Così Luigi Vanvitelli contribuì a fare della Napoli del ‘700 una metropoli europea

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in foto ritratto di Luigi Vanvitelli (particolare)

di Maria Carla Tartarone Realfonzo

In un articolo sul quotidiano Il Mattino intitolato “Gaspare degli occhiali”, tratto da uno scritto di Vittorio del Tufo, ho letto di Gaspare Vanvitelli (dall’originale Gaspar van Wittel), che amava portare strani grandi occhiali.
Considerato anche il padre del Vedutismo, sempre affascinato dai nostri luoghi, Gaspare – cui di recente è stata dedicata la mostra “Gaspare Vanvitelli e le Origini del Vedutismo”, tenuta certamente a Roma al Chiostro del Bramante ed a Venezia al Museo Correr – fu padre di Luigi Vanvitelli (Napoli 1700- Caserta 1773), il famoso straordinario architetto autore della Reggia di Caserta, chiamato dal Re Carlo di Borbone, influenzato sempre dai luoghi e dai panorami del nostro territorio.
Luigi Vanvitelli fu autore di preziose architetture nel Regno di Napoli: del Palazzo Doria d’Angri nella “Capitale” e della Caserma di Cavalleria Borbonica, voluta da Carlo III, uno dei gioielli del barocco napoletano.
L’illustre Maestro volle presso di lui da Roma Francesco Collecini, uno dei migliori allievi dell’Accademia di San Luca, che si occupò della ideazione e della costruzione della Colonia di San Leucio, una preziosa Colonia con la fabbrica delle sete ancora oggi sito piacevolissimo da visitare.
Fondamentale fu la realizzazione dell’Acquedotto Carolino (1753-1770), progettato dal Vanvitelli ed ideato proprio per alimentare il complesso di San Leucio, un’opera che consentì a Ferdinando di Borbone di stimolare la produzione industriale in tutta l’area casertana, sia del vetro e della ceramica, che dei prodotti tessili come proprio a San Leucio. Di questa opera vanno menzionati anche i Ponti vanvitelliani, tra cui certamente il “Ponte della Valle di Maddaloni”, inserito nel patrimonio dell’UNESCO nel 1997, che al momento della costruzione fu il ponte più lungo d’Europa.
Molti sono i testi da consultare per conoscere i lavori settecenteschi nel Regno di Napoli, molti gli autori stranieri che ne scrissero, tra cui Johann Wolfgang von Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, una opera in due volumi, pubblicati rispettivamente nel 1816 e nel 1817, che contengono il resoconto di un Grand Tour che l’autore compì in Italia tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788.
Di Luigi Vanvitelli e dei suoi seguaci nel territorio napoletano hanno scritto ancora numerosi studiosi: Renato Bonelli in “Vanvitelli e la cultura europea” e nei due volumi a cura di Luigi Vanvitelli Jr “Luigi Vanvitelli e il 700 europeo – Congresso internazionale di studi” del 1979. E molti altri studiosi più recenti, tra cui Antonio Gianfrotta in “Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell’archivio della Reggia di Caserta 1752 – 1773”, e Giancarlo Alisio, Luigi Catalani, Raffaello Causa in diversi scritti sulla Civiltà del Settecento a Napoli. Ed anche il grande Benedetto Croce e Cesare De Seta, Roberto Pane, Nicola Spinosa, e ancora “Autori Vari” che hanno scritto su Luigi Vanvitelli. Come, a cura di Mario Rotili, aveva scritto Luigi Vanvitelli Junior, nel 1975: una “Vita di Luigi Vanvitelli”.
Ma anche Carlo Vanvitelli fu famoso nei nostri luoghi, come ci racconta di lui il Venditti appellandolo “da collaboratore a epigono dell’arte paterna”, sempre in “Luigi Vanvitelli e il Settecento Europeo” (del 1979). Ed anche per “Il Consiglio Nazionale delle Ricerche” nel 1993 La Casa Editrice “La Conchiglia” raccontò quel periodo di avvenimenti nella pubblicazione degli “Atti del Convegno sul Paesaggio” appena terminato.
I pochi scritti qui citati vogliono soltanto alludere a quanto sia stata ampia la fama di quegli artisti settecenteschi di cui fortunatamente si conservano le opere sia architettoniche che pittoriche e scultoree, arricchendo sempre più la memoria della nostra terra attorno alla Capitale, la città d Napoli.