A Lauro, in Irpinia, il Castello Lancellotti tra fiaba e realtà

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Le origini

Lauro, Bassa Irpinia. Aprile 1799. Il 23 gennaio, con l’approvazione e l’appoggio dell’esercito francese, è stata proclamata la Repubblica Napoletana. Il 26 aprile l’esercito francese, accorso per sedare una rivolta di Sanfedisti, è di stanza a Sarno. Nessun lauretano ha il coraggio di affrontare i francesi per contenerne l’avanzata ed impedire il saccheggio della città. Il 27 un frate, frate Agostino Casoria, , attraversa le montagne che dividono Sarno da Lauro, per pattuire, in cambio del risparmio del saccheggio di Lauro, la resa dei lauretani alla supremazia francese. I francesi chiedono allora di erigere nella piazza del paese l’albero della libertà con un berretto francese sulla sommità, a significare l’avvenuta sottomissione. Il 29 aprile, il frate, dopo la Messa,  si reca nella piazza per erigere il palo, ma viene ucciso a tradimento dai sanfedisti. A quel punto i francesi, non vedendo il vessillo concordato, all’imbrunire attaccano la città, la saccheggiano uccidendo i pochi, inermi cittadini rimasti, raggiungono la rocca su cui sorge il castello e lo incendiano. Del castello non rimane che la struttura portante, distrutti i tetti, gli ambienti interni, le tappezzerie, i documenti d’archivio, il mobilio. Tutto precipita in uno stato di abbandono.

Come una principessa delle favole, il Castello addormentato restò in questo stato fino a quando, nel 1870 si mise mano alla sua ricostruzione per opera di Filippo Massimo Lancellotti, ma fu solo all’inizio del 900 che il castello raggiunse la magnificenza che oggi possiamo ammirare.

Le origini del castello Lancellotti sono molto più antiche, in realtà, si fanno risalire al 976, essendo una costruzione di origine normanna. Nel tempo, la struttura inglobò il borgo cittadino, appartenne alla famiglia Sanseverino, conti di Caserta, poi ai Del Balzo e, durante il periodo aragonese, agli Orsini, conti di Nola. Fu nel 1632 che Scipione II della famiglia Lancellotti acquistò il castello e l’intero feudo della terra di Lauro, legando per sempre il nome della casata al castello.

I cortili

Nella Piazza Municipio incontriamo Emilia Ranaudo dell’Associazione Pro Lauro. L’Associazione è attiva dal 1985 promuovendo con impegno e passione visite e attività culturali per la valorizzazione del territorio di Lauro.

Percorriamo con la nostra guida il viale che dal centro cittadino si inerpica dolcemente verso la sommità della rocca dove sorge il castello. Al dischiudersi del portone, la vista del primo cortile è mozzafiato e già preannuncia lo splendore di ciò che vedremo. Le torri, disposte in perfetta prospettiva, una più bassa dell’altra, leggermente torte, gli stili architettonici diversi e sovrapposti, gli spazi ampi, la vegetazione, tutto disposto in un’armonia perfetta di forme che trasmette senso di pace e bellezza.

Visitiamo il plastico del castello, voluto da Filippo Massimo Lancellotti per rappresentare la struttura sopravvissuta all’incendio, da cui si può evincere agevolmente quanto imponenti siano stati i lavori ottocenteschi che hanno radicalmente modificato la destinazione dell’immobile, da difensiva a residenziale.

Attraversato il primo cortile accediamo al secondo, più raccolto e ugualmente armonico nella disposizione delle geometrie. La piccola cappella privata, destinata alle celebrazioni della famiglia proprietaria, la peschiera realizzata come allevamento di pesci per fornire sostentamento in caso di attacco al castello, il giardino all’italiana, con la vegetazione curata nei dettagli, un leccio e agrumeti centenari e specie di importazione e, un po’ ovunque, materiali di spoglio provenienti dagli scavi archeologici effettuati nei possedimenti della famiglia proprietaria.

Gli interni

Il primo degli ambienti interni che visitiamo è un’ampia sala le cui pareti sono interamente dipinte a mano, nei colori giallo e rosso, a ricordare le origini romane della famiglia. La sottomissione al Papa viene richiamata in ogni angolo, sul camino una Minerva tiene in mano l’alloro a rappresentare l’appartenenza a lauro e nella mano destra al tiara papalina e le chiavi di San Pietro. Ai piedi di Minerva, la lupa con Romolo e Remo. Lungo le pareti è dipinta una balaustra che guarda verso un cielo aperto a dar profondità all’ambente. Lungo la balaustra i simboli che rappresentano l’Uomo; la scimmia da cui esso deriverebbe, il pappagallo a significarne la parola, il pavone con la coda chiusa a rappresentare l’umiltà, il colibrì che esprime l’infinito. Ci spostiamo, immaginando gli ospiti del castello, che dopo il pranzo si spostavano verso l’attigua sala del biliardo, sobria ed elegante, interamente dipinta di verde.

Le camere da letto, con i loro letti a baldacchino di epoca classica, i mobili e le suppellettili di stili diversi armonicamente disposti, contribuiscono all’atmosfera da fiaba che avvolge tutto il castello. Si caratterizzano per un ingegnoso espediente architettonico: il perimetro delle stanze è stato ridotto, ricavando un finto armadio, che in realtà è l’accesso diretto al corridoio ricavato per consentire di raggiungere i servizi situati alle spalle senza dover attraversare le altre stanze. Alla sala da biliardo, riservata allo svago degli uomini, corrisponde il salotto rosso, dedicato alle donne, raccolto e protetto da ampi drappeggi alle finestre, al cui centro è collocato un camino costruito però solo nella seconda metà del 1900.

Lo splendida Sala d’Armi ci appare in tutta la sua magnificenza a celebrare la famiglia Lancellotti, la sua storia, la sua grandezza. Alle pareti  gli affreschi attraversano secoli di storia, uno splendido lampadario bronzeo a forma di sole è posto al centro della sala. Sul fondo, sopra il camino, un dipinto rappresenta l’incendio del castello, sia pure raccontando una storia un po’ diversa da quella reale, con un esercito dispiegato a difendere la rocca, in linea con l’obiettivo celebrativo dell’intera sala.

Si apre una porta finestra e siamo sulla terrazza del torrione, coi suoi gradini che discendono fino a quello che era il giardino sottostante. La terrazza è suggestiva e la vista a perdita d’occhio regale un’emozione incomparabile.

Discendendo nuovamente nel primo cortile che abbiamo attraversato, un po’ in disparte, accediamo all’ultimo ambiente, una biblioteca realizzata da Filippo Massimo Lancellotti ad imitazione di quella di suo padre Camillo. Vi sono conservate oltre mille opere, per oltre cinquemila volumi, tra cui gli enormi libri mastri. Come in ogni favola che si rispetti non manca un passaggio segreto, celato tra le pareti della libreria. Attraversiamo la porta e da quel luogo di cultura e studio ci troviamo nel chiostrino, graziosissimo luogo di pace , bellezza e meditazione, sintesi perfetta della bellezza di questo luogo d’incanto.

Il Castello Lancellotti a Lauro tra fiaba e realtà