decretato l’illegittimità dei mutui con piano di ammortamento alla francese elaborato in regime di capitalizzazione composta degli interessi.

Preliminarmente, è stato chiarito – sulla base della CTU espletata – che le espressioni “capitalizzazione” ed “anatocismo” non sono equivalenti, “laddove la capitalizzazione ha un perimetro definitorio molto più ampio: ben potrebbe esserci una capitalizzazione infrannuale degli interessi, senza effetto anatocistico (la differenza sta nel fatto che gli interessi che non possono essere fruttiferi sono solo quelli maturati, liquidi ed esigibili, non quelli in corso di formazione)”.

In pratica, la rata viene determinata in interesse composto, ma la quota interessi della rata è calcolata in regime di interesse semplice.

Il C.T.U. ha spiegato che “la metodologia di costruzione del sistema di rimborso a rate costanti secondo il sistema alla francese implica che il tasso di interesse tempo per tempo applicato diverga dal tasso effettivo risultante dal complesso dei flussi finanziari”, per cui si ha un impatto a livello di trasparenza dell’operazione bancaria da cui discende la necessità “che entrambi i tassi siano adeguatamente esposti in contratto per evitare incertezze nell’esecuzione del contratto medesimo e indeterminatezza nei costi da applicare al finanziamento”.

Come dimostrato dal C.T.U., nel piano di rimborso “francese” di tipo classico il capitale che viene via via rimborsato è produttivo di un interesse che incorpora anche interessi non ancora esigibili perché non giunti a scadenza (si tratta di interessi che sono in corso di maturazione). Secondo il Giudice, questo meccanismo sarebbe illegittimo atteso che “il mutuatario quando stipula il finanziamento pattuisce di rimborsare il prestito secondo le scadenze mensili convenute e di corrispondere l’interesse commisuratamente al tempo in cui trattiene ogni singola quota di capitale che si è impegnato a rimborsare gradualmente”.

Il pagamento di interessi ancora non esigibili si evince chiaramente dall’osservazione della composizione della prima rata, dove, a fronte di un capitale scaduto di minima entità, vi è l’addebito di interessi assai rilevanti: “l’importo della prima quota di interesse, indica come dopo un solo periodo l’istituto riscuota gli interessi anche relativi alle quote di capitale non scadute, benché il piano preveda che la quota di capitale in scadenza non sia l’intero ma solo una frazione”.

In sintesi, “al tempo 1 la banca incassa una quota degli interessi che stanno maturando nella seconda, terza, ennesima quota di capitale, che a quella scadenza non sono ancora esigibili: in pratica, se si negozia di restituire una certa quota di capitale al tempo 2, l’interesse per aver trattenuto quest’ultima somma dovrebbe essere corrisposto tutto al tempo 2 e non già in quota parte al tempo 1”.

Il Giudice, grazie alla CTU esperita, ha dimostrato che a parità di condizioni contrattuali è possibile elaborare due distinti piani di ammortamento, uno in capitalizzazione composta l’altro in capitalizzazione semplice degli interessi. La conseguenza è che con un medesimo TAN è possibile determinare due monti interessi differenti, dove quello maggiore discende – ovviamente – dal piano elaborato in regime composto.

Secondo il Giudice, peraltro, l’indeterminatezza del contratto in cui non risulta indicato né il regime finanziario né il tasso effettivamente praticato non può di certo essere sanata dalla (eventuale) sottoscrizione del piano di ammortamento. “Il piano di ammortamento ha valore precettivo nella misura in cui è coerente in ogni suo aspetto con le previsioni contenute nel mutuo, rispetto al quale si pone come accordo esecutivo. Laddove il piano aggiunga elementi non previamente esplicitati nel contratto di mutuo, ad esempio riportando la misura con cui le rate sono ripartite in quota interessi e quota capitale, non è comunque conforme al contratto, nel senso che non può sopperire all’obbligo sancito dall’art. 117, comma IV, T.U.B. secondo cui il contratto deve indicare – tra l’altro – le condizioni praticate, ossia il regime finanziario di determinazione degli interessi”.

Parimenti, l’assenza – in contratto – del TAE non può di certo essere sanata dall’indicazione dell’ISC.

Peraltro, del tutto irrilevante è la circostanza per cui sia minima la differenza, in termini percentuale, tra tasso nominale indicato in contratto e tasso effettivo. Difatti, come osservato dalla Corte d’Appello di Torino, “la sia pur minima differenza tra il tasso indicato nel contratto da quello effettivamente previsto ed applicato, non può certo evitare di constatare l’avvenuta violazione dell’art. 117 Tub e la conseguente applicazione della sanzione ivi prevista …” (Corte d’Appello di Torino, sentenza n.699/2018). Del resto, è agevole dimostrare che ad una apparente irrisoria differenza in termini di tasso di interesse corrisponde una significativa differenza nel monte interessi complessivo.

Ritenuta, dunque, la rilevanza in diritto della corretta indicazione in contratto del tasso effettivo, ne consegue – secondo il Tribunale di Cremona che ha ravvisato nella condotta della banca la violazione del comma quarto dell’art.117 TUB – la necessità di rielaborare il piano di ammortamento al saggio legale in regime di capitalizzazione semplice degli interessi.

Respingendo l’eccezione di prescrizione spiegata dalla banca, nelle richiamate pronunce il Tribunale ha anche chiarito che è pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui “Nel contratto di mutuo la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, atteso che il pagamento dei ratei configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata” (cfr. Cass. n. 17798/2011 e in precedenza, conforme, Cass. n. 2301/2004, secondo la quale “… se l’obbligazione è unica, e la divisione in rate costituisce solo una modalità per agevolare una delle parti, il debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata. Pertanto nel caso di mutuo, avendo questo carattere di contratto di durata, le diverse rate in cui il dovere di restituzione è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione …”).

*dottore commercialista
esperto in contenzioso bancario
consulente tecnico del Tribunale di Napoli
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