Vivere è imparare: pet therapy, ponte per il reciproco apprendimento

382

di Giuseppe Tranchese

“Vivere è imparare”. Questa è la risposta che il premio Nobel per la medicina e la fisiologia Konrad Lorenz diede alla domanda rivoltagli da Franz Kreuzer sul significato della vita. Laddove per “imparare” egli intendeva la capacità innata di apprendere e di acquisire sempre nuove conoscenze. Un processo che accumula energia da un lato e conoscenza dall’altro. Ogni processo di adattamento a una realtà del mondo esterno testimonia che l’informazione su quelle realtà è in qualche modo assorbita ed integrata dall’organismo stesso, dall’intero sistema dell’organismo.
Partendo da ciò e dall’ipotesi della biofilia (etimologicamente amore o passione per la vita) proposta dal biologo Edward O. Wilson (1984), che descrive la tendenza umana a concentrare la propria attenzione ed il proprio interesse sulle varie forme di vita e su tutto ciò che la circonda, si sta sempre più diffondendo il consenso per la pet therapy. Tale termine fu coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris Levinson per descrivere l’ausilio degli animali nella cura delle malattie psichiatriche. Dal punto di vista operativo si può più correttamente utilizzare la dizione di interventi assistiti con gli animali per cogliere meglio l’eterogeneità e la molteplicità delle attività che hanno come nucleo centrale l’interazione uomo-animale.
Oggi possediamo un numero sempre crescente di evidenze che indicano come la vicinanza di un animale riesca ad avere un impatto positivo sui meccanismi neuroendocrini responsabili della capacità di far fronte a situazioni di ansia e stress, con effetti benefici sulla salute fisica e sul comportamento sociale. L’abilità degli animali, in particolare dei cani, di promuovere attività fisiche e ricreative, di catalizzare relazioni sociali e comunicative non verbali, può fornire un’azione di ponte emozionale, creando interazioni anche in contesti non familiari, attraverso dei meccanismi di coping (capacità di reagire) nei confronti di fattori di stress, agendo sul controllo dell’impulso, sull’auto riflessione, sull’auto motivazione e sulla memoria.
La presenza e l’interazione con un animale porta anche ad un aumento dei neurotrasmettitori, quali la dopamina e la serotonina, i cui livelli correlano con l’attenzione, la concentrazione e l’attivazione dei sistemi motivazionali.
I cani sono più spesso utilizzati in patologie che hanno come ambito la salute mentale ed in particolare i disturbi dell’umore, sfruttandone la capacità di ridurre i sintomi di ansia, depressione e solitudine. D’altra parte la stimolazione motoria e l’elemento relazionale rendono il cavallo particolarmente adatto a coadiuvare sia nei disturbi motori che in quelli cognitivi e del neuro sviluppo. L’asino per le sue caratteristiche di docilità e immobilità risuona spesso con i pazienti con forte inibizione comportamentale o con demenza. Nei paesi anglosassoni anche polli, conigli e maiali sono coinvolti in efficaci programmi terapeutici e di socializzazione.
La capacità degli animali di costituire un ponte per le relazioni sociali umane ha implicazioni pratiche non solo in terapia (anziani istituzionalizzati, bambini ospedalizzati, pazienti psichiatrici) ma anche in ambiti educativi, aiutando i bambini nella modulazione dell’aggressività in ambiente scolastico e migliorando l’empatia, il senso di responsabilità e le competenze sociali, con conseguenti notevoli benefici sull’approccio e sull’interazione con i loro pari e con gli adulti.
Potrebbe sorgere qualche domanda sul possibile sfruttamento degli animali nell’ambito della pet therapy, ma, se si avesse la possibilità ed il piacere di presenziare a qualche seduta di attività o di educazione assistita con gli animali, la risposta positiva non tarderebbe ad arrivare. Negli sguardi, nelle movenze, nella ricerca del contatto con l’amico umano da parte degli animali si percepisce con chiarezza adamantina quanto conti per questi ultimi la sola relazione armoniosa e lo scambio gratuito e senza filtri con noi. Probabilmente ciò che, con più di un velo di malizia, homo sapiens sapiens individua con il “mezzo”, gli animali, senza usare la ragione condizionata, si pongono per natura come “fine”, quali umili esseri senzienti che, cooperando con l’uomo, evolvono se stessi.