Prima di fare impresa serve capire le parole

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Startup, ovvero partire puntando in alto. Come spesso accade, anche delle parole abusate (e forse soprattuto di esse) ci si dimentica il significato. Recuperarlo, invece, serve non solo al linguaggio ma all’impresa. L’etimologia ci dice che “startup” rimanda a un dato, è vero, quello della creazione di impresa. Ma dice anche altro, segnala il fatto che startup rimanda a un’azione, a uno “slancio”. Con questo termine, insomma, si è subito inteso identificare la smania febbrile di creare un’azienda che mirasse in alto.

E così vengono percepite nel resto del mondo, dove le startup sono valutate per l’ampiezza di bacino a cui si rivolgono sia in termini di servizio sia in quelli di prodotto. È il loro “slancio” nella capacità di risolvere problematiche o offrire formule nuove a servizi e prodotti già esistenti la misura del loro successo. Si tratta di un’ambizione non solo ideale ed evanescente ma di una realtà più che concreta che si realizza quando un approccio al mercato di tipo epicureo sa sposarsi con i numeri producendo utili e fatturato. 
È così anche nel Belpaese? Non proprio. È impossibile non notare che da queste parti abbia preso piede un modo di pensare alle startup come facili scorciatoie per entrare nel mondo imprenditoriale sfruttando leggi e norme che agevolano questa fattispecie d’impresa. Lanciamole, siamo ottimisti, incentiviamole, ma senza mai smarrire la consapevolezza che fare startup vuol dire mirare in alto.
Questo non è il momento dei solchi tracciati dagli altri, è il momento di essere creativi, di avere e mostrare coraggio e, quindi, di lanciarsi nel mare di opportunità chiamato web.