Addio a Vincenzo De Simone, l’artista che riscoprì il mondo contadino

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In foto Vincenzo De Simone

E’ scomparso l’artista Vincenzo De Simone, nato a Roccarainola in provincia di Napoli, ma da tempo residente in Albinea ( Reggio Emilia ) – artista di lungo corso e di forte personalità, aveva attraversato con esito felice vari cicli espressivi, a partire dalle ricerche sul mondo contadino dell’area nolana, coincidenti con il suo ritorno sull’area dopo un decennio di insegnamento al Nord.
Fatto ritorno prese  ad insegnare alla Scuola Media G. Pascoli di Cicciano, e qui inaugura un metodo straordinario che gli consente di entrare in contatto, attraverso i sui studenti, con le loro famiglie prevalentemente contadine e operaie, e con il loro vissuto di interesse antropologico, che emerge e attraversa con racconti orali e manufatti elaborati dai contenuti simbolici, legati al ciclo delle stagioni e al mondo favolistico popolato di streghe e malombre.
Questo lavoro nel sociale verrà adeguatamente valorizzato e indagato da Enrico Crispolti, il noto storico dell’arte da poco scomparso, che apprezzò  il lavoro di De Simone e ad onor del vero, anche di altri operatori impegnati su tematiche affini ( tra cui F.Lucio Bifulco, E. Alamaro, C. Capolongo e altri ) in Campania – e in altre regioni d’Italia, in particolare del Sud – che troveranno posto  nell’ambito della Biennale di Venezia del 76, avente ad oggetto  “L’ Ambiente Come Sociale “.
Una stagione densa di riconoscimenti per De Simone, che proprio agli inizi di Dicembre dello scorso anno era stato straordinario protagonista al Frac di Baronissi di una toccante performance documentata dall’amico fotografo e artista Giovanni Ruggiero, nell’ambito di un simposio in memoria proprio del critico romano, che in Campania si è occupato, valorizzandoli, di tanti artisti.
Ottantenne, De Simone era apparso come sempre vivace e determinato, e in compagnia della inseparabile moglie Nesia, aveva voluto poi visitare il centro storico di Napoli, ripercorrendo le strade amiche che aveva percorso quando da giovane frequentava l’Accademia di Belle Arti.
Dopo il mondo contadino e la sua cultura, i suoi attrezzi agricoli per coltivare la terra, e le leggende popolari, parte di lì a poco, un ciclo potentissimo di pitture e disegni, di cui ricordiamo opere come “ Non c’è grano da battere “ e scivolando verso gli ottanta, il ciclo “ Suicidio per amore “ e ancora “
A’ Malombra ( Spergiuro ) 1982, Folletti, e altre opere molto potenti ed efficaci, coniugando il forte impianto disegnativo con l’utilizzo di cromie e tecniche miste alternate.
Nello steso tempo gli anni ottanta vedono la comparsa e lo sviluppo concettuale del ciclo dei Nodi, perché De Simone indaga minuziosamente tutti gli attributi della cultura contadina e lui stesso figlio di abili agricoltori, aveva assistito e aiutato in campagna, venendo a contatto con quella particolare legatura chiamata Nodo ( rametti di salice morbido attorcigliati ) che diventerà per molti anni simbolo alchemico e nuda materia, accompagnandolo in tante mostre, anche più squisitamente concettuali, come quella allo Studio Oggetto di Caserta.
Molte di queste importanti opere sono poi state acquisite dai Musei Svizzeri, e dal Kunstmuseum di Berna, tramite il direttore e amico che molto stimava De Simone, Hans Cristoph von Tavel.
Ma De Simone parallelamente a questo sviluppo concettuale e tematico inerente il mondo contadino campano, aveva sviluppato e messo da parte, per breve tempo, anche una altra significativa ricerca, che aveva trovato la sua nascita in quegli anni al Nord, frequentando l’ambiente milanese animato da  figure straordinarie, tra cu Lucio Fontana e Pepe Diaz, De Simone teorizza una ricerca definita A-Pittura, in cui riesce ad ottenere sulla superficie della tela i tratti fisiognomici di personaggi scelti di volta in volta, tra intellettuali, filosofi, artisti, mediante una abile costruzione sul recto producente ombre e profili, determinando così –  pittura senza colore – .
In altre opere dello stesso ciclo, sviluppando ulteriormente la ricerca, De Simone colloca dietro il quadro dei neon elettrici, che illuminando determinano una nuova nascita visiva dell’immagine.
Opere notevoli, viventi nell’algido biancore restituiscono alle superfici intonse immagini incorrotte, che soltanto la luce può determinare, tornando in qualche modo sui passi del primo Fontana ( luce di Wood ) anelante verso uno spazio reale e non virtuale dell’immagine.
Molte altre significative azioni negli ultimi dieci anni hanno interessato la sua notevole figura di artista e intellettuale, alcune coincidenti con la malattia che lo aveva aggredito, e che furono al centro di una importante mostra nel Novembre 2014 alla Galleria Area 24 di Napoli, coinvolgendo l’epatologo e amico Antonio Ascione, il fotografo Giovanni Ruggiero, come lui attraversante il deserto della malattia, con una performance di inaudita possanza, in cui il famoso medico napoletano toglieva le bende all’ammalato De Simone ( video disponibile in rete ).
Si aprirebbe a questo punto, un altro filone, ma il discorso sarebbe troppo lungo, e mi riservo di affrontarlo in un altra occasione, perché nelle intenzioni del maestro scomparso potevasi realizzare un filone di ricerca, in cui la malattia diventava fonte per la sopravvivenza dell’arte, dell’artista colpito.
Nella settimana successiva alla mostra napoletana, De Simone replicò aumentando la posta, e così partecipai con un mio accorato intervento alla performance “ Dalla Terra dei Fuochi “ presso il Museo Civico di Roccarainola, gremito da una folla strabocchevole, contestualizzando la figura di De Simone nel contesto della ricerca artistica del dopoguerra, e definendo le diverse opzioni dalla body art alle ferite della malattia.
E qui mi fermo, con le parole di E. Dickinson, che scriveva” Lo vedo nella stella e ritrovo la sua velocità in ogni cosa che vola “.

Gaetano Romano