Rapporto Confindustria-Cerved: Il rilancio del Sud? Dipende dall’armonizzazione di fondi Ue e Pnrr

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La possibilità di chiusura di metà delle Pmi del Sud lancia un allarme anche sulla Campania dove questo settore imprenditoriale era in forte crescita con un +21,3% nel 2019 rispetto al 2007, una crescita molto forte visto che il dato del Mezzogiorno sullo stesso periodo è del + 11%. Attualmente in Campania la Pmi impiegano 290.864 persone, con l’uscita dalle aziende che è però bloccato dallo stop ai licenziamenti. Lo afferma il Rapporto Regionale Pmi 2021, realizzato da Confindustria e Cerved, insieme a Intesa Sanpaolo. Tra gli addetti delle Pmi del Nord-Est, il 52,6% (576 mila) lavora in imprese di piccole dimensioni, con la quota che aumenta nel Centro (56,4%) e nel Sud del Paese (59,5%).
I dati sulle chiusure di impresa nel corso del 2020 sono stati fortemente condizionati dalle misure emergenziali messe in atto per mitigare gli effetti della pandemia che hanno fortemente frenato le chiusure con la sospensione delle attività economiche e degli uffici amministrativi, la temporanea sospensione dell’operatività dei tribunali e l’introduzione di nuovi dispositivi normativi, come l’improcedibilità dei fallimenti e la moratoria straordinaria dei prestiti: al Mezzogiorno i 248 fallimenti fanno segnare un calo delle procedure del 29,7%. Alla ripresa generale del dopo pandemia, però, i posti di lavoro nel sistema privato che potrebbero essere persi al termine del 2021 ammontano a 1,3 milioni, ovvero l’8,2% del totale degli addetti impiegati prima dell’emergenza. La probabile uscita dal mercato di un numero rilevante di imprese e il ridimensionamento del giro d’affari di molte altre, avranno inevitabili ripercussioni anche sul livello degli investimenti. Secondo le stime, infatti, le società italiane potrebbero perdere, a causa del Covid, 43 miliardi di euro di capitale nel biennio 2020-2021 (-4,8% rispetto ai circa 900 miliardi complessivi di fine 2019).
Una delle prospettive è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) un’opportunità che per essere colta necessita anche del completamento dei disegni di riforma e di un maggiore impulso sul fronte della partnership tra pubblico e privato. Il Pnrr intende modificare profondamente il contesto operativo dell’attività economica, orientandolo alla transizione verde e digitale, alla resilienza e alla coesione a più livelli, per cui occorrerebbe affiancarlo con misure che supportino le imprese verso il necessario processo di adeguamento. Sul piano della coesione, il Pnrr identifica tre priorità trasversali: territoriale (Mezzogiorno), di genere (donne) e generazionale (giovani).
Riguardo la coesione territoriale, il Pnrr evidenzia un impatto moderatamente positivo in termini di convergenza Sud-Nord, la cui reale (ancorché teorica) addizionalità dipenderà da un coerente quadro programmatico generale che comprenda, oltre alla spesa pubblica “ordinaria” per investimenti, anche la programmazione dei Fondi strutturali europei e del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc) dei cicli 2014-2020 (in corso di completamento) e 2021-2027 (in fase di avvio). Proprio il 2021 è, infatti, l’anno di avvio del nuovo ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei: per l’Italia si tratta di circa 83 miliardi di euro, che si sommano ai 28,7 ancora da spendere della programmazione 2014-2020. La sfida sarà quella di saper utilizzare queste risorse, insieme a quelle del Fsc, in maniera coordinata e complementare a quelle stanziate per il Pnrr, mantenendo allo stesso tempo la loro caratteristica di addizionalità.